mercoledì 20 settembre 2017

IL BLOG HA BISOGNO DI UNA PAUSA


Carissimi amici,
in questo periodo ho difficoltà a dedicare al blog il tempo necessario per aggiornarlo con regolarità.
Per questo motivo ho deciso di prendere una pausa almeno fino a Natale.
Un cordiale saluto, Marco Bartesaghi



Il disegno è di Sara Bartesaghi

martedì 19 settembre 2017



 LABORATORI DI DISEGNO E PITTURA

Insegnante Elena Mutinelli

durata OTTOBRE/ MAGGIO

 Orari lezioni:

tutti i martedì e i venerdì ore dalle 9,30 alle 11,30


pacchetto da 12 lezioni   3 ottobre/ 22 dicembre   |   pacchetto da 24 lezioni   3 ottobre/ 22 dicembre

pacchetto da 20 lezioni 9 gennaio/ 25 maggio   |   pacchetto da 40 lezioni 9 gennaio/ 25 maggio 


per informazioni corsi info@elenamutinelli.eu



http://www.elenamutinelli.eu/index_file/Page1360.htm



news mostre

http://www.elenamutinelli.eu/index_file/Page1133.htm

LA NUOVA IMMAGINE DELLA MADONNA ALL'ANGOLO FRA VIA FONTANILE E VIA PRINCIPALE






Era maturata nel 2015, nel gruppo Pensionati di Verderio, l’idea di porre rimedio al cattivo stato di conservazione dell’immagine della Madonna, posta all’angolo fra via Fontanile e via Principale.
Raccolti i fondi necessari, attraverso una sottoscrizione popolare, è stato affidato l’incarico a due pittrici locali, Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri, già autrici, in paese, delle decorazioni esterne e interne dell’Aia, delle facciate della “curt növa”, in piazza Annoni, e di una casa di via dei Tre Re, della Madonna della cappella funebre della famiglia Annoni.




Per la Madonna di via Fontanile tre erano le possibilità d’intervento fra cui scegliere:  

restaurare la Madonna ancora  presente, o dipingerne una nuova, sul muro;

 
L'immagine esistente sul muro


recuperare l’immagine esistente, un dipinto, su tavola di legno, di un abitante di Verderio, ora defunto, che negli anni ottanta del novecento aveva messo mano, con poca perizia, a diverse immagini sacre del paese; 


La Madonna dell'Aiuto dipinta su tavola di legno tra il 1985 e il 1990

dipingerla su un  supporto diverso e poi applicarla nella sua sede. 


Escluse la prima, perché facilmente attaccabile dall’umidità del terreno e soggetta alle sollecitazioni meccaniche in caso di importanti lavori di ristrutturazione dello stabile, e la seconda poiché il supporto in legno non è adatto ad essere esposto alle intemperie, ,  Beatrice e Gigliola hanno proposto ai loro committenti, che hanno accettato, la terza soluzione: 

“ …realizzeremmo il nuovo dipinto della Madonna dell'Aiuto su un pannello in resina con “l'anima” a nido d'ape in alluminio indeformabile, sul quale si procede applicando lo strato di intonaco di base, per poi procedere con il ciclo completo di pittura.
Questo pannello può essere sagomato perfettamente per lo spazio interno alla cornice e potrà essere murato o direttamente alla parete oppure applicato con delle zanche”.


 
La fotografia che Gigliola e Bea hanno preso come riferimento

Una fotografia della Madonna preesistente, risalente probabilmente al 1920, è stata  il loro punto di riferimento per  la nuova immagine. Così, in una relazione tecnica, la descrivono:
 

“Rappresenta la Vergine in piedi con il bambino Gesù in braccio e nella mano destra il Rosario. Questa immagine ci mostra una figura della Vergine estremamente aggraziata e “morbida” pur mantenendo una certa semplicità di insieme.
Il manto bianco sembra avvolgere in parte il bambino, per poi appoggiarsi a terra in un drappeggio vaporoso.
Presumibilmente lo sfondo del dipinto rappresentava le campagne di Verderio…”
 







































































Beatrice e Gigliola si sono occupate anche del recupero della cornice, asportando gli strati di vernice che negli anni si erano accumulati, per poi riprodurre lo strato più profondo, probabilmente quello originario.

Lo stato della cornice prima del restauro
Completata e messa in opera nello scorso mese di agosto, la nuova versione della Madonna dell’Aiuto è stata benedetta il 17 settembre 2017.




In questa operazione di recupero di un significativo angolo del paese , caro soprattutto ai verderiesi  devoti a Maria, un ruolo fondamentale è stato ricoperto da Giulio Oggioni. Sollecitato ad occuparsene, come ha più volte sottolineato, da molti concittadini, soprattutto anziani, ha, come sempre, messo in campo tutta la sua passione, la sua  caparbietà, in una parola: la sua faccia, permettendo di ottenere questo risultato che, altrimenti, difficilmente sarebbe stato raggiunto.



Marco Bartesaghi

Su Beatrice e Gigliola e il loro lavoro di decorattici cerca in questo blog:

http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2014/09/beatrice-fumagalli-e-gigliola-negri_13.html

Su l'immagine della Madonna dell'Aiuto di Verderio vedi l'estratto della tesi di laurea di Marta Cattazzo:

http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2011/01/immagine-della-madonna-sullangolo-di.html



sabato 16 settembre 2017

IL PLATANO MONUMENTALE DI VERDERIO di Giorgio Buizza


IL PLATANO

Il platano è una specie arborea molto comune e molto diffusa in Lombardia e nella pianura padana, ma ha una grande adattabilità ai suoli e ai climi ed è quindi diffuso a tutte le latitudini.
Questa specie è stata utilizzata, per la sua rapida crescita, per la sua adattabilità, per la sua forma tendenzialmente globosa, sia per delimitare le proprietà rurali e gli appezzamenti, ma è stata impiegata in passato anche lungo le principali strade nazionali per produrre ombra a beneficio dei viandanti (almeno fino a quando è stato possibile piantare alberi lungo le strade). Le strade si sono poi dovute allargare per l’aumento del traffico e in sostituzione dei filari di platani sono state dislocate un’infinità di tabelloni pubblicitari e sono stese corsie di asfalto, lasciando le strade in pieno sole.


Platano nei pressi di Cascina Bergamina, Verderio

I contadini della pianura, fino al secolo scorso, utilizzavano il platano per delimitare gli appezzamenti e per produrre legname a ciclo breve, 3 – 4 anni, ceduando periodicamente le ceppaie, adattando la coltivazione alla disponibilità dell’attrezzatura che era solitamente una roncola o un mannarino, attrezzi che funzionavano a “braccia”.
I grandi alberi non erano ben visti dai contadini perché producevano troppa ombra sulle coltivazioni che davano alla fine, per colpa degli alberi, produzioni inferiori. Erano invece piantati dai proprietari della terra che ne curavano lo sviluppo per ottenere, con il legname prodotto nel ciclo lungo, una integrazione al reddito e una biomassa utile per il riscaldamento delle case padronali.
Il film “l’albero degli zoccoli” racconta la vita difficile di un contadino liquidato brutalmente dal padrone per aver tagliato un albero per soddisfare un esigenza primaria in un contesto di estrema povertà, cioè fare gli zoccoli per i suoi bambini.
Il platano ha buona confidenza con l’acqua, tanto che il suo rapido sviluppo è legato alla presenza di una falda superficiale, di un fosso, di un fiume. Cresce bene anche sulle sponde dei laghi dove costituisce spesso un carattere distintivo del paesaggio.
Le radici non devono stare sommerse, ma devono potere trovare terreno fresco e umido a pochi metri di profondità. In queste condizioni il platano ha un rapido accrescimento sia in altezza che in diametro del fusto.


COME RICONOSCERE UM PLATANO

Il carattere più evidente è la squamatura della corteccia che si sfalda, con l’invecchiamento, formando placche di cellule corticali morte che poco alla volta si staccano dal fusto principale.
Il fusto del platano, in condizioni normali e di buona vigoria, presenta macchie brune (le parti prossime al distacco), macchie verdastre e grigie (le parti che stanno invecchiando e che si staccheranno dopo alcuni mesi) macchie giallastre o molto chiare formate dalla corteccia nuova, appena scoperta per il distacco delle placche più vecchie. Il tutto forma un disegno molto simile alla tuta mimetica.
 

Un altro albero della Cascina Bergamina, Verderio



Guardando più in alto, il carattere distintivo del platano è rappresentato dai fiori e dai frutti che si trovano quasi sempre nelle parti terminali dei rametti. Quello che si nota di più sono le infruttescenze (insieme di frutti) a forma di pallina di 3-3,5 cm di diametro, rugose, verdastre se acerbe, poi marroni a maturità, che rimangono sull’albero per tutto l’inverno, anche dopo la caduta delle foglie, sfaldandosi poi e liberando i singoli acheni (frutti) quando si forma la nuova vegetazione in primavera.
I fiori sono unisessuali; quelli femminili sono piccole palline picciolate di colore rossastro che accolgono il polline proveniente dai fiori maschili sovrastanti, che sono piccole infiorescenze di colore giallo.
 




Il platano si riconosce poi dalle foglie, palmato-lobate a 3 5 lobi, con inserzione alterna sul rametto, decidue, mediamente coriacee, che raggiungono dimensioni di 25 cm.
I botanici hanno individuato due specie originarie: il platanus orientalis originario del medio oriente e dell’Asia; il platanus occidentalis originario del nord America. Le due specie sono molto simili e molto vicine geneticamente perciò con la vicinanza in vivaio e col passare del tempo si sono incrociate tra loro.
Con molta probabilità i platani presenti nei nostri giardini e tutte le attuali produzioni vivaistiche sono tutti ibridi che vengono denominati platanus acerifolia o platanus hispanica.


 IL PLATANO MONUMENTALE DI VERDERIO

Il platano della Rotonda di Verderio è tra i pochi platani monumentali contenuti nell’elenco degli Alberi monumentali della Provincia di Lecco; tra questi è l’unico radicato in uno spazio aperto, pubblico, sempre accessibile. Tutti gli altri platani (elencati nella nota in calce) fanno parte del patrimonio arboreo di Ville private o visitabili solo occasionalmente.




I parametri dimensionali del Platano di Verderio, misurati nel 2016, sono:

  • Altezza m 34,50.
  • Circonferenza del fusto (misurato a 1,30 da terra) cm 550 pari a un diametro di cm 175.
  • Diametro medio della proiezione della chioma 30 m circa.
Le origini del platano di Verderio, al momento, non sono note: non si sa quando è stato piantato né da chi, perché in quella posizione, come è stato allevato. Si deduce che, nonostante sia stato esposto ai molti rischi derivanti dalla sua posizione sul bordo di una strada, non ha mai subito gravi incidenti o gravi manomissioni. Probabilmente in gioventù ha subìto alcune potature, anche di una certa entità, ma la sua buona salute e la buona disponibilità idrica gli hanno consentito di rimediare alle ferite causate dai tagli e riprendere a vegetare vigorosamente mantenendo una sagoma quasi naturale evitando il formarsi di cavità e marciumi del legno.





Prima che, per sveltire la circolazione dei veicoli, fosse realizzata la rotonda (a cura della Provincia di Lecco – 2004) l’incrocio tra via S. Ambrogio, via per Paderno e via dei Prati era regolato da un semaforo.

 
L'assetto stradale prima della costruzione della rotonda


Il Platano era sul lato destro della strada proveniente da Paderno, molto vicino al limite della strada e al semaforo. In Largo della Battaglia c’erano alcune zone asfaltate, ma gli spazi di parcheggio erano relativamente ristretti mentre erano prevalenti le superfici a prato.
 




Sotto la chioma del platano era posizionata la stele in granito, sormontata dalla croce, a ricordo della Battaglia di Verderio avvenuta il 28.04.1799 che vide contrapposte l'armata austriaca, comandata dal generale barone Vukassovich, e l'armata francese, alla cui testa trovavasi il generale Sérrurier. 




 
Il platano al centro della rotonda e la stele della Battaglia di Verderio sulla sinistra

 
Una seconda lapide, più recente, anch’essa murata in Largo della Battaglia ricorda la deportazione da Verderio ad Auschwitz dei componenti della Famiglia Milla, uccisi - perché ebrei - l’11.12.1943.

Il Platano era sicuramente presente alla deportazione dei Milla; non si sa se fosse già presente anche alla battaglia di Verderio: probabilmente no.
 

Per verificarne con maggiore precisione l’età bisognerebbe praticate un piccolo forellino di 2/3 mm per una lunghezza pari almeno al raggio cioè di almeno 85 cm.  Anziché effettuare una indagine invasiva, con qualche rischio di infezione, è preferire continuare a fantasticare sulla sua età e sulle sue origini.
 

Nonostante le numerose ricerche d’archivio, non si hanno immagini del platano giovane o giovanissimo: si possono quindi fare solo delle supposizioni in base alle sue dimensioni. 

E’ certo che dal 1996 al 2016 la circonferenza del fusto è aumentata di 42 cm corrispondenti a un incremento medio di diametro di circa cm 0,67 all’anno. Sembra nulla ma, tradotto in peso, l’incremento annuale distribuito su tronco e rami, corrisponde a qualche quintale di legna che ogni anno si accumula sottraendo grandi quantità di CO2 dalla nostra aria inquinata; con il progressivo sviluppo si incrementa anche la monumentalità del soggetto.
Considerate le dimensioni e con qualche larga approssimazione si può datare la nascita del Platano all’inizio del 900. Potrebbe dunque avere 120 -130 anni.
 

Trattandosi di un albero tra i più comuni e consueti del territorio lombardo nessuno ha pensato di annotare e documentare la sua presenza; ora, viste le dimensioni raggiunte e la sua ubicazione, il platano è diventato un’attrattiva e un punto di riferimento nel paesaggio della Brianza ed anche un richiamo di grande interesse botanico, paesaggistico e culturale.
 

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martedì 12 settembre 2017

DAL PARCO DEL RIO VALLONE AL P.A.N.E. di Marco Bartesaghi


C’ERA UNA VOLTA …
 

C’era una volta, nelle terre di Cavenago, un buco grande … grandegrande … un buco enorme.
 




Quando gli abitanti - del paese e di quelli intorno e della grande città - cominciarono a buttarci i loro rifiuti pensarono che un buco così non sarebbe mai stato pieno.
Invece -un sacchetto oggi e uno domani, un camion prima e un altro dopo – puf!! il buco non c’è più!! finito!!

Era finito il buco ma – guarda un po’ – non erano finiti i rifiuti.
 

“E adesso dove li portiamo?” – “Mah, per ora portiamoli ancora lì”.
 




E così - un sacchetto oggi e uno domani, un camion prima e un altro dopo - è cresciuta una montagna.
Beh, insomma … diciamo una collina, che però, in quel di Cavenago può quasi considerarsi una montagna.
E lo sarebbe diventata, se a un certo punto non avessero detto:  

“Basta, fermiamoci, prima che ci venga tutto addosso!”.
 

Così Cavenago ha avuto la sua collina.
 

“Una collina di spazzatura? Ma che schifo!”
 

Certo, se l’avessero lasciata così.
 

 
Illustrazioni di Chiara Villa


Ma andate a vederla adesso, che è stata ricoperta di terra, che l’erba è cresciuta e sono stati piantati alberi e arbusti e c’è anche un bosco e un laghetto: è una signora collina!
Pensate che da lei è nato il parco del Rio Vallone, che prende nome da un torrente che le passa vicino.
A dir la verità, anche lui non è proprio un torrente …


LA COLLINA DI CEM Ambiente
 

Più o meno così è nato il parco del Rio Vallone.
Verso la fine degli anni ottanta, epoca in cui la raccolta differenziata era solo agli inizi e tutti i rifiuti venivano gettati in discarica, quella di Cavenago, situata nei pressi dell’autostrada e gestita da CEM Ambiente, era ormai esaurita.
 

 
La discarica in funzione (foto dal web)


Il comune di Milano, in difficoltà, premeva, però, affinché continuasse a operare e, in particolare, ad accogliere la sua spazzatura.
Per acconsentire il sindaco di allora,  arch.  Antonio Varisco, oltre a un giusto compenso economico per il suo comune, pretese che la collina che ne sarebbe risultata fosse alla fine “naturalizzata” e intorno ad essa sorgesse una zona protetta, un parco.


***

Fare una collina non è facile (per quelle vere ci sono voluti secoli e secoli). Non basta fare un cumulo di rifiuti, coprirlo di terra, seminare l’erba e piantare gli alberi.
La collina sarà “pronta” quando la discarica - il suo scheletro - che ha cessato di lavorare nel 1994, sarà del tutto bonificata; quando cioè i rifiuti che la compongono saranno completamente mineralizzati.






 



Fino a quel giorno bisognerà continuare a smaltire il biogas prodotto dalla fermentazione dei rifiuti e il percolato, ossia i liquidi che si depositano sul fondo.
Per il trattamento del biogas, che, nei primi tempi, attraverso vie sconosciute penetrava in diverse cantine, soprattutto di Ornago, creando non pochi disagi e qualche pericolo, in collaborazione con il Politecnico di Milano è stato realizzato un impianto che permette di ricavare metano, e poi produrre energia elettrica e calore.
 




Per il percolato è stato realizzato un apposito impianto di depurazione, il cui prodotto finale viene immesso, come previsto dalle norme, nella fognatura comunale.

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Ora la collina è a un buon punto (“ottimo”, mi dice Andrea Pirovano, che fra poco vi presento): in parte è ricoperta da bosco, ospita alcuni piccoli orti e, nella parte alta, un vivaio di piante. 







Nella zona che si ritiene ancora un po’ critica, è stato realizzato uno stagno dove sono stati immessi dei pesci”sentinella”, gli storioni, che sono molto sensibili e morirebbero se ci fossero infiltrazioni inquinanti: resistono da anni, è un buon segno.
 






Insieme al “boscone di Ornago” e alle “foppe di Cavenago”, la collina è diventata un importante luogo di sosta per l’avifauna.



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Dal 2014 la collina è, saltuariamente, accessibile al pubblico: nel mese di maggio CEM organizza “Le domeniche in collina”, aperte alla cittadinanza; altre attività sono rivolte alle scuole e altre ancora sono organizzate dal Parco Rio Vallone. 





IL PARCO DEL RIO VALLONE
 

A voler essere precisi, è un Parco Locale di Interesse Sovracomunale; volendo essere altrettanto precisi, ma più sintetici, è un PLIS; “terra a terra” è il Parco del Rio Vallone.
Nasce nel 1992 su iniziativa dei comuni di Cavenago, Masate, Basiano, Bellusco e Ornago, che hanno voluto mantener fede alla promessa di costituire un parco, fatta quando la collina di rifiuti aveva cominciato a crescere. Più tardi, nel 2005, hanno aderito Mezzago, Sulbiate, Aicurzio e Verderio Inferiore (ora Verderio), , poi sono entrati Gessate (2007), Busnago (2010), Cambiago (2012) e infine Roncello nel 2014.


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L’adesione di un comune al parco non è immediata. L’iter prevede, in primo luogo, una delibera favorevole del Consiglio Comunale, che comprenda l’indicazione delle aree che si vogliono inserire; di conseguenza, è necessaria la modifica dello strumento urbanistico locale, per adeguarlo alla volontà espressa dal Consiglio.

***

Il percorso di Verderio Inferiore ha avuto inizio tra il 1990 e il 1995, con la prima amministrazione guidata da Alessandro Origo. Per incoraggiare la scelta, a una seduta del Consiglio Comunale parteciparono l’allora presidente del parco, l’arch. Antonio Varisco -  quel personaggio, se vi ricordate, che da sindaco di Cavenago ne aveva proposto la nascita - e il direttore, ancor oggi in carica, Massimo Merati.
Quando al Consiglio Comunale toccò esprimersi, lo fece con voto unanimemente favorevole.


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Il parco si sostiene, innanzitutto, grazie ai contributi che i comuni versano annualmente. La quota, per ciascuno di essi, è proporzionale all’ampiezza del territorio inserito e al numero degli abitanti.
 




Queste entrate rappresentano solo una parte del bilancio dell’Ente. Altre significative risorse vengono acquisite attraverso l’adesione a bandi regionali o grazie ai contributi di fondazioni private e altri enti.
I più importanti sono quelli della Fondazione CARIPLO e del Consorzio Brianza Acque.
Con Fondazione CARIPLO è stato realizzato il progetto V’Arco Villoresi (Nota 1), il progetto A.P.R.I.R.E. (Azioni Per il Rafforzamento Integrato delle Reti  Ecologiche), e i progetti Tre Parchi in Filiera e il P.A.N.E.  di cui parleremo più avanti.


***

Nel 2014 il parco aveva raggiunto la sua massima ampiezza, 1600 ettari, sennonché, nel 2016, le nuove amministrazioni comunali di Cambiago e Gessate hanno deciso di interrompere la loro adesione.
Una scelta che brucia come una ferita, soprattutto per quanto riguarda Cambiago.
“Per Gessate in questi anni abbiamo fatto troppo poco” mi dice ancora Andrea Pirovano, quasi a giustificare questo comune “Loro sono anche nel territorio della Martesana, così hanno deciso di aderire a quel parco, anche se ancora in fase di costituzione, e abbandonare il nostro … peccato!”
A Cambiago è stata tutta un’altra storia, perché sul suo territorio, negli ultimi due anni il parco ha speso circa 200.000 euro : 

  • Con la fondazione CARIPLO e il progetto V’Arco Villoresi, ha realizzato una rampa d’ingresso e un percorso in legno di un centinaio di metri, alzato di 50 cm, su una zona umida naturale a ridosso del canale Villoresi. La pedana in legno arriva ad un esagono di panchine da dove è possibile l’osservazione delle farfalle. La zona è lasciata incolta proprio per favorire la proliferazione di questi insetti.
  • Sempre tramite CARIPLO, spendendo 70.000 euro, ha comprato un bosco, a ridosso della zona industriale – “un postaccio che non ti dico” (Andrea) -, l’ha pulito, liberato dai rovi, e realizzato due aree umide.
    Cose ritenute inutili dalla nuova amministrazione comunale (“tutte quelle erbacce, era mica meglio fare una pista di motocross?” pare sia stato detto) che ha comunicato al parco la sua decisione di recedere dall’adesione. Adesso la situazione è strana: a Cambiago, su un’area privata, è stato realizzato un progetto (percorso in legno e punto di osservazione delle farfalle) con il finanziamento CARIPLO e la convenzione con il comune, ora fuoriuscito. In più il parco è proprietario di un’area (il bosco) in un comune che non è più suo socio.
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sabato 3 giugno 2017

TANGENZIALINA A VERDERIO? PREFERIREMMO DI NO





Potete sostenere questa iniziativa, aiutandoci a raccogliere le firme.
Per farlo scaricate e stampate il modulo sottostante.
Grazie


Ricordiamo ancora l'indirizzo a cui rivolgervi per firmare:
 
 



mercoledì 31 maggio 2017

DAL FRIULI A VERDERIO: UNA STORIA D'IMMIGRAZIONE di Marco Bartesaghi

Canciani, d’Anzul, Scubla, Del Fabbro; poi Pelizzo, Virgilio, Miscoria, Molinaro. Sono cognomi presenti a Verderio da decenni, che hanno in comune il luogo di provenienza: la regione Friuli e la provincia di Udine.
Famiglie che si conoscono ancor prima di trasferirsi a Verderio e che innescano una catena d’immigrazione nella prima metà degli anni cinquanta, che si protrae fino ai primi anni settanta del novecento.
Alcuni degli arrivati non provengono direttamente dal Friuli, ma da paesi dell’Europa dove erano emigrati in precedenza.


I CANCIANI
 

Il primo a trasferirsi a Verderio, nel 1953, è Bruno Canciani, classe 1922, che lavora a Milano presso una fornace di mattoni. Nel capoluogo lombardo era giunto dopo aver vissuto per cinque anni in Francia. Prima di scegliere Verderio aveva tentato, con Pietro Scubla, di acquistare un albergo sul lago di Varese, ma la trattativa non era andata in porto.
 

Viene a Verderio perché un amico lo informa che la famiglia Nava, che si è trasferita a Osnago, vende alcuni locali del lato sud della cascina Brugarola.
 

 
Cascina Brugarola a Verderio


Nel 1954 raggiungono Bruno, dal Friuli, i suoi famigliari: il papà Giuseppe (1895 - 1963), la mamma Massimina Cotterli (1904 – 1994), il fratello Onorino, tredicenne. Li convince a lasciare il Friuli la difficoltà di trovare lavoro in quella regione.
 

A Natale del 1955 si unisce a loro anche il fratello Dante (1935). Anch’egli, come Bruno, proviene dalla Francia, dov'era emigrato all'età di 15 anni.
 

Della famiglia facevano parte anche due sorelle Edda e Ida  che, sposate, vivevano a Torino. 

 ***

I Canciani sono originari di Campeglio, una frazione del comune di Faedis, in provincia di Udine.
 

 
Un'immagine di Campeglio di Faedis


In paese sono proprietari della casa dove abitano, costruita con la pietra cavata da loro stessi in una cava della zona. Il proprietario gliel’aveva concessa gratuitamente a patto che loro gli preparassero anche quella necessaria per costruire il suo mulino.
 

Giuseppe Canciani è sensale nella vendita di animali e, con carri trainati da cavalli, svolge anche attività di trasporto.
 

Per un certo periodo, prima della seconda guerra mondiale, la famiglia risiede a Plezzo, un paese dell'alta valle dell'Isonzo, ora in Slovenia, dove la signora Massimina ha aperto un negozio di frutta e verdura.
 

Un grave incidente subito da Giuseppe, che, alla guida del suo carro, viene travolto da un camion sulla strada per Cividale, li costringe a tornare a Campeglio.

 ***

Il Friuli è stata per secoli terra di emigrazione [1]. Giuseppe in Germania ci va all'età di 12 anni. Torna in Italia, ventenne, allo scoppio della prima guerra mondiale, perché se fosse rimasto là avrebbe dovuto combatterla contro gli italiani.
 

Non si sottraggono all'emigrazione all'estero i suoi due figli maggiori, Bruno e Dante. Il primo parte, intorno al 1947, per la Francia. Dante lo raggiunge nel 1951. Restano insieme però per poco tempo, poiché nel '52, Bruno trova la fidanzata e torna in Italia, a Milano, per esserle più vicino.
 

Bruno Canciani con la moglie, Maria D'Anzul, in piedi, e la cognata Gesuina
 
Dante in Francia ci va ufficialmente come turista, perché ha solo 15 anni e cinque mesi, età non sufficiente per un contratto di lavoro regolare. Ricorda di aver trovato impiego prima in una cava e poi in un cantiere per la costruzione di una diga: “lavoravo con quei trapani che una volta erano collegati con grossi tubi per l’aria compressa e tremavano tutti. La sera, anche dopo aver finito il lavoro, andavi avanti a tremare. Si figuri poi io, che allora ero alto un metro e cinquanta ...”.
In Italia viene per un mese all'anno, nel periodo di Natale.


Dal Friuli, la famiglia di Bruno arriva a Verderio con un camion a rimorchio che, troppo pesante per la strada ancora sterrata, si adagia nel fossato e vi rimane per tutta la notte.
Hanno portato con sé i mobili e due vacche di razza Simmental, bianche e rosse, molto grandi (tra i 5 e i 7 quintali). Bestie insolite, per la loro mole, agli occhi dei verderiesi, che si stupiscono ancor più vedendole mungere da un ragazzino, Onorino. Lui ricorda una vicina, Irene Oliveira, che chiama a raccolta gli altri contadini: “Gènt, vegni chi a vedè ch’el bagaij chi ch’al munc ul vacun”.
 

Il primo impatto con la nuova casa a Verderio non è buono: è disabitata da tempo, il tetto fa acqua da tutte le parti, i serramenti sono cadenti, le porte basse, i camini completamente anneriti. Prima rifanno il tetto, poi, lavorando ogni giorno fino a mezzanotte, dopo le dieci ore passate in cantiere,  recuperano a una a una le stanze. Il risultato è più che dignitoso.
 

Anche alcune abitudini dei verderiesi li lasciano perplessi: per paura dei ladri chiudevano a chiave la porta di casa– cosa che in Friuli, a loro dire si fa solo da dopo il terremoto del 1976, quando sono cominciati ad arrivare parecchi forestieri -; portavano al piano di sopra, dove dormivano, la radio e la bicicletta; ritiravano e mettevano sotto il tavolo anche la gabbia con le galline.
 

Rimangono invece meravigliati dalle capacità e dalla precisione dei contadini locali nel loro lavoro, - “non un grano fuori posto, i covoni di frumento perfetti, il granoturco che cresceva con solo il melgasc, senza una foglia intorno” - livelli irraggiungibili, pensano, per loro che iniziano a fare lo stesso mestiere.
 

La convivenza con le famiglie che già abitavano in cascina non è mai stata difficile, le abitudini diverse non creavano problemi. Una certa diffidenza nei loro confronti, in quanto forestieri, si notava quando si recavano in paese, ma anche questo atteggiamento fu presto superato, grazie alla conoscenza reciproca.
 

Insieme alla casa Bruno aveva acquistato alcuni terreni. Questi erano ancora ingombrati dai gelsi, eredità della passata epoca dell’allevamento dei bachi da seta. Lasciato il lavoro alla fornace, si dedica a sradicarli e a venderne il legname. Quando un anno dopo la famiglia lo raggiunge, acquistano altri appezzamenti di terra  - dal signor Brivio, barbiere di Verderio Superiore, e da un certo Camillo – e iniziano a lavorarla.
 

Non ci mettono tanto però a capire che con l’agricoltura non sarebbero riusciti a tirare avanti e tutti e tre i figli maschi trovano lavoro come muratori nell’impresa edile Leoni di Sulbiate, una ditta che esiste ancora oggi e che allora aveva una settantina di dipendenti.
 

Il lavoro dei campi rimane ancora, nelle ore libere, il sabato e la domenica, come anche, al mattino appena alzati, la mungitura e il rifornimento dell’acqua, che ancora non arrivava fino a casa. Bell’impegno, se sommato alle dieci ore su e giù dai ponteggi e all’altra oretta in bicicletta per andare e tornare dal cantiere.

***
 Bruno Canciani, nel 1955, sposa Maria D’Anzul (1926 – 1992). Avranno due figlie, Daniela nel 1956 e Bruna nel 1957.
 

 
Maria D'Anzul e Bruno Canciani


Il 22 maggio 1959, una giornata piovosa, mentre si reca al lavoro in motorino, in centro ad Arcore Bruno viene investito da un camion della ditta Cademartori. Nella caduta batte la nuca e muore sul colpo.
 

Dante rimane celibe e ancora oggi abita i locali di cascina Brugarola dove si era insediata la famiglia arrivando a Verderio.
 

Dante Canciani
 
Onorino sposa Flora e ora è pensionato.

Onorino Canciani
 ***

Da Torino si trasferisce a Verderio anche Lidia Cosatto, figlia di Ida Canciani, nata nel 1946, che nel 1970  sposa Rinaldo Corno. Lidia lavorerà nell'ufficio postale di Verderio Inferiore, fino a diventarne direttrice.

I D'ANZUL

Quando Maria d’Anzul si trasferisce a Verderio, dopo aver sposato Bruno Canciani, porta con sé la famiglia: il papà Giovanni (1887 - 1980), nato a Borgo Cancellier, frazione di Attimis (UD), la mamma Matilde Cerneaz (1901 - 1989), di Faedis, e la sorella Gesuina. La famiglia comprende anche il fratello Rinaldo (1922 – 1954), reduce dalla campagna di Russia, che muore in Belgio, dove era emigrato per lavorare nel bar di uno zio. Nel 1987 la sua salma è stata rimpatriata e ora è sepolta a Verderio.


 

Anche i D’Anzul si insediano in cascina Brugarola, in alcuni locali del lato ovest, a destra, entrando, del portone d’ingresso.
 

Come quando abitava in Friuli, Giovanni continuerà a fare il contadino anche a Verderio.

Giovanni D'Anzul in cima al covone a cui sta lavorando con le figlie Gesuina, in centro, e Maria, a sinistra

Maria, dopo la morte del marito avvenuta nel 1959, sarà assunta come bidella alle scuole medie del paese, che allora avevano sede nel municipio di Verderio Superiore.
 

 Giovanni D'Anzul con la moglie Matilde Cerneaz; a destra le nipoti Daniela, seduta e Bruna Canciani; a sinistra una sorella di Matilde con una figlia.
Gesuina, classe 1930, è fidanzata con un altro friulano, Pietro Scubla, che fin dall'inizio era coinvolto con Bruno Canciani nell'idea di acquistare casa a cascina Brugarola

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lunedì 29 maggio 2017

FIORITURA DEI GLICINI A VERDERIO di Marco Bartesaghi











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