sabato 4 marzo 2017

IN MISSIONE A TRIESTE di Francesco Gnecchi Ruscone

L'architetto Francesco Gnecchi Ruscone, nel periodo dell'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale e della Repubblica Sociale Italiana, ha partecipato alla Resistenza come componente di "Nemo", missione appoggiata dai Servizi Segreti Inglesi, inquadrata nell'Esercito Regio e guidata da Emilio Elia (“Nemo”), capitano di corvetta della Regia Marina.

Nella missione Gnecchi ha avuto il compito di fare i rilievi delle fortificazioni tedesche in Veneto. Arrestato il 12 gennaio 1945, picchiato, torturato e infine condannato a morte per impiccagione, rimane in carcere fino alla fine di marzo. Nei giorni dell'insurrezione, partecipa alla liberazione di Milano.

Finita la guerra, con la resa tedesca in Italia, riceve l'incarico di entrare a Trieste con le truppe alleate, per inviare informazioni sulla situazione della città e, sopratutto, sulla sorte toccata a due membri della missione, Guido Tassan e Vittorio Strukel “Toio”: triestini, tornati alla loro città dopo la Liberazione, erano stati arrestati dai titini ed erano spariti.

Nel libro di Gnecchi, MISSIONE “NEMO”. Un'operazione segreta della Resistenza militare italiana 1944-1945, questo episodio è narrato da pagina 113 a pagina 116. Con il suo permesso, ve lo presento. M.B.


Francesco Gnecchi Ruscone, MISSIONE “NEMO”. Un'operazione segreta della Resistenza militare italiana 1944-1945, da pagina 113 a pagina 116.



Tornato alla sede della missione “Nemo”, il capitano De Haag mi ha informato che ero diventato un sottotenente provvisorio e mi ha consegnato dei capi di vestiario khaki, provenienti dai fondi di magazzino di chissà quanti e quali eserciti, con cui crearmi un'uniforme. Particolare sgradito un paio di pantaloni a sbuffo che sospettavo avessero appartenuto all' “Afrika Korps” di Rommel.

Abituato a non far domande sugli ordini ricevuti, mi sono rivestito e ho cominciato ad agire da sottotenente provvisorio. Ne ricevevo anche lo stipendio. Non ho mai sospettato fosse solo un travestimento nell'ambito delle attività della missione finché, dopo la guerra non ho scoperto che di questa mia promozione e carriera non c'è alcuna traccia nei miei documenti militari.

I miei ordini erano di andare a Monfalcone e aggregarmi, come ufficiale di collegamento, a un battaglione neozelandese che doveva entrare a Trieste. Ci sarei entrato con loro; come militare italiano non mi era permesso.

Guido Tassan e “Toio” Strukel, i miei due compagni della maglia di Vicenza della missione, che erano tornati alle loro case di Trieste dopo la resa tedesca, erano stati arrestati dalla polizia di Tito ed erano spariti.

Questo era grave ed allarmante: gli jugoslavi avevano dichiarato apertamente l'intenzione di annettersi tutte le province della Venezia Giulia fino all'Isonzo e anche oltre, e avevano iniziato in tutti i territori dove erano riusciti ad arrivare prima dell'8ª armata una durissima campagna di maltrattamenti e intimidazioni sulla popolazione italiana.

Adesso si chiama “pulizia etnica” ma anche allora era una vicenda sordida e sanguinosa.

Uccisioni e sparizioni degli italiani più in vista erano frequentissime ed erano giustificate agli Alleati come esecuzioni di fascisti o rappresaglie spontanee incontrollabili, vendette per l'occupazione italiana della Jugoslavia dal 1941 al 1943.

Naturalmente queste spiegazioni non potevano valere per Guido e “Toio”. Il loro inoppugnabile passato li rendeva la negazione di quelle teorie e quindi testimoni da eliminare.

Io dovevo scoprire non solo cosa era a loro accaduto e se possibile far qualcosa per loro, ma anche monitorare la sitiazione generale a Trieste e farne rapporto con regolari viaggi a Milano. Questa volta non potevamo usare operatori radio.

Dopo qualche giorno di incertezza a Monfalcone, il battaglione ha avuto l'ordine di entrate a Trieste, da dove gli iugoslavi avevano accettato di ritirare almeno i loro reparti regolari.

Non volevo entrare a Trieste vestito da Alleato purchessia, così a Monfalcone ho requisito un cappello da alpino, completo di penna d'aquila, al quale non avevo alcun diritto, non avendo mai servito in quel corpo. Mi pareva doveroso mostrare ai triestini che ero italiano.

Mi ha comunque reso molto popolare.

[ …]

A Trieste i miei compiti erano uno più frustrante dell'altro. Di Guido Tassan e “Toio” Strukel siamo solo riusciti a sapere che erano ancora vivi, ma deportati in campi di concentramento in Croazia interna ove le condizioni rivaleggiavano con quelle dei Lager tedeschi. Ci sono rimasti per due anni dopo la fine della guerra. Guido, più forte, ha potuto riprendere una vita normale, “Toio” è sopravvissuto pochi anni dentro e fuori da ospedali.


Uno scorcio di Trieste in una cartolina


Il quadro politico generale diventava comunque prevalente sulla situazione locale: stava prendendo corpo, proprio lì a Trieste, la “Cortina di Ferro”. Il mio compito ormai consisteva nel distribuire messaggi chiusi a sconosciuti, organizzare riunioni a cui non avrei partecipato e portare a Milano notizie che erano sempre più di dominio pubblico.

Ora la mia vita era certo più comoda e meno rischiosa del periodo delle mie pedalate invernali e dei miei rilevamenti di trincee tedesche , ma mi trovavo spesso a rimpiangere la chiarezza di intenti e di relazione tra le mie azioni e i loro effetti e l'unione con i compagni di lotta di quei mesi passati.

La gerra era finita, era diventata politica. Non era più per me.

[ … ]

In quei giorni anche la mia missione a Trieste si è conclusa e mi sono trovato a dover pensare a cosa fare dopo. Da un lato mi sembrava di essere troppo vecchio per tornare sui banchi di una scuola, sia pure del Politecnico, dall'altro era evidente che la mia vita degli ultimi due anni era un capitolo chiuso.

Per fortuna la saggezza ha prevalso e sono tornato al Politecnico.

 ***


Quando mi sono rivolto all'architetto Francesco Gnecchi Ruscone, per chiedergli il permesso di pubblicare questa pagina del suo libro su Nemo, spiegandogli che l'aggiornamento del blog in programma sarebbe stato in gran parte dedicato al tema dei profughi giuliani, mi ha segnalato un brano di un altro suo libro, Storie di Architettura, in cui si parla di questo argomento.
Egli infatti, aveva collaborato negli anni cinquanta del novecento con l'ente UNRRA CASAS, diretta da Adriano Olivetti, che si era occupato, nel nord ovest della Sardegna,  del recupero del borgo Fertilia per l'accoglienza dei profughi dall'Istria e dalla Dalmazia.





Francesco Gnecchi Ruscone, STORIE DI ARCHITETTURA, Conversazione con Adine Gavazzi, pagine 236 e 237

Un problema particolare era costituito dal borgo di Fertilia: iniziato negli anni '30 come parte di una velleitaria, mai realmente avviata, bonifica della Nurra, era stata trasformata durante la guerra in caserme e depositi per l'Aeronautica, che, dove ora sorge l'aeroporto di Alghero, aveva la sua base per quella che avrebbe dovuto essere la difesa dell'Alto Tirreno. Abbandonato e vandalizzato dopo l'armistizio, il borgo era ridotto a poco più che rovine. La proposta di restaurarlo e completarlo per destinarlo ai profughi dell'Istria e della Dalmazia, che alla cessione di quelle terre alla Jugoslavia avevano dovuto emigrare, aveva trovato il pronto consenso del governo e i necessari finanziamenti. Molti di loro erano pescatori o comunque gente di mare e il progetto comprendeva anche aiuti alle cooperative per l'acquisto della barche e di quanto era necessario a un nuovo avvio.
Così il fortunato incontro del patriottismo che abbiamo trovato tra i sardi, espresso come “spirito di servizio”, con la determinazione, iniziativa e laboriosità dei giuliani, ha prodotto quello che è risultato l'intervento di maggior successo dell'UNRRA CASAS olivettiana.
Qualche anno fa, capitato a Fertilia come turista, ho potuto constatare che la lingua ufficiale locale era ancora il triestino. Carpinteri e Faraguna (1) avrebbero potuto ambientare lì qualcuno dei loro bellissimi racconti.
 

NOTA
(1)  "Carpinteri & Faraguna sono una coppia di giornalisti, scrittori e commediografi dialettali italiani di origine triestina Lino Carpinteri (Trieste 1924 - Trieste 2013) e Mariano Faraguna (Trieste 1924 - Trieste 2001).
La maggior parte delle loro opere è ambientata in una regione, più ideale che reale, incontro delle culture mitteleuropee ed adriatiche che va da Trieste all'alta Dalmazia (comprendendo Istria e Quarnero). L'epoca storica è spesso quella della dominazione austro-ungarica (vista come epoca "felix") vissuta da personaggi con forte connotazione locale e popolare. La lingua utilizzata è il cosiddetto istro-veneto: più che un dialetto, una "lingua franca" su base veneta con numerosissime influenze slave e tedesche, ma perfino turche ed arabe (e latine, come del resto il dialetto triestino appartenente alla lingua veneta)".
https://it.wikipedia.org/wiki/Carpinteri_%26_Faraguna



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