domenica 26 luglio 2015

DUE CARTOLINE "A PIÙ VEDUTE" DI VERDERIO SUPERIORE di Marco Bartesaghi


Vi presento due cartoline di Verderio Superiore, dello stesso genere, “a più vedute”, ma di epoche diverse. 

La più vecchia - decisamente più bella - è in bianco e nero, leggermente virata a seppia. 


L'esemplare che possiedo è stato spedito da Verderio, per Milano, il primo ottobre del 1930.
 

Due  delle quattro vedute che la compongono, possono aiutare a datarla: quella del municipio di Verderio, costruito nel 1910, e quella della villa Gnecchi (già Confalonieri), che non ha ancora  le statue sul tetto e quindi risale alla prima metà degli anni venti del novecento.



La seconda cartolina, a colori, con al centro una pianta di ciclamino, è anch'essa composta da quattro immagini. L'esemplare che possiedo ha viaggiato nel 1968 da Verderio ad Arsago Seprio (VA).

Utile, per stabilire la sua data di nascita, è quella dell'edificio d'angolo fra via Rimembranze (oggi viale dei Municipi) e via Principale, sede dell'ufficio postale, che è stato costruito nella prima metà degli anni sessanta . Inoltre mi risulta che il  negozio del barbiere, Michele Colavito,  si sia stabilito lì nel 1965.


Le due cartoline hanno in comune tre immagini: la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano, il municipio, la villa Gnecchi.

Il confronto fra le immagini delle chiese è quasi inutile: cambia solo l'età degli alberi. Inoltre presumo, perché per come è tagliata la fotografia non lo posso verificare, che quando fu scattata la più vecchia non fossero ancora state realizzate le aiuole sul sagrato, presenti nel'altra.
 

Nel municipio della cartolina in bianco e nero è ancora presente la recinzione in ferro, requisita nel 1942 per le esigenze della guerra.

 
Le ville si differenziano per la presenza, nella fotografia a colori, delle statue sul tetto, volute nella seconda metà degli anni venti, da Vittorio Gnecchi Ruscone.
 






Nella cartolina in bianco e nero, dedicata alle opere pubbliche realizzate in paese dalla famiglia Gnecchi Ruscone, è presente anche l'asilo Giuseppina Gnecchi, a cui era annesso l'oratorio femminile.





 


L'immagine è interessante perché si vede l'edificio come era in origine, senza l'ampliamento sul lato est e con il porticato ancora aperto.
 




 
L'"Asilo Giuseppina" oggi



Nella cartolina  più recente, un riquadro è dedicato, come già accennato, all'edificio d'angolo fra via Rimembranze e via Principale, costruito nella prima metà degli anni sessanta, su un terreno che era stato di proprietà del macellaio Sala (Fiuranell) che, ad edificio completato, trasferì lì il suo negozio, situato prima all'angolo fra via Principale e via Fontanile. Sulla sua attività di macellaio questo blog ha dedicato un articolo che potete trovare al seguente indirizzo: http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/search?q=fiuranel





 

Di fianco al macellaio il barbiere, Michele Colavito, che, come già detto, aprì il suo negozio appena l'edificio fu pronto, probabilmente nel 1965, e vi rimase per 27 anni, fino al 1992, quando lasciò Verderio per Ronco Briantino, dov'è tuttora, sulla via principale, insieme alla figlia Rosy gestisce un negozio di parrucchiere.
 

 

IL “FIGARO” TRASLOCA A RONCO – I DUE VERDERIO RESTANO SENZA PARRUCCHIERE: questo il titolo del Giornale di Merate, quando Michele si trasferì.
 

Per fortuna era il 1992 e penso – spero – che nessuno possa imputare anche questo “fattaccio” alla fusione dei due Comuni.


 



CARRETTIERI E CAVALLANTI IN BRIANZA. UN ANTICO MESTIERE DA TEMPO SCOMPARSO di Beniamino Colnaghi



Qualche mese fa, mentre stavo ricostruendo la storia di mio nonno paterno(1), morto a 41 anni sul carro trainato da Nino, il cavallo di famiglia, mi imbattei in una categoria di lavoratori che oggi non esiste più: i cavallanti, o carrettieri, come dir si voglia. Mi incuriosì l’essenza romantica, seppur dentro una vita di stenti e privazioni, di quel mestiere, il rapporto intenso tra l’uomo ed il suo cavallo, l’uscire dallo stretto ambito del villaggio per scoprire realtà e mondi diversi. Spiriti liberi? Esseri alla ricerca di indipendenza? Nomadi? Oppure, più semplicemente, persone mosse dal bisogno e dalla necessità di far quadrare i bilanci familiari?   

Partiamo da uno dei due attori principali: il cavallo. Possiamo affermare che senza il contributo del cavallo il corso dell'evoluzione e della storia dell'uomo sarebbero stati sicuramente diversi? Probabilmente sì. Fra i molti animali domestici che hanno affiancato l'uomo nella sua evoluzione e nella storia, il cavallo ha avuto indubbiamente il ruolo di protagonista. Pensiamo a tutte le attività in cui il cavallo ha affiancato l'uomo: il lavoro nei campi, il trasporto di persone e cose, la compagnia negli spostamenti e nei viaggi, la partecipazione alle guerre e alle conquiste, la salvezza di vite umane, la fedeltà in campo sportivo e ricreativo.  
Il cavallo radunava attorno a sé un fitto sciame di persone per la sua cura. Dal maniscalco al sellaio, dal cavallante al manovale addetto alla pulizia della stalla, questi animali offrivano ed esigevano lavoro. Nei borghi contadini, fino agli anni Sessanta, i cavalli erano innumerevoli. Ogni famiglia che lavorava la terra ne aveva uno. In ogni corte e nelle cascine se ne contavano più d’uno, a seconda delle esigenze e delle dimensioni del luogo. Ma chiunque poteva permetterselo investiva nell'acquisto di un cavallo. 



PER CONINUARE A LEGGERE QUESTO ARTICOLO VAI SUL BLOG DI BENIAMINO COLNAGHI: STORIA E STORIE DI DONNE E UOMINI
AL SEGUENTE INDIRIZZO 


giovedì 23 luglio 2015

SONT'ANTONI DEL PURSCELL. Due "diondul" raccontati da Anselmo Brambilla

Il “diondul” è il racconto che, nelle stalle in inverno, veniva trasmesso oralmente, principalmente dalle nonne, ma anche dalle mamme. A differenza del semplice raccontare un fatto, la “diondula” aveva solitamente anche lo scopo di trasmettere valori morali agli ascoltatori. Non a caso alcune diondule erano talmente truci che riuscivano a terrorizzavano i giovani ascoltatori.
“Diondul” è un termine dialettale molto antico usato in alcune parti della Brianza, del Milanese e del Ticinese.

Questi due “diondul” su Sant'Antonio, li raccontava mia madre Carlotta, nelle sere d’inverno, quando, nell’angusta stalla, cercavamo di resistere al freddo, facendoci riscaldare dal fiato dell’unica mucca. Sono riuscito a recuperare questi ed altri racconti  recuperate anche grazie alla memoria di Teresina Brambilla, mia sorella.

Anselmo Brambilla     



SONT ANTONI DEL PURSCELL - Sant'Antonio del maiale


Sant Antonio era un povero frate francescano che girava il mondo facendo buone azioni per invogliare la gente a comportarsi bene così da guadagnarsi il Regno di Dio.

Sant’Antonio era un uomo pio e devoto al quale Dio aveva concesso il dono di fare miracoli, guarire uomini e animali.

Un giorno gli si presenta una scrofa con un maialino male in arnese, rachitico e anchilosato.  


La statua in gesso di sant'Antonio, conservata presso la cascina Santa Teresa di Verderio

La scrofa chiede al Santo di guarirlo e renderlo sano e vivace, cosa che il pio uomo farà immediatamente perché anche una scrofa è una mamma ed il suo amore va premiato.

Da quel momento il Santo verrà raffigurato sempre con accanto il maialino, e verrà chiamato dai brianzoli Sont’Antoni del purscel. 



 
Sant'Antonio abate in una stampa devozionale di quelle che si appendevano nelle stalle, a protezione degli animali (archivio Bartesaghi)





UL FŐG DE SONT ANTONI -Il fuoco di Sant'Antonio

Gli uomini non conoscevano il fuoco o, almeno, non lo possedevano. Un giorno arriva il Santo con l’inseparabile maialino e gli uomini lo pregano affinché faccia loro dono del fuoco, andando a prenderlo all’inferno.

Sant’Antonio promette di fare qualcosa, scende all’inferno e chiede a Satana di prestargli un po' di fuoco, ma il diavolo si rifiuta di farlo entrare a prenderlo.

“L’inferno non è un posto adatto per un Santo – pensa il demonio - quindi se ne vada immediatamente".

Sant’ Antonio non si perde d’animo e si accampa, con l’inseparabile maialino, fuori della porta dell'inferno per cercare un modo, prima o poi, di carpire un po' di fuoco.

Un giorno mentre la porta dell'inferno  era aperta per fare entrare un gruppo di anime dannate, il porcellino si intrufola tra di loro ed entra prima che la rinchiudano.

L’entrata del maialino getta lo scompiglio nell’inferno. Tutti i diavoli si mettono alla sua caccia, senza  molto successo.



Sant'Antonio nel polittico di Giovanni Canavesio, della chiesa parrocchiale dei santi  Giuseppe e Floriano a Verderio

Il maialino correndo all’impazzata di qua e di là mette a soqquadro tutto, compromettendone il regolare funzionamento dell'inferno. Bisognava prenderlo a tutti i costi e buttarlo fuori, ma la cosa non si presentava semplice.

Dopo vari infruttuosi tentativi, Satana decide di uscire e chiamare Sant’Antonio rimasto fuori della porta, per chiedergli di riprendersi il pestifero maialino.

Come entra nell’inferno, senza dare nell’occhio, il Santo appoggia nelle fiamme il suo bastone, il quale, essendo di legno duro, non prende fuoco. Solo si forma sulla punta della brace, (el brasa come si dice in dialetto). Dopodiché chiama il maialino e rapidamente escono e tornano dagli uomini, ai quali il Santo consegna il bastone infuocato.

Grazie a Sant’Antonio e al maialino da quel momento gli uomini possiedono il fuoco.

Anche il nome assunto dalla fastidiosa e pruriginosa malattia che colpisce alcune parti del corpo, chiamata fuoco  di Sant’Antonio, deriva dalla stessa leggenda del fuoco preso dal Sant'Antonio a Satana. Si dice infatti che il demonio abbia prodotto quell'infermità per vendicarsi dell’inganno subito dal Santo.



Anselmo Brambilla, 10 giugno 2004


Immagine murale di Sant' Antonio della Curt di Spirit, in via Fontanile a Verderio. Il dipinto è stato del tutto cancellato durante una recente ristrutturazione.










lunedì 13 luglio 2015

LUIGI DEAMBROGI - CLASSE 1892 -2° REGGIMENTO BERSAGLIERI di Carla Deambrogi Carta















 Al termine del servizio di leva, le reclute dell'anno 1892 non furono congedate: era già scoppiata la prima guerra mondiale e, quando anche l'Italia entrò in guerra, furono i primi militari ad essere inviati al fronte.
Luigi Deambrogi, ai primi di aprile del 1917, fu inviato in Grecia, dove l'Italia combatteva contro l'Impero Ottomano. Morirà il 13 maggio 1917.
Poiché la sua famiglia, a distanza di oltre 16 anni, non era ancora riuscita ad avere notizie precise sul luogo della sepoltura, il fratello Antonio pensò di rivolgersi al maggiore Leitenitz, suo capitano durante la guerra (col quale aveva sempre mantenuto una regolare corrispondenza) il quale, dopo due settimane inviò i dati richiesti, che gli erano stati comunicati dall'ufficio competente.





 


 
Lettera del Maggiore Leitenitz ad Antonio Deambrogi, fratello di Luigi



Successivamente l'ufficiale scrisse una lettera, che non ho trovato, con notizie riguardanti il ferimento e la morte di Luigi, che era mio zio. Nella lettera il capitano raccontava che Luigi Deambrogi, a Monastir, era stato colpito da una granata che gli aveva spezzato una gamba.



 
Le notizie su Luigi Deambrogi, comunicate dagli uffici militari al Maggiore Leiteniz


Trasferito all'ospedale militare di Salonicco, era morto il 13 maggio 1917. Il suo corpo è sepolto a Zeitinlik, il cimitero militare della città.


 




Alcune immagini del cimitero militare italiano Zeitinlik, a Salonicco










sabato 11 luglio 2015

DA VERDERIO A CISANO - NOTE DI UN ANTIQUARIO - di Francesco Gnecchi Ruscone,1882. Introduzione di Marco Bartesaghi

Questa è l'introduzione a un testo di Francesco Gnecchi Ruscone, intitolato DA VERDERIO A CISANO - NOTE DI UN ANTIQUARIO, che avevo pubblicato nel 2009 sul blog, in diverse puntate. Questa soluzione rendeva difficile la lettura.  Ho perciò riunito i vari pezzi in un solo testo. M.B.
Francesco Gnecchi Ruscone

PREMESSA
Questo articolo è stato pubblicato in due fascicoli di Archivi di Lecco: la prima parte nel N.4 dell'ottobre - dicembre 2001; la seconda nel N.1 del gennaio - marzo 2003. Ogni parte era preceduta da un'introduzione.
Per il blog ho ulteriormente diviso il testo, facendo corrispondere ogni parte a un fascicolo del "Giornale di Famiglia". Analogamente ho suddiviso le introduzione nei capitoli che le compongono e ne pubblicherò uno per ogni puntata dell'articolo.
Per ogni iscrizione trascritta da Francesco Gnecchi ho cercato di conoscere e descrivere quale sia lo stato in cui attualmente si trova. Queste descrizioni si trovano in coda al testo di Gnecchi.


INTRODUZIONE
 

Nel testo che proponiamo, scritto intorno al 1882, Francesco Gnecchi Ruscone presenta e commenta iscrizioni di vario genere, raccolte sul tragitto tra Verderio, dove gli Gnecchi erano fra i maggiori possidenti di case e terreni, e Cisano Bergamasco, dove erano stati proprietari di uno stabilimento per la filatura della seta.
Il percorso, lasciata Verderio, si snodava attraverso Paderno d'Adda, Robbiate, Imbersago e il Santuario della Madonna del Bosco, Arlate, Brivio, dove con il traghetto si superava l'Adda, Cisano.
Alcune iscrizioni si incontravano sulla strada: muri esterni di case e cascine, facciate di chiese, edicole sacre; altre all'interno di edifici: chiese, ville, cimiteri. Di alcune restava già allora solo il ricordo; altre, benché il testo fosse stato composto, non furono mai realizzate.
Lo scritto, intitolato "Da Verderio a Cisano. Note di un antiquario", era destinato al "Giornale di Famiglia", pubblicazione interna alla famiglia Gnecchi Ruscone, tenuta in vita dal 1868 agli inizi del novecento.


PRIMA PAGINA DELLE "NOTE DI UN ANTIQUARIO
NEL "GIORNALE DI FAMIGLIA DEL 22 GENNAIO 1882

Nato come "Giornale delle fanciulle", ad opera delle sole ragazze, si era presto trasformato in "Giornale di famiglia", forse per soddisfare l'interesse alla collaborazione manifestato da una cerchia più vasta di parenti ed amici intimi.
Privilegiava le cronache familiari, ma accoglieva anche articoli d'arte, letteratura e scienza, racconti, storielle comiche e giochi enigmistici.
Era compilato a mano, su fogli formato 16X23 cm, dove una cornice color violetto (nera per i necrologi), decorata agli angoli, delimitava lo spazio degli articoli.
Nella testata, sul nome Gnecchi ricavato in bianco dallo sfondo viola (o nero), la scritta "Giornale di famiglia - periodico settimanale" e, più in piccolo, la frase latina "Haec olim meminisse juvabit".
Aveva cadenza settimanale, solitamente una copia di "tiratura", in alcuni casi di più (1).
Veniva rilegato annualmente e ogni volume era corredato di indice dei testi con indicazione degli autori e, qualche volta, dei "copisti".
Le "Note di un antiquario" furono pubblicate in sei numeri del 1882: 720 e 721 rispettivamente del 22 e 29 gennaio; 722, 723 e 725 del 5,12,26 febbraio; 735 del 14 maggio (appendice). Tra il 722 e il 723 è inserito un acquerello dell'autore, tratto da una stampa di Carlo Amati, rappresentante la battaglia di Verderio del 1799 (2).


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Già alla fine del XVII secolo, la famiglia Gnecchi, originaria di Garlate, era dedita alla produzione della seta. Verso la fine del settecento quest'attività, svolta agli esordi in forma men che artigianale, si era ormai trasformata in una fiorente industria, avviata a divenire una delle più importanti del settore. Trasferitasi a Milano, la famiglia occupò e mantenne per più di un secolo un posto di prim'ordine nella borghesia imprenditoriale cittadina: il suo diario, ricco di cronache di eventi artistici e culturali, rappresenta perciò un prezioso documento della vita milanese dell'epoca.
Il "Giornale" è anche ricco di testimonianze su Lecco ed il territorio circostante (3), grazie soprattutto agli interventi dell'ingegner Giuseppe Brini, lecchese, figlio di Antonia Gnecchi, zia di Francesco, e poi marito della sorella di quest'ultimo, dunque d'una cugina, Amalia.

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A Verderio la famiglia Gnecchi approda nel 1842,quando i fratelli Giuseppe e Carlo ereditano da uno zio materno, Giacomo Ruscone (4), i terreni e la villa che questi aveva acquistato nel 1824 dal Marchese Decio Arrigoni. Dello zio, per sua espressa volontà, acquisiscono anche il cognome, che da allora accompagna ed identifica questo ramo della famiglia: Gnecchi Ruscone.

CANCELLO D'ENTRATA DELLA PRIMA VILLA APPARTENUTA
AGLI GNECCHI A VERDERIO, IN PIAZZA S.AMBROGIO

Da quell'anno, per più di un secolo, la presenza della famiglia ha caratterizzato la vita del paese. In campo politico: suoi componenti hanno occupato quasi (ininterrottamente la carica di sindaco (e di podestà durante il periodo fascista); sociale: è stata artefice della costruzione delle più importanti opere pubbliche; economico: era alle sue dipendenze gran parte delle famiglie contadine.

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Con interi articoli o brevi citazioni che si susseguono per l'intero arco della sua vita, il "Giornale di famiglia" testimonia dell'intenso legame che si instaura fra gli Gnecchi e Verderio. A dimostrazione proponiamo alcuni titoli, scelti fra i pezzi conservati nell'Archivio Storico del paese (vedi nota 1):
 
-"La festa di Verderio - 5 settembre 1880", Ercole Gnecchi. Cronaca della "Messa d'Oro" del parroco, don Olimpio Tacconi.
-"Storia di alcune istituzioni a favore dei nostri coloni e dipendenti - 1880", Giuseppe Gnecchi. Argomento affrontato anche in anni successivi e che non riguarda solo Verderio.
-"Tiro alla quaglia.- 12 settembre 1881", Ercole Gnecchi.
-"La nuova cappelletta di Verderio", Ercole Gnecchi; scritto fra il 1881 e il 1883. Si tratta della cappelletta dell'Assunta sulla strada per Cornate.
-"Sull'origine del nome Verderio e sulla presenza dei Templari", Ercole Gnecchi; senza data.
-"Storia di quattro pozzi", Giuseppe Gnecchi; scritto intorno al 1884.
-"Asilo di Verderio - Chiusura dell'annata scolastica 1891 - '92", Giuseppe Gnecchi.
 
Notizie su Verderio si possono ricavare anche da altri articoli meno specifici, come i resoconti delle vacanze autunnali che la famiglia soleva qui trascorrere. Si viene ad esempio a sapere che nel 1877 venne completata la Cascina Isabella, nel 1883 gonfiato un enorme pallone aerostatico e nel 1895 inaugurata la Fonte Regina.


ULTIME RIGHE DELLE"NOTE", CON FIRMA DI
FRANCESCO GNECCHI, NELLA MINUTA CONSERVATA PRESSO
L'ARCHIVIO STORICO DI VERDERIO"

FRANCESCO GNECCHI RUSCONE

Figlio di Giuseppe (1817 - 1893) e della Contessa Giuseppina Turati (1826-1899), Francesco Gnecchi nasce a Milano l'8 settembre del 1847.
Frequenta le scuole superiori presso il Collegio dei Barnabiti di Monza e forse continua poi gli studi presso l'Università di Pavia (5).
L'11 febbraio 1873 sposa Isabella Bozzotti da cui avrà tre figli: Cesare (1873 - 1935), Vittorio (1876 - 1954) (6), Carla (1886 - 1970).

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Partecipa attivamente alla vita politica milanese. Almeno dal 1882 è membro dell'Associazione Costituzionale Milanese, impegnata, come recita il suo statuto, a "raccogliere le forze del partito liberale moderato" e ad "ottenere la maggior educazione civile e politica delle masse". Nel 1892 è candidato nella lista sostenuta dal "Comitato Liberale Indipendente" e viene eletto in Consiglio Comunale, dove rimane per gli anni amministrativi 1892/93 e 1893/94.
Il suo impegno nei confronti delle problematiche sociali si manifesta anche nella partecipazione a specifiche iniziative: dal 1884 è nel consiglio direttivo del "Patronato di assicurazione e soccorso per gli infortuni del lavoro" e dal 1892 nel consiglio d'amministrazione del "Pio istituto oftalmico" per la cura delle malattie degli occhi.

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Diventa Sindaco di Verderio nel 1893, succedendo al padre, primo cittadino dal 1859 al 1889, ed al conte Luigi Annoni.
Sulle orme dei genitori, a cui si deve la realizzazione dell'asilo infantile e del cimitero, promuove, con i fratelli Ercole ed Antonio, la costruzione di alcune importanti opere a Verderio Superiore: la Fonte Regina, 1895, impianto idraulico che garantirà per decenni la fornitura di acqua potabile al paese; la chiesa e la casa parrocchiale, 1902, volute dalla madre, Giuseppina; l'edificio municipale, 1910, comprendente anche le aule scolastiche.
Nel 1902 è primo firmatario di una petizione con cui "i rappresentanti la maggioranza dei possidenti e degli elettori amministrativi" di Verderio Superiore chiede al Ministero degli Interni la separazione da Verderio Inferiore, dove contemporaneamente era stata avviata un'analoga iniziativa, e la costituzione del comune autonomo, risultato che verrà conseguito nel 1905.

***
Nel 1875 viene associato alla ditta di famiglia - "Figli di Giuseppe Antonio Gnecchi" - dedita alla produzione ma anche, e quasi esclusivamente negli ultimi anni di attività, alla commercializzazione dei filati di seta. Dopo il suo scioglimento, il 30 aprile 1878, entra nel consiglio d'amministrazione di numerose aziende che operano in svariati settori : tessile (Lanificio Rossi, Società per la filatura dei cascami di seta), elettrico ( Società Edison Italiana, Società Telefonica Lombarda, Società elettrica ed elettrochimica del Caffaro), bancario (Banca Mutua Popolare, poi Banca Popolare di Milano) ed altri ancora (Società Briantea per la Ferrovia Monza Calolzio, Società anonima omnibus e vetture).




La decisone della famiglia di interrompere la gestione diretta dell'azienda commerciale, fu presa anche in considerazione del peso sempre maggiore che gli interessi culturali avevano assunto nella vita di Francesco e del fratello Ercole. Così il primo ne parla sul "Giornale di Famiglia":
"Con piacere dedicavamo buona parte del nostro tempo agli studi, principalmente alla numismatica , alla pittura, alla musica, ed il tempo consacrato a queste cose non poteva che essere a detrimento degli affari, giacché volendo riuscire bene in qualche cosa, qualunque questa sia, è necessario mettervi anima e corpo e non avere la mente distratta da altri pensieri" (7)

Si dedica con interesse costante alla pittura avendo come maestro Achille Formis e come compagni il cugino/cognato Giuseppe Brini e l'amico Alessandro Vanotti (8). Privilegia il paesaggio e la natura morta floreale; interessante è la sua produzione di cartoline e biglietti all'acquerello.
Esordisce in pubblico , presentando sei opere, all'Esposizione Nazionale di Milano del 1881. Successivamente espone alle mostre annuali di Brera (1882;'83; '84; '85) e alla Permanente (1886; 1890), istituzione di cui fu autorevole membro (9).
Poliedrico collezionista, raccoglie testi autografi (10), cimeli e documenti risorgimentali e soprattutto (ne parleremo a parte) monete.
Dal 1878 fa parte della "Società Storica Lombarda" la cui rivista, "Archivio Storico Lombardo", si occupa in varie occasioni della sua attività di numismatico (11) e di collezionista di autografi.
Per diversi anni è membro della Commissione di assistenza al Conservatore del Castello Sforzesco, partecipando ai lavori del sottogruppo che si occupa dei musei d'arte e archeologia.

***
Come presidente del consiglio d'amministrazione della "Società per la filatura dei cascami di seta", è coinvolto nello scandalo che colpisce alcuni membri di questa azienda. Sono accusati di tradimento per aver venduto all'Austria cascami di seta, materiale utilizzato nell'industria bellica dell'epoca. Insieme ad altri imputati, nel febbraio del 1918, viene arrestato e imprigionato a Roma nel carcere militare di Regina Coeli: muore il 15 giugno 1919, alle ore 9, presso l'ospedale Kinesiterapico di Roma, pochi mesi prima della sentenza del tribunale militare che l'avrebbe visto assolto dalla gravissima ed infamante accusa.
FRANCESCO GNECCHI RUSCONE NUMISMATICO

FRANCESCO GNECCHI RUSCONE
AUTORITRATTO, 1885
Seguiamo il percorso di Francesco Gnecchi in campo numismatico - intrapreso e condiviso totalmente con il fratello Ercole - attraverso la sua "Autonecrologia", testo redatto con l'intento di facilitare il compito "ai futuri necrologisti", pubblicato nel 1919 in un fascicolo in sua memoria curato dal "Circolo Numismatico Napoletano".



"Io nacqui col bernoccolo del collezionista, con un elemento cioè di felicità, che atavicamente mi veniva da parte materna".
Questo "bernoccolo" lo porta, insieme al fratello Ercole, ad intraprendere , nell'infanzia, innumerevoli raccolte: "erbario, fossili, mineralogia, insetti, uccelli, autografi, documenti, disegni, francobolli e"- finalmente - "monete".
Dell'origine di quest'ultima collezione, che prenderà il sopravvento, pur non soppiantando mai del tutto le altre, così scrive ancora:
"Le nostre cognizioni erano nulle, i denari disponibili pochini assai e li dedicavamo allegramente alle vecchie monete che ci era dato trovare presso gli antiquari, né occorre dire che erano da noi acquistate confusamente, dando solo la preferenza alle più logore e consunte, che ci sembravano le più antiche".

Da questo gioco iniziale nasce l'esigenza di studiare a fondo la materia e di procedere con razionalità nella raccolta.
Dapprima abbandonano le monete estere, concentrandosi su quelle italiane, antiche e moderne; poi si dividono i campi d'interesse: Francesco prosegue la serie antica romana, Ercole la medievale.


Grazie all'accresciuta disponibilità finanziaria acquistano ora presso i migliori negozi italiani ed esteri, partecipano ad aste pubbliche, acquisiscono intere collezioni.
Nel 1880 la casa editrice Hoepli pubblica "Monete imperiali romane inedite nella collezione di Francesco Gnecchi di Milano", libretto di sessantasei pagine in cui sono da lui descritti 459 pezzi della sua raccolta. Primo di una lunga serie di libri ed articoli per riviste specializzate, fra i quali ricordiamo: "Monete di Milano da Carlo Magno a Vittorio Emanuele II", Milano, 1884, in collaborazione con Ercole; "Monete romane - manuale elementare", opera divulgativa, Milano, 1896; "I medaglioni romani descritti e illustrati", tre volumi, Milano, 1912.




Se non tutti i critici, anche suoi contemporanei, sono stati concordi nel giudicare positivamente l'aspetto scientifico della sua opera, unanime è comunque il riconoscimento del contributo che egli ha dato alla conoscenza ed alla diffusione della numismatica in Italia.
"Attraverso il vaglio della critica la personalità di Francesco Gnecchi uscirà forse diminuita dal punto di vista puramente scientifico ma non per questo muteranno in noi i sentimenti di riconoscenza che gli dobbiamo per l'opera sua trentennale di propagandista della nummofila e della numismatica". Così scriveva in un severo articolo, apparso alla morte di Gnecchi sulla "Rivista Italiana di Numismatica", Lodovico Laffranchi (12), direttore della rivista, che aggiungeva:
"Chiunque dovrà convenire che è merito quasi esclusivo di Gnecchi se rimasero in Italia molti cospicui monumenti numismatici i quali, senza la sua ininterrotta ricerca collezionistica durata un quarantennio, già da molti anni sarebbero invece nei musei esteri".


Fin dai primi anni ottanta del XIX secolo, i fratelli Gnecchi si prodigano affinché anche in Italia, come già in diversi paesi europei, studiosi e collezionisti possano disporre, a livello nazionale, di un'associazione che li riunisca e di uno strumento per divulgare i risultati delle loro ricerche.
E', in gran parte, frutto di questo loro impegno la nascita, nel 1888, della "Rivista Italiana di Numismatica" e, quattro anni dopo, della "Società Italiana di Numismatica".
Della prima saranno direttori, insieme, per quasi trent'anni, a partire dal 1889: "uno dei periodi più fervidi della rivista", si ricorda negli Atti del centenario (13).
Per tutto questo periodo Francesco collabora ad ogni numero, con note ed appunti, soprattutto di numismatica romana ed imperiale.


Nel 1892 viene fondata la "Società Italiana di Numismatica". La prima riunione si tiene in via Filodrammatici 2 a Milano. Il Conte Nicolò Pappadopoli è nominato presidente, Francesco ed Ercole, vicepresidenti. Tra i fondatori compare Sua Altezza Reale il Principe di Napoli, futuro Vittorio Emanuele III. Con questi, impegnato nella realizzazione del "Corpus numorum italicorum", gli Gnecchi collaborarono facendo convergere nella sua opera il frutto iniziale, circa ventimila schede, di un loro ambizioso lavoro sul complesso delle Zecche italiane.


La collezione di monete romane di Francesco Gnecchi, che una legge dei primi anni venti del novecento ha dichiarato indivisibile, è stata venduta allo stato nel 1923. Attualmente è conservata e parzialmente esposta presso il Museo Nazionale Romano, dove è ancora oggetto di studio.



LA PRESENZA DELLA FAMIGLIA GNECCHI A CISANO BERGAMASCO

Tra il 1869 e il 1870, il padre di Francesco, Giuseppe, aveva acquistato alcuni beni immobili già appartenuti a tale Pietro Sozzi e, alla sua morte, affidati al fratello Luigi e alla sorella Giuseppa. Fra i beni acquistati in territorio di Caprino Bergamasco figurano:
a) un filatoio da seta ad acqua con casa (numero 156, Catasto Lombardo Veneto, CLV), oggi in via Filatoio ai numeri 3 e 5;



EX FILANDA GNECCHI A CAPRINO BERGAMASCO.
IMMAGINE RIPRESA DAL "PONTE DEI SOSPIRI"


b) una casa d'abitazione (numero 162, CLV) e due edifici ad uso filanda da seta ad acqua (numeri 163 e 165, CLV), aggregati in un unico complesso edilizio, ora sede di industria chimica in via Sonna N.6;
 

VISTA DALL'ALTO DI UNA EX FILANDA GNECCHI
A CAPRINO BARGAMASCO ORA SEDE DI
INDUSTRIA CHIMICA


c) alcuni terreni (numeri 155, 157, 160, 161,164, 166,167, CLV), situati nelle adiacenze degli edifici sopra descritti (14);
d) un mulino da grano ad acqua (numero 67, CLV) (15) e alcuni terreni adiacenti (numeri 65, 66, 68, 69, CLV).
I macchinari delle filande erano azionati da ruote idrauliche in ferro; l'acqua per muoverle veniva derivata dal fiume Sonna tramite un canale che, in territorio di Cisano, correva parallelamente al fiume e lo attraversava poco a monte del ponte detto "dei Sospiri" (16). La presa d'acqua del canale era in un punto raggiungibile deviando dalla "strada comunale per S. Gregorio" e percorrendo la "strada comunale al molino de'Gnecchi", secondo le denominazioni ricavabili dalle mappe del catasto del 1905 (Catasto Cessato). Lungo il canale , infatti, Giuseppe Gnecchi aveva acquistato dal Sozzi due mulini e i terreni circostanti:
a) il numero 1, Catasto Urbano: casa a due piani e otto vani, conosciuto come "molino sotto il castello";
b) il numero 9, Catasto Urbano: mulino di un piano e un vano e casa a due piani e sei vani;
c) i terreni ai numeri 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 20, 21, 22 del Catasto Rurale.
Alla morte di Giuseppe tutti i beni passarono ai figli Francesco, Ercole e Antonio; quelli di Caprino furono però successivamente intestati solo a Ercole.
Per alcuni anni terreni e opifici vennero gestiti dalla ditta "Figli di Giuseppe Antonio Gnecchi"; al suo scioglimento, 1878, furono affidati a due collaboratori di lunga data della famiglia, Giuseppe Ferrario e Michele Sessa, che con gli Gnecchi avevano costituito una società in accomandita semplice e che in seguito, 1900, acquistarono tutti i beni divenendone proprietari.


***
Il 13 dicembre 1894 Francesco, Ercole e Antonio acquistarono a un'asta giudiziale (17), al prezzo di 26.100 lire, un palazzo di Cisano e l'annesso edificio rurale, fatti costruire intorno al 1880 dal medico condotto del paese, dottor Giuseppe Mora, e dalla consorte, signora Lucia Daina. Il palazzo, descritto in catasto come "casa civile con giardino e corte", era costituito da 4 piani e 26 locali; l'edificio rurale, ad uso scuderia, comprendeva la rimessa, i portici a piano terra e a quello superiore e le camere d'abitazione. Il tutto formava un solo corpo, completato da muro di cinta e cancellata rivolta verso la strada provinciale per Bergamo.

MUNICIPIO DI CISANO BERGAMASCO, GIA'
CASA GNECCHI RUSCONE
Nel 1906 i fratelli Gnecchi cedettero gli edifici al Comune di Cisano: il prezzo concordato fu di lire 30.000, da pagarsi in dieci anni. Il Comune entrò in possesso degli stabili, con pieno diritto di godimento, fin dall'11 novembre 1906, ma ne divenne proprietario il 2 febbraio 1918 (18).
L'edificio, ora sede del Municipio e della Biblioteca Civica, ospitò nei primi anni anche le scuole.
Il contratto fra Gnecchi e Comune di Cisano fu considerato molto favorevole per quest'ultimo dall'allora segretario comunale Luigi Rondalli, tanto che in un suo libro sulla storia di Cisano si complimentò con l'Amministrazione presieduta dal Sindaco cav. Antonio Magnetti, che aveva promosso e portato a termine l'operazione, per aver saputo cogliere tale opportunità: egli infatti giudicava addirittura "un dono: una tale proprietà pagata solamente L.30.000" (19).


NOTE
(1) La collezione completa è ora conservata da un componente della famiglia. Alcune copie del giornale ed un cospicuo numero di minute, ritrovate a Verderio, sono raccolte nel "fondo Gnecchi" presso l'"Archivio storico di Verderio".
(2) L'acquerello non viene qui riprodotto in quanto la presente trascrizione si basa su una fotocopia dell'originale e sulla minuta conservata presso l' "Archivio Storico di Verderio: nella prima il disegno appare di scarsissima qualità, nella seconda, naturalmente, è assente del tutto. Una copia della stampa dell' Amati fu pubblicata in "Archivi di Lecco", N.3, 1987: A. Benini, La battaglia di Verderio, 28 aprile 1799. Il disegno "dal vivo", da cui è tratta l'incisione, è conservato presso il "Fondo Carlo Amati" del Castello Sforzesco di Milano.
(3) Qualche titolo riguardante Lecco e il suo territorio, scelto fra i documenti conservati all' "Archivio Storico di Verderio":
* "Una gita nei dintorni di Lecco - 4 agosto 1870", Giuseppe Brini;
* "La festa di S. Michele - 30 settembre 1878", Giuseppe Brini;
* "Un'escursione al Pizzo dei Tre Signori - 1-2 settembre 1880", Antonio Gnecchi;
* "Festa di beneficenza con concerto a Maggianico - 17 agosto 1884", Giuseppe Brini.
(4) Giacomo Ruscone, figlio di Antonio e di Maddalena Redaelli, nasce a Malgrate il 14 agosto 1774 (il padre era titolare, avendolo ereditato, del diritto di pesca nel bacino del lago di Lecco). Il 19 febbraio 1803 sposa Giuseppa Agudio, figlia di Carlo Maria. Il legame con la famiglia Gnecchi avviene in seguito al matrimonio, celebrato a Malgrate il 2 gennaio 1813, della sorella di Giacomo, Giuseppa, con Giuseppe Antonio Gnecchi (1783 - 1857).
(5) Del periodo trascorso presso i Barnabiti rimangono a testimonianza alcune lettere da cui traspare un sentimento di tristezza per la lontananza da casa. Nessun documento invece sulla frequenza universitaria, per la quale abbiamo fatto riferimento alla testimonianza di un discendente.
(6) "Archivi di Lecco", N.3, 1990, M. Bartesaghi, Festa a Verderio il 7 ottobre 1896: la rappresentazione di un'opera di Vittorio Gnecchi
(7) Citazione tratta dalla minuta conservata nell' "Archivio Storico di Verderio".
(8) Achille Formis ( Napoli 1832 - Milano 1906); Giuseppe Brini (1838/1898); Alessandro Vanotti (Milano 1852 - Bollate 1916).
(9) Più recentemente (1994), una sua opera -" Un bosco al Masino", 1885 - è stata esposta a Palazzo Bagatti Valsecchi, in occasione della mostra: "Arti nobili a Milano, 1815 - 1915".

UN RITRATTO A OLIO DI
FRANCESCO GNECCHI RUSCONE

(10) La sua raccolta di lettere, libri e ritratti relativi al Manzoni, venduta dagli eredi alla morte della moglie e successivamente acquistata sul mercato antiquario di Parigi dall'ing. Federico Gentile, fa ora parte del Fondo manzoniano della Biblioteca Braidense.
(11) Anche in anni recenti, Vol.422, 1988, quando, recensendo il libro di Carlo Crippa, Le monete di Milano dai Visconti agli Sforza, dal 1329 al 1535, Milano, 1986, Adriano Savio, riferendosi all'opera dei fratelli Gnecchi sulle monete di Milano, parla "del leggendario catalogo dei fratelli Gnecchi del 1884, unico strumento valido per gli studiosi della materia fino al 1986."
(12) “Rivista Italiana di Numismatica”, XXXII, 1919
(13) “Rivista Italiana di Numismatica”, XC, 1988
(14) Nella stessa zona , nel 1875, Giuseppe Gnecchi acquistò il terreno N.159 dal signor Giuseppe Mora.
(15) Di questo edificio rimangono solo pochi resti, occultati dalla vegetazione. Sono situati vicino alla riva del fiume, all'altezza del punto ove si trovava la presa d'acqua per l'alimentazione delle filande (si veda più avanti nel testo).
(16) Cfr. I monumenti storico industriali della Lombardia, Quaderni di documentazione regionale, n.17. Da questo testo è tratta l'immagine seguente. 

(17) L'asta ebbe luogo presso il Tribunale di Bergamo, in seguito a "causa per incanto stabili" promossa da Belgeri Francesco fu Paolo di Lecco contro il dottor Giuseppe Mora e la moglie Lucia Daina. Il verbale è conservato presso l'Archivio Comunale di Cisano Bergamasco.
(18) Porta questa data l'atto di vendita, redatto dal notaio dott. Giuseppe Toia di Milano, firmato dai fratelli Gnecchi e dal sindaco in carica, architetto Alessandro Comolli. L'atto è conservato presso l'Archivio Comunale di Cisano Bergamasco.
(19) Cisano Bergamasco dalle origini al 1925, , Luigi Rondalli,1925, Alassio (ristampato nel 1996). Luigi Rondalli fu segretario comunale a Cisano Bergamasco dal 1909 al 1931.

Marco Bartesaghi









venerdì 10 luglio 2015

DA VERDERIO A CISANO - NOTE DI UN ANTIQUARIO - il testo di Francesco Gnecchi Ruscone



Giornale di Famiglia, Fascicolo N.° 720, 22 gennaio 1882

Le comunicazioni fra Verderio e Cisano non sono ora più così numerose come lo erano pel passato quando si aveva colà lo stabilimento che andava per nostro conto; ma negli anni scorsi non saprei dire quante dozzine di volte mi occorse di fare il tragitto da Verderio a Cisano e viceversa. Gli è così che ebbi campo di studiare palmo a palmo e direi quasi a memoria questa strada e di raccogliere - sempre per effetto di quella benedetta passione delle raccolte che è il nostro tic caratteristico - un poco per volta le iscrizioni di ogni genere che si incontrano lungo la via e di offrirle qui riunite ai benigni lettori del Giornale di Famiglia.
M'era venuto il pensiero e avevo accarezzato per molto tempo il progetto di dedicare il frutto delle mie fatiche a Mommsen (1) perché ne facesse un'appendice alla sua raccolta delle iscrizioni latine, ma visto che poche sono latine, le più italiane ed alcune di lingua esotica, dopo mature riflessioni ho deciso di tenerle tutte per uso nostro particolare.
Tale raccolta dovrebbe provare come il paese che stiamo per percorrere sia eminentemente civile....e se mai alcune proveranno anche come non sia sempre stato forte nella letteratura e nella grammatica, sarà tutta storia anche questa; né io per un malinteso amor di patria, tenterò di falsarla, ma prometto di dare tutti i documenti nella più integrale genuinità.
Fatto questo breve preambolo, incomincio addirittura a schierare partendo da Verderio in ordine topografico, la mia raccolta, e dimandando venia anticipatamente per le eventuali involontarie dimenticanze, prevengo i Signori che vorranno seguirmi nel mio viaggio che allungheremo forse un pochino la strada con qualche digressioncella, onde pescare qualche documento di più. Pel medesimo motivo d'aumentare la messe dei documenti mi permetterò di citare qualche iscrizione che c'era ed ora non c'è più, come pure qualche altra che ci potrebbe e dovrebbe essere e non c'è.
Incomincerò anzi da queste, ed ecco per prima la lapide che era destinata ad essere messa alla Cascina Amalia, la quale come sapete prese il suo nome dalla circostanza che venne eretta nell'anno del matrimonio dello zio Carlo colla zia Amalia (2).


I

AD MEMORIAM
AMALIAE DECII
CUM
CAROLO GNECCHI
DIE MAI 1844
NUPTIARUM
EXTRUCTA ET VOCATA

Altra iscrizione è la seguente che papà aveva preparato per ricordare l'incendio della casa detta dei Besana, in Verderio, avvenuto nell'estate del 1861 e il successivo riattamento e ampliamento:


II

AMPLIOR
E CINERIBUS MEIS
ANNO MDCCCLXI

Non vi pare romanamente concisa tale iscrizione, e degna forse di monumento più importante, come sarebbe per Mosca dopo l'incendio?
La lapide si farà; frattanto a rammentare il ristauro della casa fu scritta la data 1861 sul frontone prospiciente la piazza grande (3).
La seguente è destinata per la casa detta del Lazzaretto forse perché al tempo della peste servì da Lazzaretto. Era una delle case più antiche di Verderio, e dal lato storico e artistico fu gran peccato l'averla restaurata (4). Così però non dicono quelli che l'abitavano, e che avevano sulla loro testa una continua minaccia di rovina


III

INSTAURATAM
ANNO MDCCXCV
FRATRES GNECCHI
RENOVABANT
ANNO MDCCCLXVII


La Cascina Isabella

Accennerò come nel ristauro, o per dirla coll'iscrizione, nel rinnovamento del 1867, si trovò in quelle mura una palla di cannone in ferro, ricordo della battaglia di 80 anni prima (5). La palla si conserva in casa nostra.Una quarta iscrizione finalmente simile a quella della Cascina Amalia è destinata alla nuova cascina Isabella onde ricordare l'origine di quel nome ed è la seguente:

IV

AD MEMORIAM
ISABELLAE BOZZOTTI
CUM
FRANCISCO GNECCHI
DIE XII FEBRUARI 1871
NUPTIARUM
EXTRUCTA ET VOCATA


Giornale di Famiglia, Fascicolo N.° 721, 29 gennaio 1882

Come ben potete immaginare ho frugato per tutta la casa (6) per trovare qualche iscrizione o leggenda da citare prima di metterci in viaggio per Cisano, ma le sole parole che mi fu dato ritrovare sono quelle che erano incise sulla base del gran bacino dell'antico torchio
V

AD EVUM ERECTUM
ANNO MDCCLXXXV
AUSPICE CAN. LAZZARO VILLA


Una parte della lapide V staccata dalla sua sede al momento dell'abbattimento dell'edificio






e più basso, all'esterno del grande avello destinato a ricevere il vino una corona marchionale col monogramma

ossia Marchese Arrigoni (7), antico proprietario della nostra casa, come ancora risulta dai parecchi stemmi che tuttavia vi si trovano dipinti o scolpiti.
L'auspice Canonico Lazzaro Villa era l'agente del marchese (8). Recherà sorpresa il vedere un Canonico agente di una fattoria; ma allora ciò era nell'indole dei tempi. Don Lazzaro apparteneva alla Canonica di Carate e godeva del benefizio di cui gode attualmente il vecchio amico di casa Don Vitale (9), cosicché fra canonicato, benefizio e fattore se la sarà passata abbastanza bene, tanto che si credette autorizzato a far passare il suo nome alla posterità, incidendolo nella pietra in luogo di quello del suo padrone.
Le parole però della gonfia iscrizione furono ben presto smentite dal fatto e l'evum non durò neppure un secolo. Nel 1877 il famoso e colossale torchio del cui tipo ormai ben pochi esemplari rimangono venne distrutto onde far luogo, nell'ampio locale che occupava, al ricevimento e alla moritura dei bozzoli. I parecchi quintali di legname ben stagionato di rovere e noce, che costituivano l'immensa mole del torchio vennero trasformati parte in mobili e parte in calore, e la pietra portante l'iscrizione venne collocata ad aeternam rei memoriam nello stesso locale, al di sopra della porta che dà ingresso alla scuderia, ove rimase fino a quest'anno 1881; quando in seguito alla costruzione dei locali attigui alla scuderia, subì una nuova trasmigrazione e venne collocata esteriormente, al di sopra del portone d'ingresso al locale del torchio.
Esaurita così facilmente la messe lapidaria di casa, usciamo per fermarci però a pochi passi dal cancello, all'Oratorio dedicato a Santo Ambrogio (10), onde raccogliere un'iscrizione che ora è appena appena leggibile e fra poco sarà del tutto cancellata dai devoti piedi dei fedeli. Come si usava nei tempi addietro questa lapide posta a ricordo del marchese Arrigoni di cui abbiamo discorso più sopra è collocata nel pavimento al di sopra della tomba che ne racchiude le ceneri e in poco più di un secolo le lettere furono quasi totalmente consunte.



VI

HIC JACET
DUX EQUITUM
DON IOHN MARIA ARRIGONUS
QUI ANNOS NATUS LXXX
OBIIT VII ID.SEPT.
A M,DCCXXIX

La lapide VI come appariva al momento della stesura dell'articolo per Archivi di Lecco

Prima degli Arrigoni erano proprietari di casa nostra e casa Confalonieri riunite, gli Airoldi (11) dei quali parlava un'iscrizione esistente sulla porta dell'accennato oratorio di Sant'Ambrogio, anteriormente al restauro ma sventuratamente non mi fu possibile raccoglierla essendo già da parecchi anni resa inintelligibile dalle ingiurie del tempo.

***

Senza commenti citerò prima di lasciare Verderio le tre lapidi del Cimitero che riguardano la nostra famiglia, la prima a memoria dello zio Giacomo Ruscone, la seconda dei nonni Giuseppe Antonio e Giuseppa Gnecchi (12), la terza infine dei due nostri piccoli fratelli gemelli, nati e morti a Verderio.

VII


IACOBO RUSCONI
QUI
IUSTITIAM CUM HUMANITATE
CONSOCIAVIT
ARTES ET INDUSTRIAM
MAXIME RURALEM FOVIT
PIE ET PATIENTER
VITAM EXPLEVIT
ANNO DOMINI M,DCCCXXXII
AETATIS SUAE LVIII
REQUIEM
Lapide dedicata a Giacomo Ruscone





VIII
 
II°
SACRO ALLA MEMORIA
DI GIUSEPPE ANTONIO GNECCHI
MORTO IMPROVVISAMENTE IL 9 GENN. 1857
NELLA ETA' DI 72 ANNI
E DI GIUSEPPA RUSCONI
MORTA PIAMENTE DOPO SETTE SOLI MESI
D'INCONSOLATA VEDOVANZA
IL 18 AGOSTO 1857 NELL'ETA' DI ANNI 69
CONJUGI ESEMPLARI PER NOVE LUSTRI
OSSERVANTI DEI DOVERI CRISTIANI
GENITORI AMOROSI E ZELANTI
SEMPLICI DI COSTUMI E MODESTI
BENEFICI FRUGALI OPEROSI
I FIGLI CARLO E GIUSEPPE PONGONO DOLENTI
IN SEGNO DI DEVOZIONE E DI AFFETTO
INVOCANDO LA PREGHIERA DEL FEDELE
A SUFFRAGIO DELLE ANIME LORO CARE

Lapide dedicata a Giuseppe Antonio Gnecchi



IX
 
III°
ALLA SOAVE MEMORIA
DI DUE FIGLI GEMELLI
CHE NATI ANZITEMPO
IL GIORNO 3 APRILE 1849
SALIRONO L'INDOMANI
DA QUESTA INFELICE
ALLA PATRIA CELESTE
I GENITORI
GIUSEPPE E GIUSEPPINA GNECCHI
POSERO IN SEGNO D' AFFETTO


Lapiode dedicata ai gemelli Gnecchi morti poco dolo la nascita

Giornale di Famiglia, Fascicolo N.°722, 5 febbraio 1882

Usciti appena dal paese verso ponente ci troviamo sul terreno che fu il campo di battaglia come ce lo rammenta l'iscrizione:


AI MORTI
NELLA
BATTAGLIA
28 APRILE 1799
ETERNA PACE

Cippo ai piedi della colonna in Piazza della Battaglia




scritta sulla base di una magra colonna, la quale fu posta, non ho potuto ben precisare in quale anno, ma a memoria dei viventi, a sostituire un più antico crocione di legno, il quale portava l'iscrizione consimile:

PREGATE PER LI POVERI MORTI
NELLA GRAN BATTAGLIA
TRA FRANCESI E AUSTRO-RUSSI
QUI COMBATTUTA
LI 29 APRILE 1799 (13)

Questa battaglia è l'avvenimento più importante nella storia di Verderio. Non trovo quindi fuori del caso di unire qui una piccola illustrazione presa da un antico disegno posseduto dall'ing. Monzini.Io l'ho copiata fedelmente ma non potrei garantire che l'originale sia stato disegnato dal vero.


Fotografia della stampa disegnata e incisa dall'Amati e riprodotta da Gencchi per il Giornale di Famiglia

Due altre iscrizioni relative alla battaglia esistono nei pressi di Verderio che conviene citare a maggior schiarimento storico. L'una dopo aver mutato diversi posti andò a fermarsi nella casa Annoni a Verderio Inferiore e suona così:


XI

ERA IL DI' 28 APRILE DEL 1799
QUANDO MILIZIE IMP. AUSTRIACHE
CAPITANATE DAL GEN. WUKASSOVICK
DA QUESTO PAESE MOVENDO
DATA FIERA PUGNA AL GEN. SERRURIER
CHE DUCE DI MILIZIE REPUBBLICANE FRANCESI
ERASI NEL VICINO VERDERIO FORTIFICATO
A CAPITOLARE L'INDUSSERO CEDENDO SE'
E I SUOI COLLE ARMI LORO.
A SEGNAR TAL EPOCA
A RICORDARE LA PRECE PEI TANTI ESTINTI
QUESTA LAPIDE SI POSE


La lapide conservata in Villa Annoni

Il Conte Ambrogio Annoni, non pago d'avere tale lapide nella propria casa, ad eternare la memoria del valore austriaco, innalzò al Francolino un monumento sulla tomba di un capitano, e vi pose l'iscrizione seguente (14):


XII 

QUI GIACCIONO LE OSSA
DEL PRODE GIOVANE CAPITANO
SAMUELE SCHEDIUS
NOBILE UNGHERESE DI MODRA
CHE NELLA BATTAGLIA ARDENTE IN VERDERIO
AI 28 DI APRILE DEL 1799
FRA LE ARMATE AUSTRIACHE E FRANCESI
SEGNALO' COL SUO SANGUE
LA PIENA VITTORIA DELLE PRIME.
IL CONTE AMBROGIO ANNONI
FECE INNALZARE
ALLA MEMORIA DEL VALORE DI LUI
E DEI COMMILITONI
QUESTO MONUMENTO


Lapide posta in località Francolino

Peccato che a completare le notizie sulla battaglia di Verderio non sia più vivo il padre del nostro Giobbe, detto il Nano (15), che ne fu testimonio oculare, quantunque nascosto non solo in cantina ma in una botte e che faceva raccapricciare al racconto delle sevizie dei Russi; oppure il famoso Sacchi (16) già fattore di casa Confalonieri, il quale posteriore all'epoca della battaglia, ne conosceva per filo e per segno i particolari fra i quali uno solo ricorderò senza garantirlo.
Parrebbe che la tomba dei caduti dovesse essere al posto ove venne innalzata prima la croce di legno e poi la Colonna che li ricorda; invece no, raccontava il Sacchi, i morti furono seppelliti assai più sapientemente in modo da far onore agli industri agricoltori del paese, e in ispecie al nostro antenato o per meglio dire antico proprietario della nostra casa e feudatario di Verderio, il quale prese li morti ad uno ad uno e li collocò ciascuno sotto un gelso, evitando così anche il pericolo di miasmi e di malattie contagiose alla popolazione.
Se si fosse pensato a tenere una nota esatta e si fosse compilata una statistica comparativa, si potrebbe oggi sapere quanta potenza fecondativa fosse contenuta in un francese, in un tedesco o in un russo.
Questi ultimi però sembra che principalmente a quei tempi fossero eccellenti per quella bisogna, e alcuni gelsi secolari e colossali si additavano ancora pochi anni sono dalla tradizione popolare /vox populi vox Dei?/ come prodotto della decomposizione di un russo!

***

A Paderno troviamo una prima iscrizione nella casa già Piantanida poi Giglio (17), e attualmente nostra, iscrizione di non grande importanza è vero, ma che pure conserva un ricordo relativo alla storia della casa stessa. E' quella messa al nuovo Pozzo:

XIII 
FRANCESCO GIGLIO
APERSE QUESTA SORGENTE
L'ANNO 1875







Nei calori estivi sapremo a chi essere riconoscenti di quel balsamo refrigerante!
 

Traversando tutta la meschina viuzza che forma l'arteria principale di Paderno eccoci alla chiesa sul frontone della quale leggiamo:

XIV
 
D.O.M.
A DESPARE ASSUMPTAE
DICATUM

Non ho mai potuto digerire quel termine da storia naturale che mi ha l'aria di volere stabilire una nuova classe di esseri da collocarsi fra gli ovipari e i vivipari; ma in compenso Paderno ci offre due altre iscrizioni l'una di un merito poetico e l'altra storico.
 
La prima è nel piccolo giardino della villa Oriolo, proprietà del Signor Robecchi (18)

XV

MUTA E SOLINGA INTERPRETE
DI QUEL MESTO PENSIER CHE QUI MI POSE
NON IO CONTEMPLO IL SORGERE
MA IL TRAMONTAR DELLE UMANE COSE
MDCCCLVII

Queste parole sono l'espressione del sentimento di una bella figura di donna in marmo posta in un ameno boschetto e volta a guardare il tramonto. Solo io non avrei voluto quella trasposizione (Non io) nel terzo verso. Mi parrebbe assai più piano, naturale e forse anche più giusto:
IO NON CONTEMPLO IL SORGERE /MA IL TRAMONTARE DELLE UMANE COSE.

La seconda è nel giardino della Villa Respiro (ora proprietà del Barone Airoldi) collocata dal Prof. Barni già proprietario di quel luogo sotto un bel pezzo di fregio... ma l'iscrizione dice tutto ed ogni commento è superfluo...(19)

XVI

SONO UN FRAMMENTO DI CORNICE DEL FAMOSO TEATRO ERETTO A MILANO A TEMPI CHE ESSA ERA SEDE IMPERIALE.
MI RAVVISARONO GLI ESPERTI E MI DISSERO MARMO PATRIO. ABBATTUTA QUELLA ENORME MOLE NEL DUODECIMO SECOLO GIACQUI SOTTERRA PIU' BRACCIA PER CIRCA 700 ANNI. FUI RIMESSO ALLA LUCE NEL 1849 QUANDO RIFABBRICARONO LA CASA ALL'ANGOLO DI LEVANTE DE' VICOLI DI SANTA MARIA FULCORINA E DI S.VITTORE: QUI MI HA SITUATO NEL 1854 IL PADRONE DI QUESTO LUOGO VENERATORE DI OGNI RESTO DELLA PATRIA GRANDEZZA.


A Robbiate due iscrizioni latine, di cui una può figurare senza arrossire in una raccolta lapidaria, ed è quella che fece scrivere sulla facciata della Chiesa l'attuale parroco Don Alessandro Villa (20) e che ritrae l'animo belligero del Santo cui il tempio è dedicato, e ci fa quasi udire insieme la voce tonante del focoso parroco.

XVII

D.O.M.
LITANTIBUS ADSIT
PATRONUS OPIFER
DIVUS ALEXANDER
ADSIT COLLUCTANTIBUS
PROE FULGENS
CELAESTIBUS ARMIS
MILES MARTYR
OROBIAE APOSTOLUS


***

La seconda si legge su una meschina cappelletta, e tanto è meschino il monumento quanto l'iscrizione:

XVIII

HOC OPUS FACTUM FUIT
ANNO 1698
ET INSTAURATUM
ANNO 1790
EX ORDINE
COMITIS DE BARILLIS
QUOD IPSE FIERI
MANDAVIT


Fascicolo N.° 723, 12 febbraio 1882
 

Se invece di passare per Paderno e Robbiate prendiamo la strada militare che va in linea diretta dalle Cascine Sernovella e Colombina (21) fino alla così detta Forcella, poco prima del quadrivio
 

 
A destra, in primo piano, la Cascina Colombina; a sinistra la cascina Sernovella



formato dall'intersecazione della strada Robbiate Merate, troviamo un piccolo Santuario dedicato alla Madonna del pianto (22), e ristaurato nel 1873, nella quale occasione due iscrizioni furono

Il santuario della Madonna del Pianto

collocate dal cappellano Don Cesare Bonfanti (23) e meritano d'esser qui riprodotte per quanto ciò non possa tornare a grande encomio del compositore sia sotto il rapporto dello stile lapidario, sia - e questo è il peggio - sotto quello della grammatica.
La prima latina è scritta in una piccola lapide di marmo collocata in terra in principio al Sancta Sanctorum e dice



XIX

QUAM SUSPICIS ARAM CUM MATRE DOLOROSA HEIC EXTABAT AD ANNUM MDCCCLXXIII

Aggrottate il ciglio in cerca del soggetto della proposizione? Vi pare impossibile che possa essere in caso accusativo? Pare così anche a me, eppure il soggetto è proprio quell'ARAM, ciò che con buona pace di Don Cesare è un errore che meriterebbe un cinque ad uno scolaretto di prima grammatica. C'è poi anche quell'extabat ad annum, che per lo meno lascia molto a desiderare. Vi si sottintende un usque, ma in tal caso sarebbe stato più corretto dire extitit, in passato remoto.
Ma non facciamo i pedanti e ripassiamo = Glissons, n'appuyons pas!
 

Nell'interno del santuario sopra la porta d'ingresso è scritta a caratteri cubitali l'altra... che non saprei chiamare iscrizione essendo la vera negazione di tutto ciò che costituisce il bello nello stile epigrafico:



XX

ALLA REGINA DEI MARTIRI QUI VENERATA E PREGATA DINNANZI A RUSTICA IMMAGINE DI CELESTI FAVORI LARGITRICE TAUMATURGICA I TERRAZZANI COMMOSSI E GRATI ERGEVANO I PRIMORDI DI VASTO SONTUOSO TEMPIO CHE PER DUE SECOLI CON LE NUDE SPORGENTI MORSE CHIAMO' INVANO IL SUO COMPIMENTO NEL 1873 L'ANTICO VOTO ADEMPIENDOSI FRA I LIMITI IMPOSTI DALLE SOPRAVVENUTE CIRCOSTANZE LOCALI S'ARRETRO' A PIU' CONVENIENTE POSIZIONE L'ABBELLITO ALTARE S'AGGIUNSE QUESTO VESTIBOLO TUTTO IL VETUSTO EDIFIZIO FU RESTAURATO, ADORNATO, RIDOTTO A DECOROSA COMPLETA FORMA

Tale è l'iscrizione, nella quale avrete rimarcate diverse gemme, prima fra le quali le SPORGENTI MORSE e le SOPRAVVENUTE CIRCOSTANZE LOCALI. Quanto al vasto sontuoso tempio ridotto a completa forma temo che nelle molte volte che gli sarete passati accanto non vi sarete mai accorti di nulla di simile; ma di ciò la colpa non è mia. Neppur io non m'ero accorto mai, prima che mi venisse il ticchio d'entrarci onde prender nota delle due citate iscrizioni, dopo le quali mi sentii allargare il fiato uscendo e leggendo due versi di Manzoni e tre di Dante scritti sulle due finestre laterali alla porta d'ingresso. Fu per dirla con Galileo come il gustare un saporito popone dopo d'aver mangiato degli insipidi citrioli. E se volete con me raggiustarvi il palato dopo le due indigeste e citriolesche iscrizioni che vi ho fatto ingoiare, eccovi gli accennati pochi versi di Dante e Manzoni


XXI

DONNA SE' TANTO GRANDE E TANTO VALI
CHE QUAL VUOL GRAZIA E A TE NON RICORRE,
SUA DISIANZA VUOL VOLAR SENZ'ALI
Dante - Paradiso

 


XXII

TU PUR BEATA UN DI' PROVASTI IL PIANTO
NE' IL DI' VERRA' CHE D'OBLIANZA IL COPRA
Manzoni


Ad Imbersago e precisamente scalfita sul muro di una delle prime case a destra c'è questa piccola iscrizione oggi quasi illeggibile ad occhio nudo


 XXIII

LI 2 MAGGIO 
L'ANNO 1741 DU....
ORENDA PRINA
GARZOLI VE NE
RESTA NESSUNO

Come vedete lo scrittore non si mostra molto letterato, ma ad ogni modo tale primitiva iscrizione conserva le memoria d'un fatto che altrimenti avreste ignorato; vale a dire (per chi non avesse potuto squarciare il velame delle parole strane) che nel 1741 un'orrenda brina distrusse tutta la vegetazione e produsse poi una carestia come ne succedevano in quei tempi, tanto che, ancora se ne conserva la tradizione.
Nulla potei trovare che si riferisce al nostro argomento nella Chiesetta dell'antico convento. Era un convento di Cappuccini e i cappuccini scrivevano poco (24).


Il paese di Imbersago termina col muro di cinta del giardino Castelbarco (25) e dalla strada che corre lungo quel muro si vede un tempietto che si eleva sopra una collinetta nel detto parco. Sotto quel tempietto si conserva come prezioso sasso un più che rozzo sedile in forma di poltrona, che un Cardinale Simonetta (26) ebbe la spiritosa idea di scolpire in un pezzo di granito. 

 
Il sedile che sarebbe stato scolpito dal Cardinale Simonetta



La seguente leggenda conserva la preziosa memoria del fatto:


 

XXIV

SELLAM HANC
A CARD. HIPPOL. SIMONETTA
RUDI SAXO EXCISAM
CAESAR COM DE CASTROBARCO
ALTIUS ADVEXIT AMOENIORI LOCO POSUIT
TEMPLO ETSORNAVIT
AN MDCCCXXXII

Il retro del sedile. Si intravede l'iscrizione

Quale sia stato il movente che indusse il sullodato Cardinale a farsi tagliapietra, giacché spero non avrà aspirato con tale opera ad acquistarsi il nome di scultore, veramente non saprei indovinare; ma per lo meno è riuscito a fare un'opera che pel suo stile, per la materia e per la mole è certo unica nel suo genere, e sarà anche duratura!...
Lasciando il muro del parco, e continuando la via, eccoci dopo breve cammino, ai piedi della lunghissima scala che conduce al Santuario della Madonna del Bosco, eretto nel 1600, come tutti i santuari del medesimo genere, in seguito ad una apparizione della Vergine in quel bosco. La tradizione racconta che un lupo aveva addentato un bambino figlio di pastori quando alle preghiere di questi ecco la Madonna comparire su d'un castano nel bosco, e il lupo immediatamente abbandonava la sua preda. Si aggiunge poi che l'albero per la gioia fiorì e fruttificò immediatamente, essendo il nove di maggio, e al suo piede sgorgò una sorgente. Non potrei offrirvi di quelle castagne, ma posso invitarvi a bere l'acqua buona e fresca che ancora scende dal Santuario fino ai piedi della scalinata (27).


 
La fontana ai piedi della scalinata di Madonna del Bosco, in una fotografia di fine ottocento, appartenente a Cristina Carlotti

 
Sull'avello che offre appunto quest'acqua all'assetato passeggero troviamo una prima iscrizione per nulla storica ma semplicemente ascetica, la quale però letterariamente non parla molto in favore di chi la scrisse, l'attuale direttore e custode del Santuario (28)
XXV

ASCENDIAMO
CON FEDE ED AMORE
ALLA CASA DELLA GRAN MADRE
DISPENSIERA DELLE GRAZIE








Tutta bella, ma quel DISPENSIERA è un vero gioiello.
I devoti salgono la scalinata ginocchioni recitando un Ave Maria ad ogni gradino. Noi, avendo ancora molto cammino da percorrere, ci permetteremo di salirla a piedi o meglio di volo e arriveremo addirittura al Santuario a leggere la lapide che ricorda il fatto



XXVI

DI MAGGIO IL NONO
L'ANNO
MILLE SEICENTO DICIASSETTE
VIDERO QUI MARIA
ANIME ELETTE




Due gemme invece di una sola, quel "DI MAGGIO IL NONO" e la bella rima di ELETTE con DICIASSETTE!...
Di fronte a questa lapide ne fu posta un'altra che non trascrivo per amor di brevità, non essendo che una lunghissima litania poco dissimile dalle litanie che potete trovare su qualunque libro di divozione (29).
Né partiremmo così presto dalla Madonna del Bosco se volessi qui trascrivervi tutte le iscrizioni più o meno storiche, belle o spiritose che lasciano i numerosi visitatori a seconda dell'umore della giornata o dell'impressione avuta dalla visita del luogo e del Santuario; e peggio ancora se dovessi prendere nota delle centinaia e migliaia di nomi che ingombrano tutti i muri all'interno e all'esterno del Santuario, nomi dei visitatori ancora più numerosi i quali non essendo abbastanza letterati per fare un'epigrafe, pure non sanno rassegnarsi ad abbandonare quel luogo senza lasciare una traccia del loro passaggio, e un segno che ricordi il fatto ai successori...


Giornale di Famiglia, Fascicolo N.°725, 26 febbraio 1882
 

 
La chiesa parrocchiale di Arlate

 
Ci sarebbero ancora le molte iscrizioni che illustrano i quadretti rappresentanti i miracoli operati da quella madonna. Ma vista la soverchia prolissità a cui mi condurrebbe la riproduzione di tanti capolavori, e la poca varietà nei moltissimi casi, salto tutto di piè pari e, proseguendo la via alla volta di Brivio, faccio una piccola sosta ad Arlate, dove nella chiesetta che domina la strada, troviamo una piccola lapide colla seguente iscrizione:
 


XXVII

SACELLUM HOC
LIBERALIS ARLATI PIETAS
D.V. MARIAM CARMELI
VENERATUR A
ANNO MDCCXXIV
PROPRIIS SUMPTIBUS
SIBI COSTRUXIT

Ed eccoci a Brivio, paese che si specchia nelle limpide, e in questo punto, tranquille acque dell'Adda, e per conseguenza è ricco di iscrizioni acquatiche...
Ne cito alcune per saggio, perché quantunque ve ne siano molte mi sembra che gli scrittori furono troppo sfacciatamente plagiatori gli uni degli altri e le medesime belle frasi si trovano ripetute ad ogni momento.



XXVIII

..... A AL CIELO ALLA TERRA AL MAR
..... AR AL SUONO ED ASTRO CHE APPAR
..... IL SEGNO DOVE L'ACQUA ARRIVO'
NEL 18 LUGLIO 1855


Per quanto doloroso che questa preziosa lapide sia in parte mutilata pure non è meraviglia se si riflette alla sua data remota.... relativamente alla materia su cui è scritta, ossia un muro cadente, e più ancora se si considera la sua posizione, alla portata di qualunque monello che desideri farvi aggiunte o mutilazioni. Ma tale posizione era obbligata dal livello dell'acqua, la quale non ebbe il buon senso di portarsi un paio di metri più in su.
Eccone due altre di data più recente e quindi in perfetto stato di conservazione


XXIX

IL CIELO MANIFESTAVASI TURBOLENTO
LE CATARATTE SI APERSERO UNA
DIROTTA E CONTINUA PIOGGIA GONFIO'
LE ACQUE DELL'ADDA FINCHE'
GIUNSERO A QUESTO SEGNO
LI 6 OTTOBRE 1868
XXX

1868
IDDIO APERTE LE
CATERATTE DEI CIELI
SOPRA LA TERRA E LADA(°)
RIVO' A QUESTO SEGNO
LI 6 OTTOBRE


 Non avendo mai potuto scoprire cosa fossero le cataratte del Cielo domandai all'autore di una di quelle iscrizioni se mi avesse saputo dare una spiegazione. Il poveraccio dopo averci pensato parecchio tempo mi rispose che quella parola l'aveva sentita dire dal parroco nella predica del diluvio universale (30)
Se si volesse chiamare col nome d'iscrizione tutto ciò che è scritto in pietra, a Brivio, e precisamente nel castello del porto esistono due belle lapidi sulle quali, a comodo del pubblico, è inciso il sistema decimale (31). Mi credo però dispensato dal trascriverlo, perciò vi invito a salire sul preistorico porto, visto che finché non si farà il ponte, non c'è altro mezzo per passare nella terra di S. Marco (32).
Da due anni fu costruito un nuovo tronco di strada che conduce da Brivio a Cisano, girando intorno alla collinetta, che sta veramente di mezzo, e per la quale quei di Cisano
"VEDER BRIVIO NON PONNO"
Ma non era così altre volte e conveniva salire l'erta ascesa detta di Mura per poi ridiscendere dall'altra parte, mettendo alla prova prima i polmoni poi le ginocchia dei cavalli. Se così non fosse stato non vi potrei ora dire che su uno degli speroni del muraglione che costeggia la riva accennata si legge scolpita in una pietra la data 1784, verosimilmente quella della costruzione del muro (33).


 
La data individuata da Gnecchi ai piedi di una casa della frazione "Mura"


 
La frazione Mura a Cisano Bergamasco. La data rinvenuta da Gnecchi si trova ai piedi della prima casa a destra

 
Eccoci giunti alla meta del nostro viaggio, ecco Cisano in vista ed ecco un'iscrizione latina prima d'entrare in paese.




XXXI

CHRISTOPHORI SUTII RUS
AERE ACQUISITUM
INDUSTRIA AUCTUM
ASSIDUITATE PERFECTUM
ANNO D. N. 1643

 
Queste parole di colore grigio vidi io scritte al sommo di una porta e precisamente scolpite nell'arco di pietra d'una porticina, lungo il muro di cinta di un campo che fiancheggia la postale di Bergamo. A primo aspetto quelle parole hanno un certo non so che di imponente....forse perché latine e assestate con una certa euritmia epigrafica, ma se ci proviamo ad analizzarle, perderanno molto della loro imponenza. CHRISTOPHORI SUTII RUS...Campo di Cristoforo Sozzi...Confesso che ho durato un po' di fatica a interpretare quel Sutii e forse non vi sarei riuscito se non avessi conosciuto e saputo essere comunissimo in quei paesi il nome di Sozzi.
Sorpassata questa prima difficoltà l'interpretazione letterale del resto è molto facile; ma non così l'interpretazione morale. Il proprietario v'avverte prima di tutto d'aver acquistato quel campo col denaro, AERE ACQUISITUM. Oh, che! non è la cosa più naturale del mondo l'acquistare col denaro, e valeva proprio d'incidere si bella novità nel sasso?
Amici miei scusatemi, ma gli è che voi non conoscete la storia di Cisano e forse anche un po' dell'epoca. Cisano fino a non molti anni fa era il paese dei ladri per eccellenza, la terra classica dei contrabbandieri, manutengoli, truffatori, assassini e simil razza di gente (figuriamoci poi nel 1600!..) al punto che qualunque disgraziato che avesse avuto la malaventura di nascere a Cisano, viaggiando in paesi forastieri, vale a dire fuori di casa sua, era obbligato a rinnegare la propria patria e ad annunciarsi di tutt'altra provenienza, ché altrimenti nessun oste l'avrebbe alloggiato. Dopo tali nozioni storiche resta chiaro come potesse essere cosa notevole e degna di lapide che quel campo fosse stato acquistato col mezzo allora straordinario del denaro.... (34)
Del resto pare che in quei tempi anche in altri paesi la si pensasse a un dipresso come a Cisano, e trovo ancora su un mio vecchio libretto di note la seguente lapide posta su di una casa restaurata a Lovere


PETRUS
RUGERIUS
S.T.T.
P.V.F.
DOMN LABENTEM
INSTAURAVIT
AERE SUO
 


Ma seguitiamo la nostra analisi. INDUSTRIA AUCTUM; Aumentato coll'Industria... Qui più che mai se la lettera è chiara, lo spirito è molto oscuro. Si può aumentare o ingrandire un palazzo; ma non vedo come tale operazione si possa fare a un campo! Lo si potrà migliorare finché si vuole, ma ingrandirlo sia un pochino difficile. L'unica spiegazione possibile quindi è questa, che quel campo fosse in origine e per una parte qualunque acquistato col denaro; ma che poi il proprietario in seguito, pentito forse d'aver fatta cosa sì poco normale, e nell'intento di meglio far fruttare il capitale impiegato, vi avesse fatto un'aggiunta coll'industria ...dei tempi!
In tal caso però non vedo che valesse la pena d'incidere il fatto a caratteri indelebili.
ASSIDUITATE PERFECTUM, perfezionato colla perseveranza, questo si capisce e si spiega meglio che il resto. Se poi fosse vero una volta che quello era un campo modello io non lo so; quello che posso attestare è che attualmente è come tutti gli altri circostanti, vale a dire assai assai lontano dalla perfezione. Disfatta così quella infelice sì, ma sventurata iscrizione, ci rimane però sempre la data, ed è qualche cosa.



***






Speravo trovare qualche cosa di interessante pel mio argomento fra le rovine del vecchio Castello che domina Cisano e la valle della Sonna, ma dopo aver rovistato dappertutto sapete cosa sono riuscito a trovare? Una sola M gotica incisa in una pietra in cima alla torre, un'M di cui non potei trovare il significato (e forse anche non ne ha alcuno) e per trovare la quale ho arrischiato di fiaccarmi l'osso del collo. Andai all'ispezione della torre in compagnia del giovane Ponti che era al nostro stabilimento. Avevamo fissato di salire in cima alla torre, ma l'impresa non era tanto facile. Di scale non ne esistevano più, solo rimanevano alcuni avanzi delle tre impalcature che dividevano i piani, ossia i pezzi più vicini agli angoli e che il tempo non era riuscito a corrodere abbastanza per farli cadere, come era già caduto il resto. Con una piccola scala a piuoli si salì sul primo ripiano, lì convenne tirar su la scala, trovarle un punto d'appoggio contro il resto del tavolato superiore e dopo assaggiatane la solidità vi si salì; si fece la medesima operazione per arrivare al terzo, e poi finalmente si giunse alla cima, ove in compenso di tanta fatica e tanto pericolo si trovò quella magra M!- Ma l'impresa ancor più ardua fu la discesa e non so quale santo o qual angelo custode ci protesse! Fatto sta che arrivammo sani e salvi tutti e tre (noi due, e la scala) al punto di partenza ma giurammo che mai più avremmo commesso una simile sciocchezza! (35) 

 
In questa cartolina, che ha viaggiato nel 1901, si notano il castello, il ponte dei Sospiri e i fabbricati delle filande che appartenevano alla famiglia Gnecchi
 
Gli Stabilimenti di Cisano dovrebbero avere qualche iscrizione che ricordasse la loro antica origine e poi i successivi cambiamenti, miglioramenti e ampliamenti fatti dai Sozzi prima e poi da noi, ma tali iscrizioni non esistono, e neppure furono scritte, quindi sono dolente di non poterle citare. Caso mai si facessero un giorno, faremo un'apposita aggiunta al presente articolo.
Qualche cosa che in qualche modo si riferisce agli stabilimenti venne ricordato nella seguente lapide posta alla chiusa che raccoglie le acque della Sonna vicino al terzo mulino.



XXXII

HOC OPUS
CONDITUM
A RATIONE
F.M.Q.I
ANNO MDCCLXXXV

Quest'opera fu eseguita dalla ditta Francesco Mallegori quondam Giovanni l'anno 1785.
E con questo cortesi lettrici e cari lettori ringraziandovi della gentile compagnia che mi avete fatto nel mio lungo e un po' noioso viaggio, prendo commiato da voi, e, sperando di avervi nuovamente compagni in qualche prossima peregrinazione artistica antiquaria di tutto cuore vi saluto.

Francesco Gnecchi

Giornale di Famiglia, Fascicolo N.° 735, 14 maggio 1882 - Appendice

Amabili lettrici e gentili lettori che foste tanto cortesi da seguirmi nel tortuoso e lungo giro da Verderio a Cisano, sarebbe indiscrezione se io vi chiedessi di volermi essere ancora compagni in una piccola escursione?
Da Cisano la via è breve, non più di 15 minuti e troverete di che compensarvi della piccola fatica. Voglio portarvi meco a Pontida, a visitare gli avanzi dell'antico e famoso convento; e così chiuderemo le note antiquarie con una iscrizione che vale abbondantemente tutte quelle che vi ho citate fin qui, prese insieme.
La strada da Cisano a Pontida è in leggera e continua salita, ma è sempre amena e mi spiace che ora dobbiate farla solamente col pensiero.
Il nome di quel paese rimase e rimarrà famoso nella storia lombarda pel fatto della congiura che ebbe luogo nel 1166 nel convento dei benedettini di S. Giacomo, quando i deputati delle città di Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova, Ferrara e Verona, raccolti intorno a Pinamonte da Vimercate giurarono quella Lega Lombarda che poi doveva condurre alla vittoria di Legnano e alla riedificazione di Milano distrutta dal Barbarossa.
Di fianco alla Chiesa sorgono le alte e nere muraglie che costituirono già parte dell'antico convento ormai in buona parte distrutto.
 
 
La chiesa del monastero di Pontida


Dalla grandiosità degli avanzi si può argomentare l'immensa vastità dell'antico convento, il quale, abitato da soli 14 monaci possedeva vastissimi poderi, aveva in sua dipendenza moltissimi vassalli, e possedeva apposite cave di pietra e apposite fornaci per le proprie fabbriche.
Nel mezzo del bel giardino annesso, collocato in bellissima posizione su un poggio che domina tutta l'amenissima vallata, gli attuali proprietari di quel luogo i Signori Gallina eressero una filanda cui servono da galetteria le celle e i corridoi dei frati, e da fondaco una delle molte sale dell'appartamento già abitato dal padre priore (36).
La locomotiva traversando tutta quella vallata nel percorso Mapello - Cisano, e passando in una galleria scavata precisamente sotto il poggio accennato rompe col suo rumore e col suo fischio quei luoghi già stati scelti come sede di quiete, di silenzio e di ozio....
Ma veniamo alla bella iscrizione che si legge sotto l'atrio della chiesa. Ometto qualunque commento perché qualche cosa già dissi in proposito, e poi la detta iscrizione parla abbastanza chiaramente: 

IL
VII APRILE 1567
I DELEGATI DELLE CITTA' INIZIATRICI
DELLA
LEGA LOMBARDA
GIURAVANO
IN
PONTIDA
LA
RIEDIFICAZIONE DI MILANO
NELLA COMMEMORAZIONE
DEL
SETTIMO CENTENARIO
DI
QUEL GRANDE ATTO DI PATRIA CONCORDIA
LA MILANESE
ACCADEMIA STORICO ARCHEOLOGICA
AUSPICE LA LIBERTA'
A SOLENNE RICORDO
A PERPETUO AMMAESTRAMENTO
PONEVA.

NOTE di Marco Bartesaghi
(1) Si riferisce probabilmente a Theodor Mommsen (1817/1903), epigrafista tedesco che diresse, per l'Accademia di Berlino, il Corpus inscriptionum latinarum e nel 1902 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura.

(2) Carlo Gnecchi Ruscone (1816/1886); Amalia Decio (1823/1904).

(3) Nella mappa del Catasto Cessato di Verderio Sup., "piazza grande" corrisponde all'attuale piazza Roma e comprende un tratto di via la cui denominazione è incerta fra "piazza grande" e via Angolare. Tre edifici, già proprietà Gnecchi nel 1861, vi si affacciano; i numeri 106 (ora aperto solo su via Principale), 107 e 122 che sono oggi ricordati rispettivamente come "curt del Fiuranel", "di Barbìs" e "di Bura". Si è invece persa la denominazione "corte dei Besana", che dovrebbe però corrispondere ad una delle tre. Una famiglia Besana (non l'unica di Verderio) detta "dei Besanetti" abitava in via Angolare n.10 (ora n.2), corrispondente alla "curt di Barbìs"(vedi anche nota 14).

(4) Nessun edificio di Verderio è più ricordato come "casa del Lazzaretto" ed i pochi indizi del testo non sono stati sufficienti al suo riconoscimento. Per un'eventuale futura indagine, oltre alla traccia proposta da Gnecchi - Lazzaretto come luogo di ricovero per gli ammalati di peste - potrebbe essere preso in considerazione il riferimento ad una famiglia Cassago "detta dei Lazzaretti", così soprannominata, probabilmente, per il nome Lazzaro che compare sovente fra i suoi componenti.

 
Francesco Gnecchi Ruscone in un ritratto eseguito da Mosé Bianchi

(5) Si tratta della battaglia combattuta il 28 aprile 1799, fra le truppe napoleoniche e quelle austro - russe. Sull'avvenimento il testo si dilungherà più avanti (vedi anche nota 2 dell'introduzione).

(6) A Verderio Superiore esistono due grandi ville padronali, fra loro confinanti. Nel 1881, data a cui risale il testo, gli Gnecchi possedevano quella più a oriente, ereditata dallo zio Giacomo Ruscone. Nel 1888 acquistarono l'altra, conosciuta oggi come "Villa Gnecchi", dalla famiglia Confalonieri.
 
(7) Gli Arrigoni proprietari a Verderio appartengono all'antica famiglia ghibellina originaria della Valtaleggio e della Valsassina, precisamente al ramo che si insediò a Esino verso la metà del XV secolo. Dopo la vendita dei beni di Verderio, avvenuta nel 1824, il rapporto tra il paese e la famiglia ebbe un seguito grazie a due legati che il Marchese Decio dispose per testamento: il primo, cosiddetto "di culto", prevedeva la celebrazione di un certo numero di S. S. Messe nell'arco dell'anno; il secondo, "di beneficenza", forniva un sussidio per la dote alle "nubende "appartenenti a famiglie che avevano lavorato sui fondi degli Arrigoni e un altro a "tre famiglie più miserabili del comune". Per ottemperare a questo legato, nel 1866 fu fondata a Verderio l'Opera Pia Arrigoni.
 
(8) Lazaro Ambrogio Fortunato Villa nasce a Verderio l'11 febbraio 1744 da Giuseppe e Margarita Burgo. Il 27 febbraio 1768 riceve l'ordinazione sacerdotale e il 18 febbraio 1792 - presentato da Vitaliano Confalonieri, "Patroni et Avocati Canonicatus" - assume, a Carate Brianza, il canonicato del titolo dei Santi Giuseppe, Domenico e Bernardo. Testimonianza del lungo periodo di servizio sacerdotale che trascorse a Verderio, forse come Cappellano di S. Ambrogio (vedi nota 10), si trova nei registri dei Battesimi, spesso da lui amministrati in assenza del parroco: la celebrazione più remota fra quelle rintracciate risale al 17 settembre 1772, la più recente al 29 aprile 1817.

(9) Si tratta probabilmente del "sacerdote cappellano" Angelo Vitale Villa, nato a Verderio il 18 luglio 1804 da Luigi e Rosa Riva, morto a Paderno d'Adda il 15 maggio 1893. Nel 1843 è "confessore" a Verderio e, nel 1881, cappellano a Paderno (cfr. Milano Sacro ossia stato del clero della città e della Diocesi di Milano, anni 1843 e 1881).

(10) Antica chiesina, un tempo posta sotto il patronato delle famiglie Confalonieri e Arrigoni. Un legato del 1603, di Giovanni Battista Airoldi, stabiliva che ogni giorno vi venisse celebrata una S. Messa. Fu riedificata nel 1738 e completamente restaurata nel 1876. Nel 1890 le famiglie Confalonieri e Gnecchi rinunciarono ad ogni diritto di intervento nella scelta del cappellano (notizie ricavate dagli appunti di Don Giampiero Brazzelli, "Archivio Parrocchiale di Verderio .Superiore").

(11) Nel 1512 Rainaldo Airoldi acquistò i fondi posseduti a Verderio dalla Monache di S. Agostino di Milano. La proprietà passò poi al figlio Giovanni Battista ed in seguito alle nipoti Lucrezia e Caterina. Gli eredi di Caterina, sposata Piola, il 22 marzo 1651cedettero la loro parte a Pietro Paolo e Giuseppe Confalonieri. I discendenti di Lucrezia, moglie di Giovanni Angelo Porro, vendettero la loro ad Emilio Arrigoni l'1 febbraio 1661. (cfr. Verderio, autori vari, Verderio, 1985).
Gli Airoldi proprietari di Verderio rappresentavano, con ogni probabilità, un ramo della nobile famiglia degli Airoldi di Robbiate. Confalonieri è l'antica famiglia patrizia milanese in cui, nel 1681, Federico assunse il titolo di conte. Un altro Federico (1785/1846) fu importante protagonista del Risorgimento. Dal 1774, in seguito alla morte della moglie del conte Ansperto, Margherita, i discendenti aggiunsero a Confalonieri, il cognome di lei: Strattman.

(12) Vedi nota 4 dell'introduzione.

(13) Il testo di questa iscrizione si trova nel racconto La Battaglia di Verderio di Cesare Cantù ", pubblicato con altri di vari autori, in Non ti scordar di me, Milano,1842, Vallardi: l'autore afferma di aver letto l'iscrizione, "forse per la ventesima volta", nel 1833. Ignazio Cantù invece riporta l'altro testo (quello copiato anche da Gnecchi) nella sua "Guida pei monti della Brianza", pubblicata nel 1837. Fra queste due date, 1833 e 1837, si deve quindi situare la sostituzione fra le due iscrizioni.

(14) Un Conte Ambrogio Annoni, figlio di Giovanni e di Maddalena dei Conti Opizzoni, nacque nel 1787 e morì il 15 marzo 1875. Aveva solo 12 anni al momento della battaglia, ma era adulto nel periodo della "Restaurazione" quando, come ipotizza A.Benini nel suo articolo sull'argomento (vedi nota 2 dell'introduzione), la lapide fu probabilmente realizzata: potrebbe quindi essere lui il personaggio cui l'iscrizione fa riferimento. Il testo dell'iscrizione è riportato anche in Guida pei monti della Brianza, Ignazio Cantù, 1837: qui l'autore afferma che la lapide fu eretta da un Conte Ambrogio Annoni, "dipintore di quadri sacri" poco dopo la "funesta giornata": sembrerebbe trattarsi di un antenato del precedente. Gli Annoni proprietari a Verderio appartenevano alla nobile famiglia dei Conti di Gussola con Martignana. In paese possedevano una villa padronale, edifici rurali, terreni. In particolare erano proprietari del fondo denominato "Bergamina", per la cui irrigazione veniva utilizzato un canale risalente al XV secolo, proveniente dal laghetto di Sartirana. Tale canale, ora in disuso prese il nome di "Roggia Annoni".

(15) L'unico Giobbe che compare in quegli anni nei registri dei defunti del Comune di Verderio Superiore, quindi dopo il 1860, a parte un bambino scomparso a pochi giorni dalla nascita, è Giobbe Besana, morto all'età di 73 anni, il 17 novembre 1886. Suo padre era Fiorano Besana, di Giovanni e Angela Barelli, morto a 84 anni, l'11 ottobre 1874: all'epoca della battaglia di cui sarebbe stato testimone aveva quindi tra i nove e i dieci anni. Facevano parte della famiglia detta "dei Besanetti": nello "Status animarum" del 1854 (Archivio Parrocchiale di Verderio Sup.) figurano nell'elenco delle famiglie soggette a "casa Gnecchi". Abitavano in via Angolare 10 (vedi nota 3) e in seguito si trasferirono a Cascina Isabella.

(16) Giuseppe Sacco nacque a Cinisello da Maurizio e Maria Corbetta. Fu fattore di Casa Confalonieri; morì a 66 anni, il 27 ottobre 1861. La sua stele tombale è murata sul lato ovest del cimitero di Verderio Superiore.

(17) La casa, tuttora appartenente agli Gnecchi, fu acquistata dalla famiglia, intorno al 1880, dalla signora Angiolina Martinelli, vedova di Francesco Giglio. Questi l'aveva a sua volta comprata, insieme ad altri beni, fra cui alcuni terreni in territorio di Verderio, dalla famiglia Piantanida.

(18) Della cascina Horiolo esiste traccia documentaria fin dal XII secolo. Nel 1653 faceva parte del feudo del conte Alessandro Annone; nel Catasto Cessato del XIX secolo era al n.498. Fino al 1876 proprietario fu Pietro Robecchi di Gioacchino; in seguito la proprietà fu ereditata dai figli Giuseppe e Angela. Pietro Robecchi (1792/1872) fu insigne giurista: dopo le 5 Giornate di Milano, il governo provvisorio lo nominò Giudice Supremo del Tribunale Lombardo. Giuseppe Robecchi (1825/1898) fu combattente del Risorgimento e Senatore del Regno dal 1894 (cfr. Una famiglia italiana: i Robecchi, di Erminio Robecchi Brivio, 1938, Milano).

(19) "Villa Respiro", n.1 nel Catasto Cessato di Paderno d'Adda, nel 1854 era proprietà di Luigi Barni. In seguito passò, per eredità, al figlio, Don Gaetano, poi al nipote di questi, Giovan Battista Barni, che nel 1868 la vendette, insieme a un fondo di Robbiate, a Luigi Airoldi, figlio del barone Paolo. Su quest'ultimo passaggio di proprietà, ampia documentazione è conservata all'Archivio di Stato di Milano, nella cartella 9 del "Fondo Airoldi di Robbiate".

(20) Don Alessandro Villa, originario di Robbiate, nacque il 23 marzo 1816; fu "eletto" parroco il 21 agosto 1848 e morì il 21 novembre 1889.
 
(21) Strada militare con inizio al traghetto di Imbersago, costruita negli anni venti dell' '800 dall'amministrazione austriaca. Oggi viene identificata con le sigle Sp. 56 in territorio lecchese e Sp.03 in quello milanese, pur mantenendo in entrambi anche la denominazione "d'Imbersago". Le cascine Sernovella e Colombina sono situate in territorio di Robbiate, in via Sernovella: corrispondono, la prima ai numeri civici 3 e 5, la seconda al numero civico 2.

(22) Costruito nel 1670/71 dove un'antica cappelletta era da tempo oggetto di culto popolare, sorse su un terreno destinato per testamento a questo scopo dal Conte Carlo Corio. L'edificio non corrisponde al progetto originario, ben più ambizioso, poiché verso la metà dell'ottocento, quando la comunità poté finalmente permettersi di completare l'opera, la strada militare (vedi nota precedente) aveva eroso lo spazio necessario (cfr. La beata Vergine del Pianto. Santuario nella Parochia di Robbiate. Memorie e preghiere, Don Alessandro Villa, 1873, Milano)

(23) Don Cesare Bonfanti (1832/1915) fu coadiutore di Don Alessandro Villa (1816/1889) e del suo successore, Don Enrico Panzeri (1856/1924). Suo fratello Ercole (1834/1923), medico, svolse l' attività professionale a Robbiate, che gli ha dedicato una via, e nei paesi vicini.

(24) Potrebbe riferirsi all'antico convento di S.Rocco, sorto intorno al 1580 in Merate, al confine con il territorio di Imbersago, luogo che servì da Lazzaretto durante le epidemie di peste del 1524 e del 1567. Il convento, soppresso definitivamente nel 1810, fu trasformato in casa di villeggiatura che ebbe diversi proprietari: l'area da esso occupata ospita dal 1923 l'Osservatorio Astronomico (cfr. Storia di Merate, Luigi Zappa, Merate).

(25) La famiglia Castelbarco è originaria della Val d'Adige e della Val Logarina, dove, intorno all'anno mille, aveva vasti possedimenti, controllava diversi castelli ed esercitava un notevole potere politico e militare. La villa di Imbersago, insieme ad un'altra posseduta a Vaprio, fungeva da casa di campagna dopo il trasferimento della famiglia in Lombardia: il fabbricato, che risale alla seconda metà del seicento, e stato oggetto di diversi ampliamenti fino ad assumere l'aspetto attuale verso la metà del XIX secolo (cfr. www.villacastelbarco.it)

(26) Due sono i Cardinali provenienti dalla nobile famiglia dei Simonetta: Giacomo, nominato da Paolo III nel 1535, fu Vescovo di Pesaro, morì a Roma nel dicembre del 1539; Ludovico, nipote di Giacomo, nominato da Pio IV nel febbraio 1561, morì a Roma il 30 aprile del 1568 (cfr. www.araldicavaticana.com)

(27) Il Santuario è situato a 287 metri s.l.m. in una località conosciuta nel '600 come Valle o Sorgente dei Lupi, per la presenza di una sorgente in una zona infestata dai lupi. Qui, il 9 maggio del 1617, la Madonna sarebbe apparsa a tre fanciulli e avrebbe compiuto il miracolo di far maturare un riccio di castagna fuori stagione. L'episodio riferito da Gnecchi del bambino salvato dal lupo sarebbe invece, secondo la tradizione, avvenuto più tardi, quando il luogo era già diventato meta di devozione. Il Santuario fu costruito nel 1641 sopra una precedente (1632) cappella, lo "scurolo", mentre la Scala Santa fu realizzata tra il 1817 e il 1824 (cfr. Fides per Millenium - Il decanato di Brivio storico erede dell'antica pieve, Commissione Cultura del Decanato, 2000, Oggiono) .

(28) Si riferisce probabilmente al sacerdote Giuseppe Rossari che nel 1882 era Assistente Confessore e Maestro del Coro presso il Santuario ed era già stato citato (1852) da Cesare Cantù nella sua Grande Illustrazione del Lombardo Veneto, Volume 3, 1858, Milano.

(29) La lapide, ancora oggi posta di fronte a quella citata da Gnecchi, così recita: A TE/ L'ONOR LA LODE/ VOLGE DAI NOSTRI CUORI/ INCLITA/ MADRE DEL VERBO/ DI LUI/ CHE IL FIGLIALE AFFETTO/ PONE A SALVARE/ TUTTI CHE TI RENDON GLORIA/ O SANTA SIGNORA NOSTRA/ MADRE DI DIO/ A NOI/ I MERITI DI TUA SANTITA'/ PIETOSA COMPARTI. Prima del testo è scolpita l'annotazione: RESTAURO OPERATO NEL 1851.
 
(30) "Eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono", Genesi 7,11. L'ironia che traspare dalle parole di Gnecchi sembra ingiustificata in quanto l'immagine dell' "aprirsi delle cateratte del cielo" per indicare pioggia a dirotto o diluvio era d'uso comune. Cfr. Grande Dizionario della Lingua Italiana, Vol. II, Salvatore Battaglia, 1962, Utet, Torino.

(31) "Castello del porto" è un espressione ambigua, essendoci allora a Brivio sia un castello che un porto. Comunque né sul primo, né sugli edifici che circondavano il secondo esistono ancora le due lapidi con il sistema decimale.

(32) Per attraversare il fiume con un ponte si dovette aspettare fino al 2 giugno 1917, quando fu inaugurato quello che attualmente congiunge a Brivio le due rive dell'Adda.

(33) "Mura" è un antico nucleo sviluppatosi sulla strada, forse di origine romana, che conduceva da Cisano a Brivio.
Nel 1392 faceva parte del comune rurale di Brivio Bergamasco, situato sulla sponda bergamasca dell'Adda. Nella frazione di Mura può forse essere identificato il Castello di questa località citato per la prima volta in un documento del 1281 (cfr. Cisano Bergamasco alle soglie del terzo millennio, Pro Loco di Cisano Bergamasco, 2002, Cisano Bergamasco). Su una pietra, ai piedi del muro della casa che nella mappa del Catasto Lombardo Veneto è contrassegnata dal numero 1567, è ancora leggibile il numero 1784 segnalato da Gnecchi.
 
(34) Si ha l'impressione che Gnecchi abbia calcato eccessivamente la mano e voluto generalizzare alcuni dati reali relativi al banditismo e al contrabbando, fenomeni tradizionalmente presenti nelle località di confine. Su questo tema alcune notizie e qualche indicazione bibliografica si trovano in Cisano Bergamasco alle soglie del terzo millennio, op. cit., pag.127.

(35) Nessuna traccia rimane della lettera M notata da Gnecchi. Il castello, che in un documento del 1095 risultava appartenere alla famiglia dei Conti Vimercati Sozzi de Capitani, era posto a difesa della strada romana proveniente da Aquileia. Dell'antico fortilizio rimane una muraglia e una torre con resti di merlature e feritoie con sedili laterali. Dagli anni cinquanta del secolo scorso il castello appartiene all'ingegner Enrico Magnetti, che nel 1993 ne ha promosso il restauro.

(36) Il monastero fu soppresso il 13 maggio 1798: l'edificio monastico venduto a privati (primi acquirenti i nobili Sozzi di Caprino) fu adibito alla lavorazione della seta e ad altri usi commerciali; la chiesa fu inglobata nella Diocesi di Bergamo e divenne sede parrocchiale. Il 14 gennaio 1910 fecero ufficialmente ritorno i monaci benedettini, don Raffaele Del Papa (1877/1960) fu il primo abate del rinato monastero (cfr. San Giacomo di Pontida, nove secoli di storia, arte, cultura, Giovanni Spinelli (a cura di), 1996, Pontida).



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