sabato 31 agosto 2013

venerdì 30 agosto 2013

1 -2 SETTEMBRE 1880. UN'ESCURSIONE AL "PIZZO DEI TRE SIGNORI" di Antonio Gnecchi Ruscone (seconda parte)

TESTO: seconda parte della cronaca della salita al Pizzo dei Tre Signori, scritta da Antonio Gnecchi Ruscone nel 1880. La prima parte è stta pubblicata su questo blog il 14 agosto scorso.

IMMAGINI: le immagini di montagna in bianco e nero, indipendenti dal testo,  che corredano questa seconda parte del racconto sono di mio cognato Giorgio Buizza, lecchese, che ringrazio.
 Di lui ( sotto l'etichetta Giorgio Buizza) potete leggere su questo blog i seguenti articoli:

CONSIDERAZIONI SULLA POTATURA DEGLI ALBERI

PLATANI IN UNGHERIA E CROAZIA

IL PLATANO DI VERDERIO



UN'ESCURSIONE AL "PIZZO DEI TRE SIGNORI" di Antonio Gnecchi Ruscone (seconda parte)

Dopo 5 minuti io capii che una mia povera gamba compressa da 4 o 5 altre non poteva più resistere ad un certo senso di dolore, quindi piano, piano, piano me la disvincolai dal più che [....] peso di altre sue simili  e l'appoggiai ad una parete di quel canile per non essere d'impiccio agli altri. Non l'avessi mai fatto ! Un improvviso rumore come di qualcosa che cade fece balzare in piedi tutti quanti, ad eccezione di me che ne conoscevo la causa, e spaventati si misero ad urlare: È l'orso! E c'era ben ragione di temere avendo alcune ore prima udito dal pastore che l'orso si aggirava appunto in quei monti e che pochi giorni prima aveva avuto una visitina della poco cara bestiaccia. Si accese il lume con tutta la celerità possibile, e lo spavento cessò ben presto quando si capì che il rumore era proveniente da una grossa pietra ch'io involontariamente aveva staccato dalla parete con la gamba. Si rise dell'errore, almeno da parte mia, però gli altri tre vollero si tenesse acceso il lume ad ogni buon conto. Dopo una mezz'oretta di commento si ritentò di dormire. Tutto congiurava contro di noi. Una capra che proprio in quella notte non aveva voglia di dormire continuava ad aggirarsi intorno alla capanna a raschiare qua e là con le zampe ed a disturbarci col mesto din din della sua campanella.
 

 
Aig du Dru e Aig Verte dalla P.ta Helbronner (22/9/1972)

Dico poi tra parentesi che all'[....] fantasia dei miei tre soci la capra, o per meglio dire il rumore da essa prodotto doveva per lo meno provenire da un orso.
Ma non basta. Un topolino, forse socio del Club Alpino s'era spinto fin su là, e fissata la sua dimora in compagnia del pastore, impertinentemente e tenacemente continuava a rosicchiar carte per poter penetrare in un certo involto contenente un buon pezzo di strachino di Gorgonzola che trovammo poi alquanto decimato. Non avete mai provato quanto sia carino un topo in camera di un povero diavolo che vorrebbe dormire? No. Ebbene non ve l'auguro
Ma qui non terminano le nostre pene. Una quantità di insettini amanti, anzi troppo amanti della compagnia degli uomini, avendo in noi trovato dei robusti giovanotti e di carne saporita, si misero a cenare avidamente. Ciò per vero dire c'accomodava assai poco, accesi tutti i lumi che potei trovare a mia disposizione e tutti d'acordo cercammo e frugammo per poter scoprire  ....
Ahimè scoprimmo troppo!  - Il gentile pastorello credendo fare cosa grata agli ospiti aveva preparato un molle cuscino su cui noi fidenti avevamo deposto le nostre teste . Quel cuscino era composto di un mucchio di biancheria di un tempo che fu e che .... Basta, non voglio più oltre offendere le delicate orecchie delle mie gentili lettrici.
 

M. Bianco e M. Mandit dalla funivia (22/9/1972)


Quella notte fu feconda di molte altre piccole avventure ed infecondissima di sonno ma ormai ne ò dette abbastanza e tiro avanti.
Appena appena si ebbero gli indizii di una vicina alba, appena [....] cantò il gallo (che però non c'era) chiamammo il nostro Magni ed accese le lampade ci avviammo per raggiungere finalmente la sospirata cima.
Il cielo era serenissimo e limpido, la luna splendeva ancora in quella volta d'un azzurro molto più cupo di quello che siam soliti vedere noi altri poveri mortali delle marcite Lombarde. Il freddo era freddo ma aveva in sé qualcosa di piacevole. Non avete mai provato la voluttà del freddo ? No. Non so che dirvi!
Quando appena incominciava il primo albore ci trovammo in vista della cima che maestosa sorgeva ad un centinaio di [passi (?)] sopra la nostra testa.
L'ultimo tratto per arrivare alla cima è molto erto, [....] e letteralmente composto di rocce affatto prive del benché minimo muschio; solo qua e là appare qualche ghiacciaia o qualche ammasso di neve in alcune depressioni della roccia. Quest'ultimo passo come ho già detto è il più difficile e faticoso di tutto il rimanente, ma il gran desiderio di raggiungere la cima ci pose le ali ai piedi.
Quando il sole mandava i suoi primi raggi indorando le più alte vette, noi raggiungevamo la cima. D'intorno non vedevamo che cime di monti e cielo, tutto era silenzioso, non udivasi che il fischiare della brezza mattutina fra le rocce, ed il gracchiare di qualche ardita cornacchia che si era spinta fin lassù. Davanti aprivasi una vita affatto nuova, tanto e sì grande era la folla di pensieri che colassù passava per la testa che se l'uomo potesse nutrirsi di soli pensieri, vi sarei stato un anno senza annoiarmi un minuto. Ad un tratto fummo tutti quanti avvolti in una nube leggera e trasparente che illuminata dai primi raggi rossissimi del sole sembrava di fuoco. Che piacere, che poesia trovarsi in mezzo a quella nube ed in cima ad un'alta montagna, è impossibile descriverlo! L'uomo così in alto si sente più potente, più orgoglioso; e dire che uno stupido (mi si perdoni l'epiteto forse un po' troppo slanciato) osò dire che gli alpinisti sono poveri infelici poiché non trovano nelle loro ardite escursioni  altra soddisfazione che stancarsi maledettamente e morire dal freddo. "Non ragioniam di lor, ma guarda e passa" (1).
Eravamo pure forniti di un cannocchiale e per lungo tempo stettimo lassù ammirando tutte le catene di montagne che ci si stendevano davanti, e buona parte delle quali erano di nostra conoscenza. Vidi anche il mio maestoso [....] (2), di buona memoria, spiccarsi al cielo maestosamente con la sua cima acuta e bianchissima la in fondo alla Valtellina , e gli mandai un amichevole [....]. Dalla cima del Pizzo si à  poi un'idea completa e precisa di tutta la catena delle Prealpi, di cui, dopo il Legnone è la montagna più alta infatti questa misura 2617 metri ed il Pizzo 2398.
Del resto qui faccio punto e non parlo più né di bella vista né di monti, sarebbe impresa troppo lunga, ed impossibile parlarne degnamente. Chi desiderasse avere un'idea esatta di quello stupendo panorama non à che andare in cima al Pizzo, io mi disimpegno dal descriverlo ed anzi passo ad una cosa molto prosaica. Figuratevi che anche in cima al Pizzo con tante bellezze di natura all'intorno ed in mezzo a una deliziosa auretta mattutina ci venne fame e fummo costretti a dar mano alle nostre provvigioni ed a divorarle con un appetito da veri alpinisti, là dove molte carte indicavano che altre persone al pari di noi poco poeti avevano mangiato.
Però prima di abbandonare quel delizioso luogo lasciammo una memoria della nostra ascensione , con una carta da visita che ponemmo in una bottiglia ben turata e che trovammo lassù con entro i nomi di tanti altri individui, alcuni dei quali di nostra conoscenza. Noi però prima di deporre il nostro nome in quella bottiglia  scrivemmo ciascuno un detto, un pensiero qualunque caratteristico dell'individuo. L'ameno e positivo Brini scrisse, "L'alpinista filosofo guarda nelle acque del Pizzo il bel cielo, se non vuole cadervi dentro".
 

 
Dente del Gigante dalla funivia (22/9/1972)


Ed io .... No, non ve lo voglio dire, lo leggerete voi se sarete curiosi e se le gambe vi sapranno portare su quella cima.
Ma purtroppo l'ora si faceva tarda e dovevamo quantunque a malincuore discendere .
In 4 salti fummo vicini alla spelonca del pastore, su di un bel altipiano ed al di sotto scorgevasi un precipizio in fondo del quale stava il bel lago d'Inferno, laghetto molto simile a quello del Sasso. Colà ci venne ad incontrare il pastore col suo stupido sorrisetto e recando in mano un bellissimo mazzolino di edelweiss di una grossezza immensa, di proprietà e monopolio unico di detto pastore poiché a lui solo era nota quella [....] dove i bei fiori crescevano. Dopo aver fatto una seconda e più abbondante colazione ed aver dato al pastorello un paio di lire , che accettò con una compiacenza ed un sorrisetto come fossero stati due milioni si espose alla guida il nostro progetto: eccolo. Vorremmo discendere da una parte nuova e per esempio da Bellano dove si prenderebbe il battello delle 4 1/2 per andare a Lecco. Che ne dice? È possibile questa discesa?
A far la via a passo di corsa sì altrimenti no, si giunge a Bellano a notte, camminando comodamente si impiegano 12 ore, quindi signori miei la cosa è impossibile; giorni fa condussi una compagnia di 4 persone sul Pizzo , e v'era pure una donna (3) discesero a Bellano ma in due giorni, si fermarono una notte a Premana; così potrebbero fare anche loro.

A queste confortevoli parole, misi automaticamente le mani in tasca, estrassi l'orologio: erano le 7 e dissi: e noi si tenta, mettiamoci in cammino ...e .... e .... e .... Le gambe son forti forse giungeremo in tempo, se una donna andò fino a Premana, noi andremo fino a Bellano! Se vi riusciremo potremo dire di aver fatto in un giorno quello che gli altri fanno in 2, avremo fatto insomma qualcosa di nuovo.
Queste parole animarono la compagnia e alzati in piedi ci incamminammo nell'ardua impresa, quantunque potei scorgere con la coda dell'occhio il nostro Magni crollare la testa. Si passò la valle d'Inferno dove si incontrarono due bellissimi laghi, quello cioè delle trote e quello delle rane, che però, a nostro malincuore, non potemmo rimirare ed esaminare come meritavano per la scarsezza di tempo.
Si passarono altre moltissime valli e vallette di cui non mi ricordo neppure il nome fra mezzo alle quali abilmente ci dirigeva la nostra guida non forviando di un sol metro dalla retta via.

La bellezza e la poesia dei d'intorni (sic) non ci faceva neppure pensare che ci fosse la possibilità di stancarci, e sempre progredivamo a passo da bersaglieri su e giù per quei monti guardando qua e là per rilevare i punti più belli che però non posso descrivervi per la mancanza di tempo. Vi dirò solo che se conoscete la Valsassina quei luoghi le assomigliano di molto.




 
Monti della Brenva (1° piano). Cresta di Penterey (2° piano). Da funivia per rif. Torino (22/9/1972)


Infilammo poi un lunghissimo sentiero di una rimarchevole pendenza e tutto a ciotoli acuti, e lungo parecchi chilometri. Questo modo di camminare non è proprio troppo comodo specialmente quando si ànno  delle scarpe un pochino corte. Io però ero ben fornito, come pure tutti gli altri ad eccezione di Brini, il quale di tanto in tanto si impazientiva con le scarpe, procedendo però sempre senza lamentarsi e, quel che è più, senza fermarsi.
Era una bella giornata e di mano in mano che si discendeva il caldo si faceva sentire in modo molto noioso e tanto più per noi che venivamo nientemeno che dalle nevi. Pure nessuno osava fare osservazioni e come se nulla fosse si progrediva senza mai rallentare il passo che avevamo preso in principio . quando si fu a metà della valle che conduce al ponte di Premana, un bel boschetto di grossi castani con un bel prato spirante frescura ci colpì tutti quanti, ed unanimi ci fermammo per mangiare ufficialmente e per riposare segretamente . Quando poi furono totalmente finiti gli ultimi avanzi delle nostre provvigioni e interamente vuotato l'ultimo fiasco di vino, la guida che come noi non era animata da un certo qual amor proprio soggiunse: Non pensate abbia poca fiducia nel loro valore alpinistico, ma per amor del vero bisogna che dica che se fanno conto di camminare come finora ànno  fatto fino a Bellano v'arriveranno mezzo morti e fors'anche non vi arriveranno che a sera. Queste parole erano prudenti ed assennate tanto più che uno di noi, che non nomino ma che non ero io, sembrava durar fatica a seguirci. Ci guardammo tutti in faccia  come volessimo dire: il Magni à ragione, è proprio da matti far l'alpinista in questo modo, fermiamoci a Premana a pernottare od anche a Bellano giungendovi con tutto il nostro comodo possibile, che domattina sul [....] partiamo in battello per  Lecco ....
 




Val Codera (18/8/1962)


Ma nossignori, nessuno osò esternare questo bel progetto, e si decise invece di continuare la nostra marcia forzata fin che ci fosse stato possibile, e che se verso le 3 - 3 1/2 ci fossimo trovati ancora a 3 o 4 ore da Bellano , allora ci saremmo dati per vinti. E così dicendo riprendemmo il camino , e giunti a Premana tirammo lungo il fiato, credendo di aver fatto gran che. Poveri illusi, non avevamo che di poco oltrepassato la metà strada. Ma qui m'accorgo che vi tiro troppo per le lunghe: se noi ci siamo stancati tanto, abbiamo anche goduto, ma voi che leggendomi non godete nulla, non potete permettermi che vi abbia ad annoiar tanto ed a seguirci palmo per palmo in una strada tanto lunga sotto un sole cocente, quindi come se nulla fosse, portandomi tutta io la fatica,vi porto di botto a Margno dove si giunse alla 1 3/4 e si entrò in un'osteria per una quarta o quinta colazione se non erro. Brini appena giunto si fece dare una camera per farsi un bagno e per utilizzare [....] tre o quattro unguenti diversi. Ticozzi ed io ci provammo a divorare una mezza dozzina d'uova. Il povero Formenti fattosi [.... .... .... ....] si sdraiò su di una panca; il troppo cognac e la troppa acqua da lui bevuta in istrada gli avevano fatto male. Questo piccolo incidente turbò sulle prime il nostro piano e ci credettimo dover passare colà la notte; ma il bravo Formenti, non volendo che per causa sua andasse a male la nostra ardita spedizione , che già era a buon punto, si fece forte e balzò in piedi. Proseguiamo - disse - non ò più nulla.
Io domandai a varie persone in quante ore si sarebbe discesi a Bellano, ma secondo il solito non ne potemmo capir nulla, poiché chi ci dice 4, chi 3, chi 2 ed una bella ragazza ci disse perfino 1 1/2. Animati da questa buona parola uscite dalle labbra di una ninfa montanina le nostre gambe ripresero lena ed infatti in meno di un'ora potemmo giungere alla vista del lago. Eravamo a buon punto. Ad un tratto tutti quanti impallidimmo - nientemeno che si vide un battello solcare pacificamente le onde tranquille del lago. Ahimè fatiche gettate al vento , inutili sudori, gambe e stomaci inutilmente sprecati ...!!
 

 
Il veunza e il Mangart Piccolo di Coritenza (28/7/1959)


Un momento - disse il provvido Ticozzi: levò il portafogli, un orario, e ci mostrò come dall'ora si poteva solamente ammettere che quel battello era diretto a Colico e non a Lecco. Ed infatti non erano che le 3 1/2 ed il battello per Lecco non partiva che alle 4 1/2. Questa elementare considerazione ci consolò molto, radoppiò le nostre forze presso a svanire e per non tirarvi troppo alle lunghe vi dirò che mentre suonavan le 4 noi entravamo nel Caffè di Bellano in riva al lago, molto freschi relativamente ai tanti chilometri che avevamo indosso. Molti vedendo questi 4 alpinisti reduci all'apparenza da qualche cima lontana ci domandarono la nostra provenienza e sentendo = dalla cima del Pizzo , ci guardavano in faccia con aria d'incredulità e non l'avrebbero creduto se la nostra guida abbastanza nota in quei paesi non avesse attestato la verità dei nostri detti e lodato l'abilità delle nostre gambe.
All'imbarcadero incontrammo il [lungo (?)] avv. Aureggi che ci doveva essere socio nella nostra spedizione, ma che invece aveva pensato meglio di tentare una spedizione sulla (sic) Bernina. Il poveretto però non fu fortunato come noi , ché colto da una forte tormenta, dovette moggio, moggio ritornarsene ad [.... ....].
Alle 4 1/2 il battello giunse a Bellano e nel tranquillo tragitto fino a Lecco la simpatica brezza vespertina e due ore di placido riposo ci ridonarono completamente le nostre forze ed il nostro vigore di prima, sì che si giunse a Lecco non come reduci da una gita alpina, ma da una gita di piacere sul lago. Fummo accolti da una folla di persone , che per tutta la strada ci tempestarono di domande, finché giunti a casa, dopo una sesta e ultima refezione, che chiameremo pranzo o cena come più vi piace, ciascuno se ne andò a dormire e ne aveva ben diritto . Io la mattina dopo alle 9 ero a Verderio, ed alle 9 1/2 giravo per la campagna col mio cane in traccia di quaglie. Brini, che doveva partire con me, non si vide, Morfeo l'aveva vinto. Taccio degli altri.
 

 
Sfinge e Pizzo Ligoncio (18/8/1962)


Ora vorrei dare un parere a chi dei miei lettori è alpinista: andate sul Pizzo dei 3 Signori, che ne vale veramente la pena; ma per carità non scendete a Bellano che è veramente una cosa da matti, o, se proprio avete il desiderio di fare questa strada che è molto bella, pernottate a Premana, che allora la vostra escursione sarà comoda e ricompensatissima.
Seconda avvertenza o consiglio paterno: evitate di dormire a Piazzotto a meno che non vogliate fare un po' di penitenza dei vostri peccati, ma se invece desiderate farla in altro modo dormite al Sasso, certamente nemmeno al Sasso troverete grandi cose ma almeno vi si potrà dormire. Alla mattina poi, mettendovi in moto di buon ora, potrete giungere alla cima prima che il sole sia spuntato, e discendendo dalla stessa parte potrete trovarvi comodamente a Lecco per la sera, facendovi trovare una carrozza ad Introbbio dove anzi potrete pranzare , tanto più che esistono buonissimi alberghi.
Ed ora finisco - e n'era ben ora - perdonatemi se abusai un po' troppo della vostra pazienza.


 

Ultime notizie: L'orso che tanto ci fece spavento non era un orso ma un'orsa. Venne uccisa nelle vicinanze di Premana da tre intrepidi cacciatori ...peccato che io non poteì essere il fortunato quarto!.



ANTONIO GNECCHI




NOTE
(1)"Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa."
Canto III dell'Inferno, al verso 51
(2) Parola poco comprensibile. Forse "Tresero", e quindi Pizzo Tresero
(3) Nota n. 1 dell'autore: "Chi vuole sapere chi fu la signora c'ebbe tanto coraggio, sappia che fu la signora Sala di Malgrate, maritata Stabilini".

"IL PARADISO DEI CANI" (INTROBBIO) una cartolina proposta da Maurizio Pirovano.

Maurizio Pirovano, un abitante di Verderio Inferiore, mi ha inviato questa cartolina del "Paradiso dei cani", la cascata della Troggia di Introbbio, di cui Antonio Gnecchi parla nella prima parte della sua cronaca dell'ascensione al Pizzo dei Tre Signori. Ringrazio Maurizio per il suo prezioso contributo. M.B.


mercoledì 14 agosto 2013

BUON FERRAGOSTO A TUTTI!!!

Fotografia scattata da Pianello del Lario

1-2 SETTEMBRE 1880. UN'ESCURSIONE AL PIZZO DEI TRE SIGNORI di Antonio Gnecchi Ruscone (prima parte)

Antonio Gnecchi Ruscone




IL TESTO - Come racconto delle vacanza vi presento, in due puntate, questa cronaca su un'escursione al Pizzo dei Tre Signori, avvenuta l'1 e 2 settembre 1880, scritta da Antonio Gnecchi Ruscone e destinata al "Giornale di Famiglia". Questa versione è tratta da una minuta del testo, conservata presso l'Archivio Storico di Verderio.
L'autore, figlio di Giuseppe Gnecchi Ruscone e di Giuseppina Turati, al momento dell'impresa aveva 23 anni, essendo nato l'11 febbraio 1957.
Il testo, che oggi vi propongo con poche notizie di contorno, merita invece un approfondimento, riguardante i partecipanti - compresa la guida, il signor Magni -, il percorso, i luoghi citati e tante altre piccole curiosità. Mi riprometto di svolgere questo lavoro in un prossimo futuro e di ripresentare l"ESCURSIONE" con un maggior corredo di informazioni.
 

Un passaggio del racconto, seppure secondario per i protagonisti, è per me significativo perché evoca una parte importante della vita della mia famiglia. Prima della partenza, i quattro alpinisti si trovarono a Lecco, al Caffè delle Colonne, il locale dove, qualche decina d'anni più tardi, lavorò mio papà, Angelo Bartesaghi, come barista. Nel 1956 l'edificio che ospitava il bar, situato fra via Roma e piazza Garibaldi, venne abbattuto per lasciar posto al grattacielo del Credito Italiano. Mio papà acquistò allora, grazie all'aiuto degli ormai anziani proprietari del "Colonne", Giuseppina Balderacchi e Alessandro Beltramini, il Caffè Commercio, in piazza xx Settembre, vi trasferì il mobilio del locale soppresso, che tuttora arreda il bar, e trasformò il nome in Caffè Colonne Commercio.






LE IMMAGINI - In mancanza di immagini specifiche dell'escursione, ho pensato di corredare questa prima parte del testo con una serie di fotografie tratte da un album appartenuto a Giulia Robiati, dono prezioso che ho ricevuto anni fa dalla figlia, la signora Fausta Finzi. L'album raccoglie serie di fotografie relative in gran parte ad escursioni in montagna organizzate nei primi anni del XX, probabilmente dal CAI di Milano.


In questo blog puoi trovare:

sulla famiglia Gnecchi Ruscone:
LA FAMIGLIA GNECCHI RUSCONE A VERDERIO di Marco Bartesaghi . Pubblicato giovedì 23 settembre 2010

Su "Il Giornale di Famiglia":
DA VERDERIO A CISANO -NOTE DI UN ANTIQUARIO di Francesco Gnecchi Ruscone, 1882 - prima parte. Pubblicato sabato 30 maggio 2009

Sull' Archivio Storico di Verderio:
Alcuni articoli rintracciabili sotto l'etichetta "Archivio Storico di Verderio".



UN'ESCURSIONE AL "PIZZO DEI TRE SIGNORI" di Antonio Gnecchi Ruscone (prima parte)

La spedizione al Pizzo dei Tre Signori fu progettata fin dall'anno passato e la si fece un anno dopo e cioè nei giorni 1 e 2 settembre 1880. Di Pizzi dei Tre Signori ve ne saranno almeno una dozzina in Italia, occorre quindi sappiate che quello da noi prescelto è posto al di sopra di Morbegno e fa confine tra la Valtellina, la Valsassina e il bergamasco.
Dovevamo essere in numerosa compagnia ma come di solito, chi senza ragione o meglio chi per un'altra rimase a casa a dormire dei placidi sonni (e forse fu per il meglio) e quattro soli furono i campioni, i prodi alpinisti che gettando da un lato la pigrizia e sfidando i calori che, ben a ragione, possono ancora chiamarsi estivi, si accinsero all'ascesa. Erano Ticozzi Giovanni, promotore della gita, Brini Pietro, Formenti Pietro ed io.
Il 31 agosto, vigilia della partenza, ci trovammo tutti provenienti da diversi punti del globo terracqueo, al Caffè delle Colonne in Lecco a combinare l'itinerario del nostro viaggio etc. etc., a procurarci una carrozza che ci conducesse fino ad Introbio, giudicando inutile far due ore e più di cammino su di uno stradone dove ci può camminare qualunque tanghero ed inoltre già fatto le mille volte.
 




Terminato il congresso alpinistico ognuno andò pel fatto suo, che credo fosse per tutti il letto.
Avevo dato ordine di svegliarmi la mattina alle 6 e 1/2 ed invece con mia sorpresa svegliandomi vedo che le lancette del mio orologio segnavano già le 7. Che diamine sarà successo pensai tra me e me, e non fu se non dopo aver ben aperto gli occhi e raccapezzato le idee che potei ammettere la possibilità di un cattivo tempo. Apersi infatti le finestre e vidi tutto il cielo coperto di nubi poco promettenti e anzi qualche gocciolina cominciava a cadere.
Ma io, che quando fisso una cosa la voglio ad ogni costo, mi vestii in fretta da alpinista e, mentre scendevo le scale per uscire, sento una carrozza. Era l'amico Brini il quale, coraggioso al pari di me e fisso nelle sue idee, non aveva badato al tempo. Andammo così ambedue forniti di buona volontà in casa Ticozzi e trovammo Giovanni col cugino suo Formenti coi visi rivolti in su e con una cert'aria di scoraggiamento. Appena ci videro ci vennero incontro dicendo:  Per oggi bisogna rinunciare, piove certamente.
Ma che  - rispondemmo noi - siamo in ballo e bisogna ballare - del resto è domattina che saremo in cima al Pizzo, dunque non c'è da temere domani deve far bello.
Dalle nostre parole eloquenti furono persuasi, si montò in carrozza e in meno di due ore eravamo ad Introbbio. Mentre ci si preparava la colazione andammo a vedere la famosa cascata del Paradiso dei Cani, lontana un quarto d'ora e non più dal paese. Aveva piovuto moltissimo nei giorni addietro,  quindi la cascata si presentava nella sua massima bellezza ed anzi era fin troppo bella tanto che già alla distanza di un centinaio di metri alcuni minutissimi spruzzi ci venivano in faccia.. Un previdente raggio di sole aveva in quel momento fatto capolino dalle nuvole per mostrarci nel suo massimo splendore quello stupendo spettacolo di natura. Tutti i colori dell'iride vedevansi in quell'immensa massa di vapore acqueo che ora avanzavasi, aumentandosi spaventevolmente mossa dal vento, ed ora restringevasi avvicinandosi alla bianchissima [....].
Era, sotto ogni rapporto, impossibile il portarsi a pochi metri dal punto dove la cascata batteva in terra formando un piccolo laghetto, essendo sì immensa e fitta la nube di spruzzi d'acqua che non solo non si poteva vedere, e ci si bagnava come gettando tutto il corpo sott'acqua, ma non si poteva nemmeno respirare. Ad onta di tutto questo Brini ed io non potendo resistere a quell'incantevole spettacolo fummo tanto arditi da avvicinarci alla cascata in modo da fare un vero bagno, un vero rigagnolo ci scorreva [....] canaletto formato dalla tesa del cappello blu Effetto stupendo il respirare quell'aria così pregna d'acqua, tutto l'ossigeno entrando nei polmoni  metteva in corpo un'energia una [...] dall'allegria indescrivibile. Ciò è eminentemente igienico ed è una cura praticata da chi soffre di petto, con abbastanza buon esito (avverto però che noi non ne avevamo di bisogno). Ma il male si fu che in quella nuova atmosfera non vi potemmo rimanere che pochi minuti altrimenti ne saremmo annegati. È proprio vero che non c'è rosa senza spine.
Allontanati di là dovettimo asciugare ai raggi del compiacente Febo, che proprio in quel momento si era fatto vedere.
 



E dire che a ben pochi è noto questo paradiso dei cani! Se una simile cascata fosse in Isvizzera certo vi si fabbricherebbe vicino un grande albergo od uno stabilimento idiopatico, tutti i giornali ne parlerebbero e si vedrebbero accorrere forestieri da tutte le parti del mondo. Noi italiani, abituati a vivere nel nostro pezzo di cielo caduto in terra, non vi badiamo nemmeno e neppure ce ne curiamo. Come il bambino parla spesso prima una lingua straniera che la patria, come spesso il Milanese conosce prima il S. Pietro che le guglie del Duomo o la Trasfigurazione di Raffaello prima della Cena di Leonardo, così l'italiano prima di conoscere la bella nostra natura la va a cercare in lontane e straniere regioni. Vergogna!!
Fatto ritorno ad Introbio si mandò per una guida mentre ci si fece preparare la munizione da bocca pei due giorni che dovevamo passare in montagna. Ci venne presentato per guida un simpatico uomo un certo Magni, il quale poveretto, ebbe mozzo un braccio da una mina o da un mortaretto, non ricordo bene, e trovandosi così incapace a molti lavori prese a fare codesto mestiere per guadagnare il pane pe' suoi 4 o 5 figlioli e per la moglie (casomai andaste al Pizzo, ve lo consiglio, perché oltre ad essere pratico, forte e buon camminatore è anche molto onesto. Figuratevi che non ci cercò che 5 lire per giorno).
 




Ci munimmo dunque di quanto era necessario per un pranzo ed una colazione, fecimo porre nel gerlo solo 4 litri di vino avendo con noi molti liquori e piano piano si cominciò la grande salita. Eravamo tutti allegri, di buon umore, ci si prometteva una bella gita; il tempo solo sembrava mettersi a pioggia ma a questo filosoficamente non si badò pensando che nel mese di settembre quattro gocce non fanno mica male. Dopo una mezz'ora di cammino ci trovammo precisamente al di sopra della cascata del Paradiso dei Cani. Guardando in basso nella vallata che scende spaventosamente a picco vedevasi quell'immane massa d'acqua bianchissima precipitare e battere sulla roccia. Era bellissimo l'effetto, meno tetro e sorprendente che visto dal basso in alto. Se mi permettete una strana similitudine quella cascata vista dall'alto è come il sole che nasce , dal basso come il sole che tramonta: gli effetti sono diversi ma bellissimi ambedue. Non potemmo a meno che rimanere colà, estatici davanti a quello spettacolo per un quarto d'ora, ed anzi vi facemmo sopra un progetto per una gita possibile anche per donne poco alpiniste. Eccolo: venire ad Introbio in carrozza. Per antipasto recarsi al basso per vedere la cascata; poi colazione a Introbio, dove si hanno due buoni alberghi, e dopo per frutta vista delle cascate dall'alto. Finalmente [...] ritorno a Lecco ancora in carrozza.


Mentre si agitavano tali progetti si continuò a camminare per un paio d'ore sempre ascendendo però in mezzo a posti tanto ameni e deliziosi che non era possibile stancarsi.
Intanto il cielo si annuvolò completamente e l'acqua cominciò a cadere con poca gentilezza. Eravamo lontani un'ora da Biandino, dove dovevamo secondo il primo nostro progetto passare la notte, quindi accelerammo il passo per bagnarci il meno possibile, ma fu ben inutile ché giungevamo in Biandino con uno splendido sole. È Biandino un gruppo di casupole o meglio di stalle posto in un ampio prato che gli si apre davanti come un grandissimo anfiteatro. Di essere umane (sic) ve ne sono pochissime, solo le necessarie per condurre al pascolo le molte e numerose mandrie di vacche che vedevamo appunto sparse qua e là per le adiacenti colline.
Ma che facevamo in codesto Biandino?
Non sono nemmeno le cinque, molte ore ci separano dalla cima del Pizzo e noi rimaniamo qui oziosi? [....]tra noi e si concluse di avanzarci quanto più si poteva e se fosse stato possibile giungere fino a Piazzotto a 1 ora e 1/2 sola dalla cima e dove, ci disse la guida, avremmo dormito bene poiché pochi giorni prima vi aveva pernottato una signora col marito e con altri due compagni.
In un'ora e anche meno fummo al così detto Sasso altro gruppo di casupole unicamente pei pastori e fabbricato di fianco e sotto un enorme masso staccatosi e rotolato dall'alto.
Il Sasso era un po' più popolato che non Biandino, le vacche erano tutte in giro e entrati in una baita trovammo 3 pastorelle poco seducenti e alquanto schifose alle quali domandammo del latte e polenta che cordialmente ci concessero e portarono al di fuori preparandoci una piccola tavola su di un bel sassone. La tavola era alquanto grossolana ma l'appetito suplì a tutto e seduti tutti e quattro intorno al masso demmo principio al nostro frugale pasto. [....] in men che non si dica, attirati forse dall'odore di polenta fumante, comparvero davanti a noi una buona quantità di animali selvatici dal buon padre [....].
Ora li nomino tutti statemi attenti:
due grossi cani da pastore, l'uno dei quali il giorno prima, morto di fame s'aveva divorato una pecora. Che razza di bocchino! Portava al collo un collare tutto a pungiglioni che faceva paura al solo vederlo, l'altro sembrava un po' più umano, però ai suoi dì la sua parte l'aveva fatta, s'era ingollato un giovane vitellino.
4 oche della vera razza di quelle che salvarono il Campidoglio; una dozzina di galline; una maialessa con numerosissima prole non molto infante; e un paio di cagnetti di grossezza normale.
Tutta codesta famigliola bisognava mantenerla a nostre spese, e se non si dava loro da mangiare la era una zampa sui ginocchi od un muso poco aggradevole che lambiva le mani; le galline poi, più audaci, volavano sulla tavola beccandosi senza tanti complimenti le nostre magre vivande. In causa di questa compagnia poco cara e difficile da scacciare accelerammo la nostra refezione, ed appena terminato proseguimmo coraggiosamente per Piazzotto, stimando che quando si fosse colà giunti saremmo stati ben contenti avendo un buon paio di ore in meno per giungere alla cima.
 




Che luoghi stupendi abbiamo passati! Come la natura da allegra, amena, ridente, ci cangiava in tetra e spaventosa! Il Lago del Sasso, dove giungemmo mentre appena appena incominciava ad imbrunire, è qualche cosa di veramente maestoso per la sua tristezza. S'apre questo laghetto nel fondo della valle ch'è ristretta e chiusa da roccia tutt'allo intorno . Grossi massi fra cui uno enorme, da cui il lago forse prese il nome, vedevansi sparsi qua e là in quell'acqua tranquilla immobile di quello stagno. Più nessun raggio di sole penetrava colaggiù e le rocce col loro cupo riflesso rendevano il lago quasi nero.
Un perfettissimo silenzio regnava tutt'all'intorno. Se le Fate ànno  dei laghi, quello ne è certo uno. Se fosse di notte e se splendesse la luna la vista di quel lago non s'avrebbe potuto sopportare , sarebbe stato qualcosa di troppo bello ; fortunatamente di là di notte non passa anima viva o se passa è qualche montanaro  o pastore, i quali ad onta della poesia che v'ànno  attaccato i poeti rimangono impassibili o quasi davanti a simili portenti della madre natura!
Appena oltrepassato il lago ci vedemmo sorgere maestoso davanti agli occhi una cima di nuda roccia che illuminata dagli ultimi raggi del sole morente sembrava tutta quanta di fuoco. Unanimi gridammo: ecco finalmente la [....] del sospirato Pizzo, domattina saremo lassù. La guida crollando il capo soggiunse: no, no signori miei è ben più alta la cima ed anche prima di vederla ce ne vuole del tempo. Quest'annuncio fu per noi da un lato una stilettata al cuore, o meglio alle gambe che avevano già fatto la loro parte, e dall'altro un piacere pensando che ci dovevamo spingere ancora più alti di quella cima che ci sembrava già altissima. Ad un tratto udimmo un colpo di fucile proveniente dall'alto. È il pastore di Piazzotto - soggiunse il Magni - il quale quando arrivano forestieri tira una fucilata per allegria: eccolo là in cima che sta ritto guardandoci - lo vedono? Per quanto guardassimo non ci fu mai dato di distinguere un uomo, ed anche quando la guida ce lo segnò col dito ci parve una pianta. È strana la facoltà visiva di questi montanari. Spesso distinguono camosci a lontananze tali, che noi a stento distinguiamo col cannocchiale.
Però noi prestammo fede alla guida e infatti dopo una mezz'ora di cammino si vede quella pianta muoversi - era proprio il pastore.
Era già buio e l'aria vespertina tirava frizzante, quando noi giunsimo al tanto sospirato Piazzotto. Il pastore raggiante di gioia alla vista di esseri abbastanza simili a lui ci venne ad incontrare e ci offerse subito l'intiero suo appartamento . Era questi un bel giovanotto sulla ventina, dalla barba incolta, dai lunghi capelli  e dall'unghie [....].
Povera Arcadia se l'avesse veduto come ne sarebbe stata delusa! - Viveva colassù da tre mesi solo in compagnia di 60 pecore ed una capra sua fida compagna a tre ore di lontananza dal primo luogo abitato che è appunto il Sasso, ed altri non vede che quei pochi alpinisti che andavano al Pizzo e quel tale che di tanto in tanto gli portava quel po' di farina e di sale per fare la polenta. Sembra impossibile come un uomo possa vivere in quelle condizioni eppure egli diceva di passarsela benone, tolto quando pioveva che allora, come ci diceva, costretto a starsene sempre nel suo appartamento, si annoiava un pochino. Povero diavolo! A quanti pericoli trovavasi esposto, se per caso gli fosse venuto male sarebbe morto mille volte prima di essere soccorso - ma a questo non vi badava nemmeno!
 

 

Ci condusse finalmente alla sua abitazione. Dio mio che sorta di topaia! Altro non era che una specie di grotta fabbricata di fianco ad un masso, tutta di sassi e ben [....] e fra loro cementati con (con vostra licenza) letame bovino. Dovevamo inchinarci per entrare e una volta entrati accendere un lume per vedere dove eravamo capitati. In 4 ci [....] appena appena stando in piedi, e vi dovevamo dormire! Il letto era uno solo ben inteso, e che letto! - Un po' di fieno posto sopra due assi, dove stando ben addossati l'uno all'altro vi si poteva sdraiarsi in 3. Faceva un freddo da non dire, figuratevi a 2000 metri! La parte, anche chiusa, aveva certi piccoli forellini da cui non solo vi poteva penetrare l'arietta frizzante, ma ben anco il grosso cane da pastore, il quale di tanto in tanto entrava liberamente a piacimento. C'era una specie di camino  ma accenderlo non si poteva a meno di rassegnarsi a morire asfissiati ciò che ci sarebbe punto accomodato. Il pensiero di dover passare tutta una notte in quel buco ci spaventò ma considerando che a quell'altezza di alberghi non se ne trovavano e che quella spelonca era l'unico luogo dove vi si potesse stare un po' riparati , nessuno si disperò, prendemmo la cosa da ragazzi di spirito e si incominciò a ridere.

Ci sedemmo qualcuno sul letto qualcuno sopra una specie di panca formata da un'assicella larga un decimetro e appoggiata alle due estremità sopra due sassi e ci preparammo in qualche modo pel pranzo che si pensò di farlo ben adagino perché avevamo propri bisogno di far passare il tempo. Di commestibili ne avevamo in abbondanza, quindi ci accingemmo con tutta lena e dopo pranzo si tentò perfino di fare un caffè, ché il previdente Formenti avea pensato a portarsi una boccetta di caffè condensato, ma ad onta di tutti i nostri studi si riuscì a far poco di buono. L'acqua per le ragioni dianzi dette non la potemmo di molto scaldare e molto pulviscoli di cenere e di altre materie eterogenee andarono a depositarsi in essa. Pure qualcosa servì anche il caffè, se non altro a  farci passare un'ora di tempo.
Il freddo sembrava aumentare di mano in mano ed i nostri pleiade non erano sufficienti per riscaldarci; allora ognuno levò i liquori che s'era portato.
 




Una vera bottega di liquorista - [....] Rhum, cognac, robur, caffè concentrato con essenza di zucchero, menta acquavite, acqua di tutto cedro e camomilla. Faccio notare che questi ultimi due liquidi erano stati portati dal nostro dottore in erba Piero Brini il quale aveva con sé una specie di farmacia ambulante composta di laudano, arnica glicerina, unguenti di due o tre qualità, bende per ferite etc. etc. ch'era un vero peccato non farsi male.
I liquori ci ristorarono un pochino e ci tennero svegli per qualche mezz'ora, ma ben tosto la stanchezza ci vinse ed avremmo pagato ben caro un'ora di sonno placido; quindi mediante sforzi erculei del nostro ingegno ci ponemmo tutt' e quattro in quel po' di fieno e tentammo di dormire. Si spense il lume ed un profondo silenzio regnò in quella povera capanna perduta sul monte, altro non udivasi che quattro sospiri di quattro infelici giovani.


Antonio Gnecchi Ruscone
- continua -