domenica 14 settembre 2014

COVERD, UN'AZIENDA CON LA VOCAZIONE PER LA BIOEDILIZIA di Marco Bartesaghi

Angelo Verderio e Ornella Carravieri


COVERD è un’azienda di Verderio che, nel mondo dell’edilizia, si occupa di isolamenti termici ed acustici, utilizzando materiali naturali: il sughero, in primo luogo, e la lana di pecora. Consolidati ormai da tempo sono anche i servizi di consulenza e le realizzazioni speciali che la ditta è in grado di fornire in campo acustico e termografico.
 

Fondata nell’ottobre del 1984 da Angelo Verderio, in società con la moglie Ornella Carravieri, COVERD, nasce come snc. Quattro anni fa, si è trasformata in srl, per preparare il cambio generazionale. I due fondatori hanno infatti coinvolto la figlia Diana e il genero, Massimo Murgioni nella guida dell'azienda. L’incontro di Angelo Verderio con il “sughero” è stato casuale: nella seconda metà degli anni settanta, entra in contatto con la L.I.S. (Lavorazione Italiana Sughero), azienda che operava soprattutto nel settore delle calzature e si stava affacciando anche al mondo dell’edilizia, e ne diventa rappresentante.
 


Dopo un periodo di rodaggio, ottiene dalla ditta una “lettera di commercializzazione”, che gli permette, nel 1981, di incentivare le vendite avendo a disposizione il materiale anche per le consegne di piccola entità.


Non di semplice vendita si deve però parlare, bensì di “vendita tecnica”: i progettisti, dovevano essere opportunamente informati per poter apprezzare le qualità tecniche del sughero ed essere indotti a proporlo e a farlo acquistare dagli utilizzatori, nonostante il suo prezzo fosse superiore, soprattutto allora, a quello di altri prodotti più comuni. Era altresì importante, fornirgli le conoscenze necessarie per metterli in condizione di effettuare una messa in opera ottimale.
Il lavoro di Verderio, fin dall'inizio, non è quindi semplicemente quello di rappresentante. È lui che chiede all'azienda produttrice di fornirgli materiale con determinate caratteristiche tecniche ed è sempre lui che ne certifica la qualità presso i clienti, in funzione della destinazione di utilizzo.
Questa realtà è sancita nel 1984, quando nasce COVERD, con sede a Verderio Superiore (ora Verderio), in un capannone di via Leonardo da Vinci. 


 
Uno stemma della ditta COVERD disegnato da Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri




IL SUGHERO
Il sughero è la corteccia esterna della “Quercus suber”, una pianta della famiglia delle fagacee, che può raggiungere i venti metri d’altezza ed è, comunemente conosciuta come “quercia da sughero”. Caratteristica dell’area mediterranea, in Italia è presente soprattutto in Sicilia, Sardegna e Toscana.
Nel sito di COVERD si legge che il sughero è un materiale “atossico, biologicamente puro, inalterabile, impermeabile, traspirante, resistente”; che è “elettricamente isolante e inattaccabile da muffe, insetti e roditori” Inoltre “ha una bassa velocità di combustione, pur non subendo alcun trattamento chimico che lo renda ignifugo”.





TRENT’ANNI DI VITA DELL’AZIENDA

La capacità di offrire sia un prodotto di alta qualità che una consulenza, un'assistenza tecnica e una manodopera molto qualificata, sono le caratteristiche fondamentali, secondo Angelo Verderio, della sua ditta, punto di arrivo di un percorso iniziato trent’anni fa.
Nato a Bellusco il 15 aprile del 1948, in possesso di diploma della scuole commerciali,frequenta la scuola-lavoro aziendale all’Alfa Romeo. Finita la scuola, nel1964 è assunto da una ditta che vende spazi pubblicitari (“fumo”, dice lui) per alcune riviste tecniche specializzate. Dopo la morte del titolare, Verderio, poco più che ventenne, diventa praticamente il motore dell’azienda.
Assunto dalla Rossi Dragon, una ditta di Carugate, come direttore commerciale, si dedica alla vendita di inceneritori per il settore ospedaliero. Non vedendo riconosciuti i suoi meriti decide di lasciare l'azienda.




Grazie all'esperienza e alle conoscenze coltivate durante la vendita dei forni inceneritori, ottiene una rappresentanza di materiali refrattari. “Con l'esperienza che avevo” - dice -”nel vendere fumo (la pubblicità) quando ho potuto finalmente vendere un prodotto concreto non ho avuto alcun problema”.
Durante questo periodo acquisisce esperienza di svariati cicli lavorativi, e inizia a occuparsi dell'utilizzo del sughero nel settore edile. Quando il mercato del sughero si incrementa decide di dedicarsi esclusivamente a questo prodotto.


 Nel 1989 COVERD, a cinque anni dalla fondazione, è ormai un'attività consolidata e comincia ad affrontare lavori di grande rilievo: il palazzo F.E.V.I. di Locarno, dove si svolge il festival internazionale del cinema; la discoteca Rolling Stone di Milano e altre sale simili; alcuni Hotel, in occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990: lo Sporting e il Puccini a Milano e il Falcone a Monza; molte residenze civili delle cooperative delle ACLI. Per un concerto di Vasco Rossi a San Siro, il primo, e uno di Eros Ramazzotti all'Arena di Milano, Verderio ha l'incarico di tecnico acustico.
Per poter affrontare questi impegni la ditta ha dovuto crescere dal punto di vista tecnico.



Sala regia MTV Milano



Agli esordi è Verderio stesso che si documenta e studia, da autodidatta, ma non disdegnando l'aiuto di nessuno. Importante , ad esempio, è stato il contributo di un famoso cantante, Toto Cotugno, che si era rivolto a COVERD per curare l'acustica di tre sue sale di incisione. L'alta competenza tecnica ed il finissimo orecchio musicale del musicista sono ricordati da Verderio come uno dei contributi più validi alla sua formazione professionale. In quell'occasione egli acquista il suo primo fonometro, un apparecchio d'avanguardia. Con l'aiuto dell'artista ha però modo di comprendere che lo strumento in sé non poteva essere la soluzione tecnica dei suoi problemi: esso infatti non era in grado di sostituire la necessaria capacità di ascoltare e capire i suoni.


Diana Verderio
Per quattro o cinque anni, collaborano con la ditta un cugino, perito termotecnico, e una cugina studentessa di fisica: svolgono ricerche di acustica e termica strutturale, facendo  sperimentazioni sul campo. A loro si deve l'ossatura tecnica iniziale della ditta.
In seguito (1987 – '88) Verderio instaura un rapporto di collaborazione con il dottor Marco Raimondi, per sviluppare e dar corpo alla divisione di acustica architettonica della ditta. La collaborazione nata in quegli anni prosegue ancora oggi, con reciproca soddisfazione, dato che la competenza tecnica di Raimondi e quella della ditta sono cresciute di pari passo e sono riconosciute a livello nazionale. 


Massimo Murgioni


Contestualmente l'azienda si consolida anche negli altri settori, quello delle applicazioni speciali, grazie alla costante crescita tecnica del futuro genero di Verderio, Massimo Murgioni, e quello commerciale, per l'entrata della figlia Diana.



 
BIOEDILIZIA: UNA SCELTA DI CAMPO E UNA RIVISTA
 

Chi sono i clienti di COVERD e come vengono a conoscenza dell'azienda?
COVERD, agli inizi della sua attività, si fa conoscere attraverso un proprio giornale di 16 pagine, intitolato ECOVERD per un breve periodo e poi BioEdilizia, il nome che mantiene tuttora.
Questo titolo viene scelto per essere in sintonia con il mondo della bio-architettura, del quale fanno parte gli architetti che amano la natura e prediligono i prodotti naturali per i loro progetti e le loro realizzazioni, i clienti più interessati alle proposte di COVERD.






Alla bio-architettura Verderio si avvicina attraverso l'architetto lecchese Giosuè Micheli, conosciuto lavorando alla costruzione della sua casa.
BioEdilizia, che nasce nel 1989, ha come filosofia di base, l'idea che si debba costruire, per quanto possibile, utilizzando i materiali naturali del posto. Da una tiratura iniziale di circa 4000 copie in forma cartacea,  si passa alle attuali 100mila copie, distribuite in formato elettronico.
BIOEDILIZIA è una rivista a tutti gli effetti a periodicità quadrimestrale. La testata è depositata presso il Tribunale di Lecco, dal 1988.






FORMAZIONE TECNICA ATTRAVERSO I CONVEGNI
 

Il primo risale al 1998. È organizzato dal Consorzio Cooperative Lavoratori (CCL) delle ACLI di Milano, per cui COVERD aveva realizzato importanti lavori. Tema del convegno la normativa acustica che da poco era stata approvata e che creava grossi problemi al mondo dell'edilizia impreparato ad affrontarla.
100 – 120 persone il numero di partecipanti previsto dagli organizzatori. Nell'impossibilità di trovare una sala di poco superiore ai 100 posti, Verderio chiede il teatro del Collegio San Carlo di Milano (altro suo cliente), capienza 500 posti. Un centinaio di presenze in una sala così avrebbe avuto un effetto deprimente.  Verderio chiede di poter ampliare la platea dei partecipanti, divulgando la notizia attraverso la sua rivista. Nell'incredulità generale gli iscritti furono più di 700, i partecipanti effettivi 550: un pubblico eterogeneo che obbligò i relatori, primo fra tutti Marco Raimondi, a fare salti mortali per tentare di non scontentare nessuno.
A parte qualche altra esperienza simile a questa, gli incontri organizzati da COVERD per la formazione tecnica relativa ai temi di sua competenza, sono ripresi nella nuova sede dell'azienda, presso la storica Aia di Verderio, che comprende un' apposita sala convegni.
Responsabile sia delle iniziative editoriali (BIOEDILIZIA e AudioDinamika) che dell'organizzazione dei convegni è Demetrio Bonfanti, un collaboratore che fa parte dell'azienda dagli albori della sua attività.







L'ATTUALITÀ
 

La novità più importante di questi ultimi anni è il ruolo  assunto da Diana Verderio e dal Marito Massimo Murgioni, che hanno affiancato i fondatori, Angelo e Ornella, nella guida dell'azienda. Un ricambio generazionale all'insegna però della continuità, poiché non è cambiato l'impegno a privilegiare il conseguimento di una sempre più elevata preparazione tecnica.
Dal 2006 COVERD ha una nuova prestigiosa sede in centro Verderio. È l'antico edificio dell'aia, fatto costruire dalla famiglia Confalonieri nel 1857, su progetto dell'architetto Besia. Un edificio, secondo Angelo Verderio, tutt'oggi simbolo e guida per l'edilizia naturale, quella orientata ai canoni della bioedilizia, bioarchitettura  ed ecosostenibilità.
La famiglia Verderio, promuovendo la ristrutturazione a regola d'arte dell'aia, ha voluto certamente fare un regalo a sé stessa, soddisfacendo una sua ambizione. Contemporaneamente però ha fatto un regalo agli abitanti dei Verderio, ridando vita a un prezioso edificio abbandonato da decenni e ricco di ricordi per i più anziani del paese.
La crisi economica che stiamo vivendo, che, più di ogni altro, ha colpito il settore dell'edilizia, non ha lasciato indenne COVERD. L'assenza di nuove costruzioni ha ridotto notevolmente le vendite. Proprio in questa congiuntura si è rivelata azzeccata la scelta, costosa ma strategica, di aver dedicato tante energie alla ricerca tecnico – scientifica, dando modo all'azienda di sopperire, almeno in parte, con le consulenze e le realizzazioni speciali, alle difficoltà vissute in altri settori della sua attività.


Marco Bartesaghi





FAR RINASCERE L'AIA: "UN'IMPRESA AFFASCINANTE". Intervista ad Angelo Verderio di Marco Bartesaghi




Un' “aia”, secondo il dizionario Zingarelli, è “un'area di terreno sodo o pavimentato, contigua ai fabbricati rurali, destinata ad accogliere i prodotti da essicare, trebbiare, cernere, …”.


Quella fatta costruire dal conte Luigi Confalonieri Strattmann a Verderio, nel 1857, e progettata dall'architetto Besia, è un quadrato di lastre di granito, rialzato di un paio di metri rispetto al terreno. Le piastre poggiano infatti su pilastri di mattoni pieni, poggianti a loro volta su muri in pietra.

Le lastre di granito di Montorfano dell'Aia di Verderio



Il sotterraneo, è sottoposto al passaggio dell'aria, poiché è aperto verso l'esterno per tutta la lunghezza di tre dei suoi lati. La circolazione dell'aria aveva il compito di contribuire, con i raggi del sole, all'essicazione delle granaglie esposte sul piano di granito, accorciando i tempi e aumentando così l'efficienza dell'impianto rispetto alle aie tradizionali poste a livello del terreno.

Pilastri di mattoni, su muri di sasso, su cui poggia l'aia




La scala di accesso al sotterraneo dell'aia, di recente costruzione, e le aperture originali



Adiacente al lato nord dell'aia, un elegante edificio a portico fungeva da luogo passaggio per le messi da esporre al sole.

Tutta l'area era cinta da un muro, aperto, in un angolo del lato est, da un cancello.

Nel 1888 l'aia, insieme alla gran parte della proprietà Confalonieri in territorio di Verderio, fu acquistata dalla famiglia Gnecchi Ruscone. Con la nuova proprietà continuò per decenni a svolgere il suo compito al servizio dell'agricoltura, per poi essere trasformata in abitazione ed infine abbandonata..

Nel 1980 è stata venduta alla famiglia Sala di Monza.

Nel 1996, grazie a (“o per colpa di”: ci sono due scuole di pensiero) una segnalazione all'Ufficio Beni Ambientali,  fatta da Sinistra per Verderio, gruppo di minoranza nel Consiglio Comunale di Verderio Superiore, l'edificio è stato sottoposto a vincolo insieme al resto del territorio comunale.

Acquistata, nei primi anni del nuovo secolo, dalla ditta COVERD dei signori Angelo Verderio e Ornella Carravieri, dopo importanti e attenti lavori di restauro è tornata a nuova vita.

Sul sito di COVERD ( http://www.coverd.it/index.php ), cliccando prima su "pubblicazioni", e poi sulla voce "Aia: la storia", trovate un libretto in PDF intitolato: "Aia. L'antico e il nuovo in bioedilizia", sulla storia passata e recente dell'aia.





Angelo Verderio

 


Quello che segue è invece il frutto di una lunga chiacchierata con Angelo Verderio, fondatore di COVERD e artefice, insieme al resto della sua famiglia, della rinascita dello storico edificio.

 



Lo incontro in uno degli uffici del nuovo fabbricato, quello che ha sostituito il muro di cinta del lato ovest, e per prima cosa gli chiedo cosa lo abbia spinto a comprare l'aia e a investirci tante energie.


 Angelo Verderio (A)- Avevamo bisogno di più spazio per gli uffici, perché ormai eravamo in tanti, 12, e la palazzina all’interno del capannone non era più sufficiente. D’altronde non potevamo più ampliarci perché in precedenza avevamo occupato tutto lo spazio disponibile.

Marco (M)
– Di che anno si parla?
A – 2004. Il secondo motivo è che ormai prevalevano, nel lavoro della ditta, le consulenze e le realizzazioni ad alto livello e l’ambiente non era più adatto ad accogliere le persone che dovevamo ricevere.

M – Avete puntato subito sull’aia?
A – No, in un primo tempo abbiamo cercato un capannone più grande, con annessi degli uffici, ma quelli che si trovavano erano tutti fuori Verderio e le mie donne, mia moglie e mia figlia, non volevano uscire dal paese.
Dal tecnico comunale ho poi casualmente saputo che l'aia era in vendita.

M – Un colpo di fulmine …
A – Sì e no, perché 10 anni prima, nel 1993  avevamo già pensato di comprarla per farci la casa, ma ci era stata rifiutata perché il proprietario, il signor Sala, aveva altri progetti.




L'aia fotografata nel 1993


M – Quindi la conoscevate già …
A - Non avevamo mai visto l'interno: ci aveva affascinato vista da fuori. La prima volta che sono entrato, insieme al Sala, qui dentro c'era la foresta. Ho guardato mia moglie e mia figlia: a loro piaceva e allora  gli ho detto “Senta, a me interessa: mi dica una cifra e io finché non concludiamo di qui non esco”. Ha fissato una cifra, ci siamo stretti la mano e via. Più una cosa istintiva che di riflessione. Si è fatto tutto in due giorni: martedì l'ho chiamato, giovedì mi ha fatto entrare e si è concluso.

M – Come mai alla fine si era deciso a vendere?
A – Per motivi suoi, personali, famigliari. Mi diceva che si potevano ricavare 250 mq di uffici, fra sopra e sotto …

M- Sotto …?
A - Sotto il cortile dove c'è il museo … che si poteva aprire la cinta e venir fuori con la macchina e costruire delle villette a schiera, sul lato ovest;.. Mi aveva fatto vedere anche dei disegni fatti bene.

M – Era proprio così?
A – Non direi. Quando ho telefonato in soprintendenza, l'architetto De Stefani mi ha detto “Lì non si tocca niente. Comunque faccia un progetto e poi ce lo faccia vedere”. Gli ho risposto che, prima di fare un progetto, volevo parlare con lui per avere delle linee guida e che, in caso contrario, con o senza di lui, qualcosa avrei fatto perché mi piaceva, punto e basta.

M – Un po’ di tensione?
A – Sì, ma dopo che ci siamo chiariti gli obiettivi da perseguire tutto è cambiato. Una volta che si è convinto che non avevo intenzione di fare speculazioni, mi ha fissato dei limiti e poi tutto è andato benissimo..
Il problema che rimaneva era quello delle distanze minime dalla cascina qui di fianco. La mia fortuna
è stata che, quando sono venuto a vedere l’aia con De Stefani, dalla cascina è uscito Cornelio Cassago, il vecchio proprietario, che conoscevo perché macellava i maiali e preparava gli insaccati e qualche volta lo aveva fatto anche per me. Mi ha detto “Ah, te se te 'l prupretari? So’ cuntent insce vegnen mia chi …”, insomma altri che a lui non andavano. Così gli ho detto che avevo un problema di distanze dalla sua casa. “Che prublema l'è? Te me dumandet...Preocupes mia, parli cui mè fiou …”. Mantenne la parola e tutto fu più semplice.


M - Vi siete capiti insomma...
A – Sì. Lui, uomo di parola, mi ha detto “preocupes mia” e così è stato nel convincere i figli all'operazione, concordando con loro il tracciato e le opere necessarie.
Con Cornelio ho risolto anche il problema delle macerie che c'erano sotto l'aia, 800 metri cubi di materiale. Io dovevo smaltirle, a lui servivano come riempimento per le due case che dovevano costruire i figli. È andata bene a tutti.






 

M - Quando si è accorto dell'importanza storica dell'edificio che ha comprato?
A - Quasi subito, anche se all'inizio ha prevalso l'istinto di risolvere il problema di spazio della ditta.
Ho cominciato a rendermi conto quando sono andato nel sotterraneo, anche se con tutte quelle macerie si capiva poco, e quando ho visto i graffiti della facciata. Man mano che si andava avanti nella pulizia ci si rendeva conto dell'importanza: ci sono dettagli tecnici da cui oggi ci sarebbe molto da imparare.
Il caso ha voluto che abbiamo fatto la sede della nostra ditta, che si dedica alla bioedilizia, in un edificio storico modello di bioedilizia, perché questo è un essicatoio solare, un monumento che ha 150 anni. All'inizio eravamo presi più dalla soluzione del problema uffici che dall'edificio, invece poi ci siamo impegnati a fare in modo che venisse fuori bene, perché piace a noi come famiglia.

M – Parliamo del restauro. Cosa vi ha “concesso” la soprintendenza?
A – Eravamo in contatto diretto con l'architetto De Stefani. Ci ha chiesto che l'altezza della nuova ala fosse più bassa rispetto a quella dell'edificio originale






L'edificio originale e la nuova ala, in un disegno dell'arch. Bruna Galbusera e in una foto recente

e che l'entrata assumesse un aspetto meno importante rispetto all'aia.


Disegno dell'entrata degli uffici COVERD



De Stefani chiedeva anche che il corpo nuovo fosse in stile moderno, squadrato, per staccare meglio rispetto all'antico. A me e a mia moglie però questo stile moderno non piaceva, così il nostro progettista, l'architetto Bruna Galbusera, ha presentato un disegno con le finestre ad arco, stile “orangerie”, che alla fine è stato accettato. Sono state invece eliminate le passerelle che avrebbero permesso il passaggio diretto dalle porte finestra dell'edificio nuovo all'aia. 






L'ala nuova in stile "orangerie"



La soprintendenza ha chiesto anche che il tunnel di passaggio dal nuovo al vecchio non desse fastidio, che fosse il più leggero possibile, magari in vetro.




 

Il tunnel di passaggio fra il vecchio e il nuovo edificio



Inoltre abbiamo ottenuto di fare due scale d'accesso al sotterraneo, che sono servite durante i lavori, ma che soprattutto ora sono essenziali per permettere ai visitatori di accedere al sotterraneo.


M – Prima come ci si entrava?
A - Saltando dentro: non c'era nessuna entrata, perché lì sotto non era prevista alcuna attività, doveva solo scorrere aria.

M – Posso scrivere che i rapporti con la soprintendenza sono stati buoni?
A – Eccezionali ...

M – Hanno apprezzato il risultato finale?
A - Sì, tanto è vero che mi hanno fatto avere un contributo, nonostante io non avessi fatto alcuna richiesta, perché non sapevo di poterla fare. Hanno posto come condizione, e c'è un atto notarile che lo attesta, che l'aia sia aperta alle visite almeno una volta al mese per 10 anni. Sono già venute molte associazioni, scolaresche, gruppi di pensionati, oltre ai partecipanti ai convegni organizzati da COVERD (circa 4000 persone).
Mi stupisco del fatto che il Comune di Verderio non approfitti culturalmente di più dell'opportunità di avere un edificio come questo, che comprende anche un museo della vita contadina (sul sito del comune, ad esempio, non se ne fa alcun cenno).

M - Avete ospitato anche degli spettacoli, vero?
A – Sì: un concerto di “firlinfeu”, in occasione del 150° anniversario della nascita del gruppo che suonava, e uno di musica classica.
Il primo, promosso in collaborazione con il gruppo pensionati, è stato un mio regalo a Giulio Oggioni, che aveva fatto tante cose per me, sempre “gratis”. Sapevo che aveva questo desiderio e l'ho accontentato.
Il concerto di musica classica invece rientrava nelle iniziative del Festival di Bellagio, noi abbiamo messo solo a disposizione lo spazio.
In tutte e due le occasioni ho avuto modo di ammirare l'impegno dei volontari della protezione civile.
Mi piacerebbe che l'aia accogliesse altri eventi del genere e sto cercando di trovare i contatti perché ciò avvenga periodicamente. Vorrei contribuire a risvegliare l'attenzione verso la cultura, che i cittadini di Verderio hanno già dimostrato di apprezzare.


M – Mi parli un po' dei lavori.
A - Il progetto era stato affidato all'architetto Bruna Galbusera, a cui avevamo dato l'incarico di “tirar fuori” i volumi che rispondessero all'esigenza nostra di ricavare più spazio possibile, però con l'impegno di salvaguardare anche l'aspetto estetico dello stabile.
Per il restauro non ci siamo rivolti a un'impresa vera e propria, ma ad alcuni esperti artigiani che anni prima avevano costruito la nostra casa.
La nostra ditta si occupa di edilizia, e quindi noi stessi abbiamo seguito i lavori.


 
Il gruppo artigiani. Fra loro Gigliola, in piedi, e Beatrice, le decoratrici


M – Quando e come avete iniziato?
A – Nel novembre del 2004 abbiamo iniziato i lavori di messa in sicurezza: liberato dalle macerie il sotterraneo, disboscato il cortile e sistemato le tegole del muro di cinta.

M – Il piano di granito del cortile ha avuto bisogno di interventi?
A - No,No. E nemmeno i pilastri di mattoni: la legatura del cotto era meglio del cemento armato. Quando erano stati costruiti non si usava il cemento, che non c'era, bensì la calce, che ha la proprietà di diventare dura con il passare tempo, perché è soggetta al fenomeno della carbonatazione.
 


Particolare dell'aia


La nostra fortuna è stata quella.
Il problema erano i muri di sasso che erano legati con della malta esausta. In quel caso la fortuna sono state le macerie. Man mano che le toglievamo intervenivamo sui muri, dall'alto verso il basso, intanto che le restanti macerie tenevano in compressione i muri non ancora recuperati. Andavamo avanti per gradi.
 



Le macerie le asportavamo con un trattorino e, come ho già detto prima, le scaricavamo nel terreno del signor Cassago, senza doverle portar via. Cassago ci aveva anche permesso di entrare con il camion nel suo terreno. Per fortuna, perché il comune sembrava  facesse apposta a crearci difficoltà. 

M - La parte decorativa, esterna ed interna dell'edificio, è stata fatta da due decoratrici di Verderio, Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri. Come le avete incontrate?
A - Mentre facevamo i lavori c'era qui una squadra di giovani, neolaureati, tutti accreditati presso la soprintendenza, che facevano dei disegni, delle prove: ma io vedevo che “non c'erano”. 




Un bozzetto presentato dalle decoratrici Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri

 


Un giorno è passata la Bea e mi ha lasciato un loro biglietto. All'inizio le ho prese sottogamba, non le ho dato importanza. Poi, invece, ho detto: proviamo a sentirle. e le ho fatta fare un campione. L’ho visto, poi ho visto i disegni, le prove di colore eccetera. Hanno fatto anche una bozza per i disegni all'interno, secondo i desideri di mia moglie. Il rapporto con loro è nato così.

 

Decorazione geometrica delle pareti esterne e elemento tondo di pietra molera


M - Non le conosceva?
A - Le conoscevo di vista, ma non avevamo mai parlato. C'era il problema che non erano iscritte ai beni ambientali per il restauro: ho parlato con De Stefani gli ho chiesto se l'iscrizione fosse indispensabile. Lui mi ha detto di no, che dovevo dare  priorità alle capacità tecniche. e che se mi ritenevo soddisfatto del loro operato, a lui andava bene. Così è stato.


Particolare della decorazione del soffitto del tunnel fra vecchi e nuovo. Foglie di platano in "onore" del bellissimo platano esistente nelle vicinanze dell'edificio



M – Avete acquistato l’aia nel 2004: quando è stata  pronta?
A - Il rogito risale al giugno del 2004; a settembre era già abbozzato il progetto; a novembre sono iniziati i lavori di messa in sicurezza. A febbraio del 2005 l'aia era finalmente pulita e libera.
Alla vigilia di Natale del 2004 mi telefona De Stefani per dirmi che mi ha fatto un regalo, ha approvato la pratica: “Il tempo di spedirla in comune, fissare i costi di urbanizzazione e potete partire”.
A febbraio 2005 il sotterraneo era finito, compresi gli impianti che collegano i due edifici.
Sono andato avanti con i lavori di conservazione e messa in sicurezza approvato dal ministero anche se.
il comune  non mi aveva ancora dato la concessione. A fine gennaio 2004 la pratica era arrivata in comune; a metà febbraio era verbalizzata. Si dovevano solo fissare i costi di urbanizzazione (interesse del comune) e poi avrei potuto partire con la nuova ala. A giugno, nonostante i continui solleciti, non avevo ancora ricevuto niente. Sono andato in comune e mi sono sentito dire che mi avrebbero comunicato gli oneri a settembre. Mi sono alterato non poco, per la loro superficialità e lentezza, così tre giorni dopo mi hanno comunicato gli oneri: una mazzata, ma comunque potevamo iniziare i lavori della parte nuova. A giugno del 2006 eravamo già operativi con gli uffici. Tempo totale: due anni reali. Abbiamo battuto tutti i record.

M - Quali sono le caratteristiche dell’aia che ritiene più interessanti?
A - La struttura architettonica, i disegni e, sotto il profilo tecnico, la ventilazione perché è l'unico esempio in tutta Europa. Non è un modello copiato, è un “unico”, un vanto per Verderio.
Poi ci sono i particolari






Le finestre scorrevoli, anche quelle interne, con una meccanica d'avanguardia, cose solitamente usate per le case nobili.

 



La cupola, che da 150 anni è sottoposta al vento eppure nessuno ha mai dovuto metterci mano
Ecco, una domanda che ci si pone è come mai ci sia stata tanta attenzione e bellezza per un edificio di lavoro, un edificio destinato all'agricoltura.

Qualche altra riflessione.
Nei muri non abbiamo trovato una crepa, eppure su questa strada ne sono passati e ne passano di camion pesanti, che certo non erano previsti quando l’aia è stata costruita.

 



Una gronda così è tecnica pura, fatta di pietra molera, a trapezio per caricare il peso sulla struttura di sassi. Anche qui, neanche una crepa.





 

Il cancello era fatto in modo che, quando lo si chiudeva, dall'interno non lo si poteva più aprire: chi rimaneva dentro non poteva più uscire.

M – Perché?
A – Mistero. Probabilmente era un sistema di sicurezza: quando c'era la merce non la si poteva portar via se non aprendo da fuori il cancello. Probabilmente per lo stesso motivo, per poterla controllare meglio, l'aia era stata costruita vicino alla casa padronale.

Poi c’è uno scarico dell’acqua che fa paura.

M – In che senso?
A – La fogna, 50x50, fatta di muri di sasso coperti con lastre di granito, ha due scarichi, uno alla profondità di 6 metri, l’altro di un metro e mezzo, che scaricano nella campagna.








Particolari dei canali di granito che, nel sotterraneo, raccolgono l'acqua dai pluviali e la scaricano nel canale del cortile.

M - Cosa mi dice dei materiali usati? I più importanti
A – L'aia è fatta di granito estratto dalle cave del Montorfano nell'alto Verbano.
Poi c'è la beola bianca della val d'Ossola, utilizzata per i pavimenti dell'edificio.
Il cornicione e le colonne sono di pietra molera, che veniva  estratta a Oggiono o  anche qui dalle nostre parti.


Colonne, capitelli e archi in pietra molera della facciata sud


Colonne in pietra molera del protiro del lato nord


M – Sotto l'aia avete allestito un museo di oggetti della vita contadina. Come mai?
A – Da diverso tempo, per una passione nostra, raccoglievamo questo tipo di oggetti. Il lavoro di restauro, quasi sempre necessario, lo faceva mio suocero, Mario Carravieri. A lui abbiamo perciò dedicato, qualche giorno dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, il piccolo museo che abbiamo realizzato e denominato “Museo vita contadine del novecento.
Come ci è venuta l'idea? Abbiamo pensato di offrire l'opportunità a coloro che hanno l'occasione di visitare l'aia, di poter osservare degli oggetti che, con l'edificio, hanno in comune il legame con il mondo contadino. 





L'ambiente "lavanderia" del museo della vita contadina del novecento


M – È in preparazione un nuovo libro sull'aia ..
A – Sì, lo stanno scrivendo Giulio Oggioni e l'architetto Samuele Villa. È la storia dell'aia, inquadrata nel contesto della storia locale, dalla sua costruzione all'attuale recupero. Sarà distribuito da COVERD, soprattutto ai clienti in visita alla sua sede. Lo abbiamo fatto per festeggiare i trent'anni della nostra ditta e i prossimi 150 anni dell'aia.

M – Iniziative  future?
A – Il museo contadino è stato riconosciuto e proposto dalla Provincia di Lecco nel percorso museale del territorio.
L'edificio è entrato nel programma “Ville aperte”in Brianza, promosso dalla provincia di Monza e Brianza: domenica 28 settembre, ad esempio, l'aia sarà aperta alle visite del pubblico.
Sia l'iniziativa della provincia di Lecco che quella di Monza Brianza sono patrocinate dalla Regione Lombardia e da EXPO 2015.


Marco Bartesaghi











sabato 13 settembre 2014

BEATRICE FUMAGALLI E GIGLIOLA NEGRI, DECORATRICI E MOLTO ALTRO di Marco Bartesaghi



Beatrice Fumagalli








Quando nel 2004 sono iniziati i lavori di ristrutturazione dell’Aia di Verderio, fatta costruire nel 1857 dalla famiglia Confalonieri, a Beatrice Fumagalli si è presentata l’opportunità non solo di entrare nell’edificio, per esplorare il quale, quando era abbandonato e sommerso dalla vegetazione, era stata tentata più volte di scavalcare il muro di cinta, ma, addirittura, di concorrere alla sua rinascita.






Da quasi dieci anni lei e Gigliola Negri erano decoratrici professioniste, e avevano svolto anche lavori di una certa rilevanza, sentendosi pertanto pronte anche ad affrontare le decorazione dell’aia: Dovevano solo vincere le proprie titubanze, farsi avanti e proporsi ai signori Verderio, i proprietari.
Hanno superato ogni indugio quando si sono accorte, osservando dall’esterno, che coloro che stavano facendo le prove per poter ricevere l’incarico non sarebbero stati in grado, a loro giudizio, di affrontarlo con competenza. La stessa opinione a cui erano giunti i proprietari. Questi, visti i curriculum e valutate le proposte di Beatrice e Gigliola, hanno deciso di affidarsi a loro.



L'antica aia a destra e l'edificio nuovo a sinistra

I lavori di decorazione sono durati 8 mesi, fra il 2005 e il 2006, e sono stati portati a termine un paio di settimane prima dell’inaugurazione (giugno 2006).
Hanno riguardato sia gli interni che gli esterni, sia l’edificio vecchio che quello nuovo. Per gli interni, non dovendo recuperare alcun disegno primitivo, la libertà d’intervento è stata molto ampia e le decoratrici hanno potuto accontentare le esigenze e i gusti della committenza.



Due bozzetti per la decorazione interna.

Una parte di decorazione finita.

Meno libertà per le decorazioni esterne. Per la nuova costruzione hanno dovuto scegliere disegni e colori tali da farle assumere un aspetto più defilato rispetto all’edificio antico. Per quest’ultimo hanno invece ricercato ed ottenuto, la massima fedeltà possibile ai disegni e ai colori originali.

La soluzione decorativa adottata per l'edificio nuovo
Un rammarico, condiviso con il proprietario, è quello di non aver potuto conservare l’antico strato di rivestimento e utilizzare la tecnica a graffito  della decorazione originaria. Quando Beatrice e Gigliola hanno assunto l’incarico, i muri esterni erano già stati ricoperti con uno strato d’intonaco su cui loro hanno poi dovuto lavorare. Chi le aveva  precedute non era andato sufficientemente a fondo con la scrostatura, non accorgendosi che lo strato più profondo d’intonaco, risalente alla costruzione dell’edificio, era stato realizzato con una tecnica particolare: il Tadelakt.
Il Tadelakt è un rivestimento murale a base di calce, sabbia e saponaria, tipico del Marocco, dove viene tradizionalmente utilizzato negli hamman e nei giardini dei palazzi.
Raggiungendo con la scrostatura questo strato di rivestimento, Beatrice e Gigliola hanno trovato le tracce che poi hanno permesso di riprodurre i disegni e i colori originali. Non è invece stata ripresa la tecnica del graffito.


Gigliola impegnata a dipingere le due preime stelle della facciata. Sotto la finestra un frammento della decorazione originale.
Una particolarità della costruzione ha reso difficile la riproduzione esatta del disegno geometrico del lato sud e dei lati est e ovest. L'altezza della facciata esposta a nord  è infatti di 14 cm inferiore a quella a sud. È stato pertanto necessario “correggere” il disegno recuperando circa 1 cm per ogni stella riprodotta sulle pareti laterali, in modo da impedire all'occhio dell'osservatore di accorgersi dell'incongruenza geometrica.



I disegni sui muri sono stati riportati con la tecnica dello spolvero, che consiste nel preparare i disegni, a dimensione reale, su fogli di carta, bucare fittamente i contorni per mezzo di una punta, appoggiare i fogli sulla parete e tamponare con la polvere di carboncino in modo da lasciare una traccia di puntini neri in corrispondenza del disegno.


Un bozzetto di putto sopra una porta
 
La parete preparata a ricevere lo "spolvero" del  putto
Il dipinto finito
Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri sono  nate (rispettivamente nel 1967 e nel 1969) a Verderio (inferiore), dove hanno vissuto per molti anni.
Hanno frequentato l'Accademia di Belle Arti di Brera, dove Beatrice ha studiato scenografia e Gigliola decorazione.
È Gigliola che inizia per prima a lavorare come decoratrice, facendo esperienza di bottega con diversi artigiani Milanesi. All'inizio non si tratta di un lavoro a tempo pieno, in quanto per alcune ore  lavora anche nello studio di architettura d'ambiente di Annamaria Scaravella.
Beatrice si avvicina più tardi alla professione. Dopo il diploma lavora presso uno studio di architettura dove svolge il compito di “tiralinee” (espressione sua). Insegna però anche educazione artistica a Lissone, in corsi per ragazzi borderline .
Alla decorazione si accosta per gradi, prima collaborando saltuariamente con Gigliola, poi iscrivendosi singolarmente come artigiana. Nel 1996 diventano socie di un'unica società artigiana.
I loro committenti sono  soprattutto privati ma, sporadicamente, ricevono commissioni anche da parrocchie o enti pubblici.
I loro lavori più impegnativi sono stati quelli presso il bar ristorante “Le sale del Doge”, a Bergamo , e l'Aia di Verderio.





ALTRI LAVORI REALIZZATI A VERDERIO E NELLE VICINANZE


La decorazione dell'Aia è stato l'ultimo lavoro che Beatrice e Gigliola hanno realizzato a Verderio.
 

Il primo lo hanno fatto invece presso la ex-casa di Gigliola, in via Tre Re. 

La casa di via Tre Re prima delle decorazioni
Una porzione di edificio ad angolo, sul quale hanno decorato lo spigolo a finto bugnato; contornato le finestre con cornici neoclassiche, dipinto un marcapiano e una cornice di sottotetto.

La casa di via Tre Re dopo l'intervento decorativo.

Per convincere la commissione edilizia a concedere il permesso, dopo una prima bocciatura hanno presentato in comune la documentazione fotografica della presenza di tracce di decorazioni su diverse pareti di edifici di via Tre Re.


Il risultato ottenuto in questa prima opera, ha fatto da volano alla successiva. Dal comune di Verderio Inferiore hanno ricevuto l'incarico di rifare la facciata sud della “curt növa”, in Piazza Annoni.

La facciata sud della "curt nova"

Nella parte bassa della parete, fino alla base della nicchia della Madonna, hanno realizzato un finto bugnato. Hanno ripristinato la cornice intorno alla nicchia stessa e dipinto nuove cornici intorno alle finestre dei piani superiori.



La facciata sud di "curt nova"
A finto bugnato hanno decorato gli spigoli laterali mentre un cornicione dipinto contorna le falde del tetto. Queste sono quattro essendo la facciata divisa in due parti,  quella a sinistra più bassa e di ampiezza pari a circa un terzo dell'altra. Ciascuna ricoperta con un tetto a due falde.
Sotto al colmo del tetto più ampio è dipinto lo stemma comunale di Verderio Inferiore.

Hanno inoltre ricostruito una meridiana di cui rimanevano solo poche tracce.





Al cimitero di Verderio Inferiore Beatrice e Gigliola hanno restaurato la cappella della famiglia Annoni.



La cappella Annoni prima delle decorazioni
Hanno dipinto una Madonna, nello spazio già in passato occupato dall’immagine di Maria, e  disegnato lo stemma della famiglia.




Un ultimo intervento a Verderio, piccolo ma significativo, è l'insegna in ferro del negozio di tappezzeria in via sant'Ambrogio.






Ad Aicurzio, per rimanere nelle vicinanze, si possono visitare altre due loro opere. La prima, sul piazzale della chiesa, commissionata loro dalla parrocchia, ha riguardato la cappella della Madonna Addolorata. Nelle due fotografie che seguono, la cappella prima e  dopo il loro intervento.








Sempre ad Aicurzio, su incarico della Proloco, hanno dipinto una Madonna con Bambino.





 A Porto d'Adda, un altro loro “piccolo” lavoro: l'insegna della trattoria Tip Tap.



UN NUOVO LAVORO, ANCORA AL SERVIZIO DELLA "BELLEZZA"

Per 10 - 11 anni Beatrice e Gigliola hanno lavorato  a tempo pieno come decoratrici. Non potendo descrivere tutti i loro lavori, vi propongo, nell'articolo successivo una galleria fotografica di loro opere.
Dal 2007, pur non abbandonando del tutto la decorazione, dedicano la maggior parte del loro tempo ad una nuova attività, sempre legata, mi dice Beatrice, alla bellezza e all'armonia: hanno aperto un negozio di fiori.
Per imparare il mestiere hanno frequentato dei corsi presso la ASSOFIORISTI di Milano, e frequentato il vivaio di un amico.
Il  negozio, da loro stesse arredato, si chiama “Fiori e Colori” e si trova a Bernareggio in via Prinetti 56 (telefono 039.6902679).



Marco Bartesaghi 


ATTENZIONE!! Per l'eccessiva lunghezza degli articoli di questo aggiornamento, la galleria fotografica dei lavori di Beatrice e Gigliola non ha trovato posto in "prima pagina". Per "visitarla" cliccare su "Post più vecchi".