martedì 30 giugno 2015

AL SAN MARTINO SUL SENTIERO DEI PIZZETTI di Marco Bartesaghi


Se dai campi, quelli lontani dalle case, o dall’alto di qualche edificio di Verderio, ma anche di Milano nelle giornate di cielo limpido, guardate verso Lecco, la montagna che più di ogni altra si mette in mostra e occupa la scena è il Resegone.

Il Resegone


Gianni



La più bella del mondo, secondo il Gianni, che adesso abita a Paderno d’Adda, ma è di Verderio, anzi, di Cascina Alba e che di montagne se ne intende. E il Manzoni, ne’ I Promessi Sposi, è al Resegone che rivolge soprattutto la sua attenzione.






 
 
 
A Lecco però il suo primato è fortemente messo in discussione da un’altra montagna, il San Martino, che sulla città incombe maestosa e verticale.

Il San Martino


Lo "sbrego" lasciato dalla frana del 1969

 
 
 
E anche minacciosa, visto che ogni tanto lascia cadere qualche masso, che si precipita verso la città. Se non la colpisce è solo grazie alle difese costruite negli ultimi trent’anni del secolo scorso, dopo la grande frana del 23 febbraio 1969, notte di carnevale, che travolse una casa di tre piani e uccise sette persone: sulla parete da cui si era staccata, la ferita è ancor oggi ben visibile.


 
 
 
 
Il sentiero più facile per salire al San Martino è il n.52, che parte da Rancio alta, un quartiere di Lecco, e raggiunge prima la chiesetta bianca e poi quella “rossa”- perché è sempre stata rossa, anche se adesso, non so perché, l’hanno dipinta d’un altro colore, scombussolando i miei più antichi riferimenti – vicino al rifugio Piazza. 
 
colazione al sacco al rifugio Piazza
 
È un sentiero abbastanza semplice, che in circa un’ora e un quarto permette di raggiungere la meta. Quando ero studente e abitavo a Lecco, spesso ci andavo anche solo di pomeriggio; mi sembrava che il posto aiutasse la concentrazione: non mi sono mai laureato.

Il San Martino, che fa parte del gruppo delle Grigne, comprende due torrioni, ben visibili se li si guarda da certe posizioni, meno da altre, perché risultano schiacciati contro la montagna. Sono i “Pizzetti”, e il sentiero n. 53, che li aggira e da loro prende il nome, è, secondo me, il più bello di quelli che portano al rifugio Piazza.


I Pizzetti







È infatti divertente, perché bisogna affrontare una serie di roccette abbastanza impegnative (aiutandosi con catene affidabili, poiché in ottimo stato) ...
















... e percorrendolo si godono splendide viste sul lago, sulla valle dell’Adda, su Valmadrera e i laghi di Oggiono e Annone.

















Il sentiero non è facile facile e per questo non mi azzardo a descriverlo, demandando il compito a chi è sicuramente più affidabile di me: 







Mi limito a un consiglio. Quando siete dietro al primo Pizzetto, piuttosto che affrontare subito il canalino attrezzato che sale verso sinistra, prendete il sentiero sulla destra, anch’esso con catene, e salite sul Pizzetto: c’è un panorama da sballo, di cui potete farvi un' idea guardando il filmato girato da Giovanna con il telefonino, e anche un tavolo con panche per goderlo meglio.
Buona camminata.








19 LUGLIO 1980: LA MORTE IN MONTAGNA DI PINO OGGIONI di Marco Bartesaghi

Il Corno Medale, con la traccia in rosso della via Taveggia




Sabato 19 luglio 1980: Pino Oggioni affronta in solitaria la via Taveggia del Corno Medale, parete del gruppo delle Grigne. La via che ha scelto non è facile, comprende diversi passaggi impegnativi. Un sacerdote dal basso segue con il cannocchiale la sua salita, fino a quando gli sembra che abbia superato le maggiori difficoltà. Ma è proprio a questo punto che Pino precipita e muore. È stato colpito da un sasso? ha avuto un malore? La causa dell’incidente è rimasta sconosciuta.L'allarme viene dato dalla sua ragazza la sera del sabato, il corpo viene ritrovato la mattina seguente. Al fratello Fabio, allora diciannovenne, spetta il gravoso compito del riconoscimento.




Pino aveva 23 anni: era nato il 17 maggio 1957 a Verderio Superiore, in cascina Alba, dove erano nati anche i suoi genitori: il papà Giovanni, per tanti anni titolare di un officina meccanica, ora gestita dal figlio Fabio, e la mamma Luigia Villa.
Frequenta le scuole a Verderio, fino alle superiori, quando sceglie l’istituto tecnico industriale Hensemberger di Monza. In seguito si iscrive all'Università.
Intelligente, consapevole delle sue capacità, Pino mette tutto il suo impegno nelle attività che man mano lo appassionano: lo sport, la politica, la montagna, ma sono solo tre esempi.








Pratica l’atletica leggera, in un primo tempo, secondo i ricordi del fratello, come saltatore in alto, in seguito come mezzofondista. Fa parte della squadra de’ “La Torre”, di Merate e poi della SNIA di Varedo. Notizie sulla sua attività agonistica si trovano in “Verderio Giovane”, giornalino locale degli anni settanta, edito dall’omonima associazione. Si viene così a sapere che al Campionato Regionale di corsa campestre, per atleti di età non superiore ai 15 anni, svoltosi a Malgrate il 4 aprile del 1971, Pino si classifica secondo
Durante le scuole superiori, l’impegno politico prende il sopravvento: partecipa molto attivamente al movimento degli studenti dell’ Hensemberger e ne diventa il leader. All’interno della scuola fa parte del CUB (Comitato Unitario di Base) di Avanguardia Operaia, organizzazione politica di estrema sinistra, nata a Milano nel 1968 e molto attiva per tutti gli anni settanta. Nel territorio di Monza, dove Avanguardia Operaia era ben radicata, Pino è uno degli esponenti più in vista.





In una lettera pubblicata sul “Giornale di Merate” nei giorni della sua morte, i “i compagni e gli amici di Verderio” (così è firmata), fra l’altro scrivono:
 

“Parole come impegno, responsabilità, dovere che tanti hanno cancellato dal vocabolario, Pino le ha invece sempre messe in pratica, perché riteneva che questa fosse l’unica via per chi, come lui, volesse veramente cambiare la realtà nel senso del progresso sociale. Mai può essere messa in dubbio la coerenza, la legittimità della sua scelta operaista, proletaria, fatta soprattutto in virtù di una grande sete di giustizia …”
 

A facilitarlo in questo suo ruolo politico, sembra sia stata la capacità, riconosciuta anche da chi non condivide le sue posizioni, di parlare e, soprattutto di farsi ascoltare.



Così lo ricorda Ferdinando Bosisio, sindaco democristiano di Verderio Superiore, dal 1995 al 1999:
“I ricordi che ho di Pino risalgono a quando eravamo bambini. I nostri genitori erano molto amici e abbiamo fatto insieme anche alcune vacanze al mare.
Poi, abbiamo continuato a frequentarci, fino al momento della sua morte.
Era una persona affascinante, con molti interessi per i quali sapeva spendersi fino in fondo, sia che si trattasse di attività sportive (l'atletica leggera, il motocross e, infine, l'alpinismo) che di politica, la vera grande passione, credo, della sua vita.
Ai tempi delle scuole superiori io ero in seminario a Torino, lui era iscritto all'Hensemberger di Monza. Ci si vedeva solo quando tornavo per le vacanze di Natale e Pasqua e poi per quelle estive. Allora militava in Avanguardia Operaia ed era su posizioni molto radicali di critica della società, della chiesa, della politica.
Quando sono uscito dal seminario e frequentavo l'Università, facevamo spesso il viaggio insieme da Milano e tornavamo  a piedi dalla stazione di Paderno d'Adda.
Mi sembra che in questo periodo, pur mantenendosi fedele a una visione marxista rivoluzionaria, avesse assunto un atteggiamento più razionale e “politico”. Infine, negli ultimi due anni, seppur sempre impegnato politicamente, lo ricordo molto attento alla natura, all'ambiente, alla montagna.
Con lui ricordo  lunghissime discussioni, in cui sapeva dimostrare tutta la sua intelligenza, di cui era molto consapevole, e la sua capacità di essere ironico e qualche volta anche sarcastico.
Era una persona affascinante e un leader naturale. Rispetto a noi giovani del paese era quello che per primo si era reso indipendente dalla famiglia ed aveva frequentato ambienti per noi lontanissimi.
Dopo la sua morte ricordo di aver provato un forte  senso di vuoto: mi sembrava impossibile arrivare in stazione senza vederlo apparire e potergli parlare” 


Sul finire degli anni settanta, senza per questo abbandonare la politica, si avvicina alla montagna, nell’ambito di una rinnovata attenzione verso la natura e l’ambiente.
 

È forse in questo periodo che scrive il brano che la famiglia distribuirà, insieme  ad una fotografia, ad amici e parenti:
 

“Quanta felicità ho vissuto, quante cose mi ha dato la mia breve vita, la natura che tanto ho amato e che tanto amo, l'immenso contatto che ho avuto con gli altri, con tutti coloro che ho conosciuto …
Molte cose ho imparato dal rapporto con le masse , moltissime altre le ho avute dal rapporto con alcune persone, con alcuni compagni ...”

 


Non affronta l’alpinismo da sprovveduto, non si tira indietro di fronte alle crescenti difficoltà e si pone obiettivi piuttosto ambiziosi. Qualcuno giudicò un azzardo l’aver scelto di salire, da solo, quella particolare via del Medale: forse, in parte, lo fu, ma una certa dose di azzardo è insita nell’alpinismo e quanta ce ne sia stata nella scelta di Pino è difficile giudicare.

I suoi funerali si svolsero nella chiesa di San Giuseppe e Floriano. Celebrò la funzione il parroco, don Giampiero Brazzelli, che, racconta Nando Bosisio, seppur da lontano, mai aveva cessato di interessarsi di lui e delle sue scelte. Il sacerdote, pur considerando negativo il “massimalismo” di Pino e non tacendo la lontananza delle  reciproche posizioni, lo descrisse come ragazzo buono e generoso.
 

La chiesa era gremita, ma molti attesero la bara sul sagrato. Al cimitero, dopo la sepoltura, i suoi “compagni” lo salutarono intonando l’ “Internazionale”.

Marco Bartesaghi

Per scrivere di Pino, che io non ho conosciuto, ho parlato con il fratello Fabio, con l'amico e confidente Flavio Crippa, insegnante all'Hensemberger, con Ferdinando Bosisio e Marina Ravot, una ragazza con la quale Pino aveva condiviso una parte della sua vita. Ho poi consultato i giornali locali pubblicati nei giorni della sua morte: il "Giornale di Lecco", dove nell'editoriale il direttore Marco Calvetti esprime perplessità sulla scelta di Pino di affrontare da solo quella via, il "Corriere di Lecco",  "Il Resegone", la "Provincia di Lecco", il "Giornale di Merate".
Ho ricavato l'impressione che sulla sua breve  vita ci sia molto da raccontare. Questo articolo perciò non può che essere considerato un primo ricordo, semplice e modesto, in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua morte.















lunedì 29 giugno 2015

1969: IL CORO ALPINO LECCHESE CANTA "LA LEGGENDA DELLA GRIGNA"



"La Leggenda della Grigna"

tratta dal disco a 33 giri "Su pei monti ..."

del CORO ALPINO LECCHESE

26 novembre 1969





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BRUNATE - BELLAGIO: QUATTRO ANZIANI IN GITA SULLA DORSALE DEL TRIANGOLO LARIANO di Roberto Muzio

Roberto, il narratore






1 maggio
Ore 14.30, puntuale e preciso come l’orologio di un vecchio capostazione, l’amico Gianmaria è pronto a Cernusco per accompagnarci alla stazione di partenza della funicolare che da Como sale sino a Brunate, punto di inizio del sentiero che, lungo la Dorsale del Triangolo Lariano, giunge sino a Bellagio.  Siamo in quattro: Marco, Giovanna, Emanuela e Roberto.


Le previsioni del tempo annunciano pioggia a partire da metà pomeriggio e puntualmente, al nostro arrivo a Como, inizia a scendere una pioggerella leggera, quasi una nebbia, che non ci abbandonerà fino a sera.
Saliamo sulla funicolare che dalla fine del  1800 collega Como con il comune di Brunate e lentamente sale  sfiorando ville e giardini d’epoca. Sono costruzioni, alcune un po’ decadenti, altre molto ben conservate, che lasciano immaginare  vacanze estive di ricche famiglie lombarde che qui si trasferivano per trascorrere l’estate e beneficiare dell’aria “buona” del lago.


Como, la stazione della funicolare per Brunate
Purtroppo la vista sul lago oggi è preclusa dalle nubi basse e gonfie di pioggia; ci accontentiamo dei pochi minuti di viaggio sul trenino che silenziosamente sale ai  700 metri della stazione di Brunate, trascinato da una grossa fune d’acciaio.
Un veloce sguardo alla sala macchine, cuore dell’impianto funicolare  con le gigantesche pulegge in movimento, e poi via in cammino seguendo le indicazioni per la Dorsale del Triangolo Lariano che ci porterà  a San Giovanni di Bellagio.


Scorcio di una villa di Brunate

Dalla stazione della Funicolare di Brunate ci incamminiamo sulla ripida stradina che, passando tra ville e giardini, porta al Piazzale del Rifugio CAO (980 mt). Qui inizia l'acciottolato che ci porterà al Rifugio Riella (ex Palanzone) dove passeremo la notte. La pioggerella ci accompagna ma non disturba più di tanto e la giornata uggiosa ci lascia solo immaginare il paesaggio che stiamo attraversando.



La strada prosegue, inoltrandosi nel bosco  sempre sul lato sud/est della colma passando in successione vari punti di ristoro: Baita Carla, Baita Bondella  e il ristoro Boletto Fabrizio. Poco oltre , dopo un breve tratto di salita, il sentiero passa sul versante nord della dorsale dove, con tempo sereno, si può godere di una stupenda vista sul lago di  Como; non oggi, purtroppo.





Giovanna, in versione Gobbo di Notre Dame

La pioggia e le basse nubi non ci impediscono comunque di godere del fascino di un bellissimo bosco di faggi che attraversiamo ammirando in silenzio il contrasto tra il bruno-rossiccio del morbido tappeto di foglie umide sotto i nostri piedi  e il verde chiaro brillante di quelle tenere sopra le nostre teste.








Il sentiero giunge poco dopo alla deviazione per la Capanna Mara, ormai in prossimità del rifugio Riella (1275 mt), dove passeremo la notte dopo un'ottima e abbondante cena.

Il rifugio Riella








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venerdì 26 giugno 2015

AFFRESCHI ATTRIBUITI A GIOVANNI CANAVESIO NELLA CHIESA DI SAN BERNARDINO A TRIORA Fotografie di Denise Motta

Triora è un comune dell'Alta Valle Argentina, nelle Alpi Liguri, in provincia di Imperia.
Borgo di origine romana, è celebre per i processi per stregoneria che vennero celebrati fra il 1587 e il 1589, e che portarono alla condanna al rogo di alcune giovani donne.
 



Triora annovera numerose chiese, fra le quali, fuori dal centro abitato, quella di San Bernardino, che risale al xv secolo. Essa contiene affreschi attribuiti a Giovanni Canavesio da Pinerolo, autore del polittico posto dietro l'altare maggiore della chiesa di Verderio dedicata ai santi Giuseppe e Floriano.





 

Alcuni amici di Verderio recentemente sono stati in gita a Trora. Fra loro Denise Motta che ha scattato le immagini che vi propongo. È però necessario sottolineare che, mentre la pala di Verderio è sicuramente opera del Canavesio, i dipinti di Triora sono solo attribuiti a lui ed anzi,studi recenti propendono per assegnarli ad un autore sconosciuto di origine toscana. M.B.





AFFRESCHI ATTRIBUITI A GIOVANNI CANAVESIO NELLA CHIESA DI SAN BERNARDINO A TRIORA Fotografie di Denise Motta















Ringrazio Denny per le fotografie e ricordo che su questo blog, sotto l'etichetta Giovanni Canavesio, diversi articoli si occupano di questo sacerdote pittore, piemontese ma attivo soprattutto nella Liguria Occidentale. M.B.