mercoledì 31 luglio 2013

IL PRIMO VOLANTINO DEL "COMITATO PER UN UNICO VERDERIO"


**CLICCA SULL'IMMAGINE PER INGRANDIRLA

A MONZA, MOSTRA PERSONALE DI CARLA COLOMBO


UN "ANGIOLETTO" ALLA CASCINA MANGINA di Marta Cattazzo


LOCALITA' : Verderio Inferiore
UBICAZIONE : Cascina Mangina, via IV Novembre 25
ICONOGRAFIA : Angioletto o Cherubino
COLLOCAZIONE : sopra una porta, da terra cm. 220
DIMENSIONI : cm. 38 x 40
PROPRIETA‟ : le famiglie della cascina









Immagine originale (2001)





DESCRIZIONE
Questo angioletto dall‟aspetto non completo, è alquanto originale come iconografia. Infatti
non appare, come di consueto, alle spalle di qualche figura di valenza più importante, bensì è
l‟unico protagonista della scena. Mi sono interessata nel verificare se un tempo magari facesse
parte di una pittura più estesa, in realtà fu dipinto solamente questo riquadro.
Originale quindi nella scelta, ma anche nell‟esecuzione effettuata con l‟antica tecnica dello
spolvero: da un supporto cartaceo riproducente il disegno, precedentemente tracciato lungo i
bordi con una serie di fori, si ricalca l‟immagine mediante una tampone sporco di fuliggine,
ovvero si picchiettano i buchi lungo i margini della figura. In questo modo la povere passa
attraverso i fori rimanendo sull‟intonaco fresco. Quindi si prosegue ripassando i bordi con il
colore per poi proseguire con la decorazione interna.
Il pittore avrà avuto a disposizione poche tonalità cromatiche, inoltre era anche alquanto
incerto circa i delineamenti della figura. Tuttavia il risultato dalle caratteristiche naïf sembra
aver perseguito un intento preciso.





LA CASCINA "MANGINA" di Giulio Oggioni


Per completare le informazioni contenute nel testo di Marta Cattazzo, ho chiesto a Giulio Oggioni di scrivere quello che sa sulla piccola Cascina Mangina di Verderio Inferiore. Lo ringrazio. M.B.


LA CASCINA "MANGINA" di Giulio Oggioni

La piccola cascina “Mangina”, aveva altri due nomi: san Giorgio e“delle rose”. Si trova a Verderio Inferiore, alla fine di via IV Novembre.
 

La cascina Mangina


Non si conosce il primo proprietario. Si sa solo che la costruzione fu terminata nel 1923 e, come risulta dal rogito di Andrea Pirovano, il 23 dicembre 1926 fu venduta da un notaio a cinque famiglie: Pirovano, Stucchi, Mapelli, Frigerio e Sirtori.
Ogni famiglia aveva la cucina a pianterreno e le altre camere, al primo e al secondo piano, raggiungibili con  una scala in muratura posta sul lato sinistro della cascina e affacciavano ad un balcone con ringhiera in ferro.
Sul retro dell’edificio c'era un cascinotto che apparteneva alla famiglia Stucchi. Sul muro della cucina della famiglia Sirtori era dipinto un bellissimo angioletto.



Un'immagine della famiglia Pirovano
 

GUGLIELMO MARIOTTI, MUSICISTA E LIUTAIO di Marco Bartesaghi

Sara e Guglielmo









Guglielmo Mariotti, nato a Roma ma abitante a Verderio Inferiore in “Cùrt di Scarsitt”, è musicista e liutaio.

Le due attività hanno avuto fino a poco tempo fa lo stesso peso. Ora prevale la seconda, che svolge in società con la moglie Sara Pirovano, poiché, per la prossima nascita del primo figlio, ha deciso di ridimensionare l’impegno musicale, che lo teneva lontano da casa gran parte della settimana, e quindi di lasciare la band con cui suonava in modo più continuativo.
Si è avvicinato alla musica nel 1989, a 15 anni, dopo le scuole medie, studiandola da solo, da autodidatta. Il suo strumento principale è il basso elettrico, ma suona anche le chitarre, a sei e dodici corde, e la tastiera, che, mi dice, suona “con i piedi”. Sto già chiedendomi perché, se per quest’ ultima non si sente portato, non l’ abbandoni, che lui si spiega meglio. Suona, con i piedi appunto, uno strumento, il “bass pedal”, che, riproducendo la pedaliera dell’organo da chiesa, gli permette, nelle canzoni in cui usa la chitarra, di suonare contemporaneamente anche il basso. Era uno strumento usato dai Genesis negli anni settanta, che lui ha adottato.
 

 
Guglielmo durante le prove di un concerto


“Sono il tipo di musicista – mi racconta - che sale sul palco con il basso e la chitarra in un unico strumento a due manici, con il “bass pedal”e con il microfono, perché sono anche cantante”.
Sono incompetente, ma non posso non pensare che, per il gruppo che ha lasciato, il suo abbandono sia stata una sciagura.
Erano i “The Watch”, la più accreditata cover band dei Genesis (“periodo Peter Gabriel, Phil Collins: rock progressivo,. …” precisa) che ci sia in Europa, secondi solo ai “Musical box”, canadesi.
 

 
Locandina di concerto dei "The Watch"



Gli esordi sono stati però con i piccoli gruppi musicali di Morlupo, il paese a trenta chilometri da Roma dove ha vissuto fino a 33 anni. 
“Intrippatosi” per il rock progressivo anni settanta, ha in seguito abbandonato la dimensione locale, per frequentare le band della capitale, avvicinandosi man mano al professionismo e riuscendo ad incidere 3 dischi, il primo nel 2002, con la band dei “Taproban”




 
Posidonian Fields (2006)



Ogni pensiero vola (2002)
 
Outside Nowhere (2004)














 
Tutti risultati conquistati non senza fatica, perché Guglielmo, per quasi quindici anni, fino al 2008, ha affiancato all’attività musicale quella di imbianchino.
Oltre ad aver fatto parte del gruppo “The Watch”, Guglielmo è stato coinvolto, e ancora collabora, con il “Classic ELP tribute” (tributo a Emerson, Lake & Palmer), con un tributo ai primi King Crimson e un altro ai Marillion.

Traguardo importante della sua carriera musicale è stato suonare, nell’autunno del 2012, in tre concerti dello storico gruppo italiano de “Le Orme”, in sostituzione del loro bassista, un amico a cui aveva costruito lo strumento.
 







L’attività di liutaio, indirizzata verso la costruzione di strumenti elettrici, inizia per gioco, quando insieme a un amico decidono di costruire una chitarra. Ne distruggono una da pochi soldi, per scoprire i segreti che nessun liutaio voleva loro rivelare, e forti della sua esperienza nella lavorazione del legno, acquisita facendo apprendistato in famiglia, dove la falegnameria è una tradizione che si tramanda, e forti anche delle capacità artistiche dell’amico, diplomato all’Istituto d’Arte, fanno i primi tentativi. È autodidatta anche in questo campo, salvo un breve periodo di collaborazione con un liutaio di Roma, dal quale ha imparato alcune regole per sveltire il lavoro e scegliere i legni più adatti.
Iniziata nel 1996, rimasta quasi un hobby fino al 2010, ora che la liuteria è diventata l’attività principale della famiglia, Guglielmo e Sara stanno cercando di dare una fisionomia più precisa all’azienda. In questa prima fase si dedicheranno più alla produzione di “bassi elettrici”che a quella di chitarre. In laboratorio stanno prendendo forma alcuni strumenti che serviranno da campionario, da proporre al pubblico soprattutto attraverso Internet. e facebook.
Ma il loro desiderio è continuare, il più possibile, con una tradizione collaudata in questi anni di esordio: stabilire un rapporto personale con il cliente, quando possibile disegnare e progettare lo strumento in sua presenza, invitarlo ancora un paio di volte a verificare l’avanzamento del lavoro. Sentendoli mi viene in mente il lavoro del sarto, con le prove e i ritocchi prima della consegna del vestito, e in questa immagine anche loro si ritrovano.
Questa procedura è più difficile da attuare quando il cliente vive lontano, ma non impossibile grazie all’uso di face book. “Per ora” – mi racconta – “la più grande soddisfazione è stata quella di consegnare uno strumento a doppio manico ad una ragazza belga, che me lo aveva ordinato dopo avermi sentito in un concerto in Belgio. Gliel’ho consegnato che era incinta al sesto mese e, quando lo ha provato appoggiandolo sulla pancia, ha detto “È esattamente quello che volevo”. L’avevamo progettato e discusso tutto su face book. Lei non è mai venuta in laboratorio: mi ha detto quello che voleva in linea di massima. Le mandavo i disegni e le fotografie man mano che il lavoro cresceva. – Ma finché non ha avuto modo di provarlo e di averlo fra le mani finito … “

 
"Bassi" in costruzione

Su suggerimento anche di alcuni negozianti con cui sono in contatto, hanno deciso di puntare per il momento su una produzione di qualità medio alta, che giustifichi la scelta economicamente più impegnativa di rivolgersi a un prodotto artigianale piuttosto che a uno industriale. La proposta di una linea più economica potrebbe eventualmente essere adottata in un secondo tempo.
Lo spazio dedicato alle riparazioni è importante, nell’economia della ditta, sia per creare una rete di clienti che, prima o poi, potrebbero essere interessati all’acquisto di uno strumento nuovo e di qualità, sia per aver accesso al mondo delle scuole di musica.

 




Guglielmo, con il suo lavoro, ha un rapporto “intimo”, è lui che lo dice. Nel suo piccolo laboratorio, una falegnameria in miniatura, ti fa entrare, ti fa vedere quello che sta facendo, risponde a tutte le tue domande ma, finché sei lì, non lavora. Si interrompe anche quando entra Sara: “Ho fatto per una vita un lavoro che non mi piaceva, anche se mi riusciva bene, l’imbianchino. Adesso che ne faccio uno che mi piace è come se fossi un po’ autistico: me ne devo stare da solo, con i miei pensieri, i miei discorsi, le mie musiche (quando non ci sono i macchinari accesi). È “il mio lavoro” …”
Ogni strumento che costruisce è un pezzo unico: non usa frese programmabili con il computer, che tagliano le forme ogni volta nello stesso identico modo. Usa dime di cartone e le sue chitarre che taglia a macchina ma poi rifinisce con la lima e con la carta vetrata (“Toccare il manico di una chitarra elettrica prima della prima mano di vernice è come toccare la pelle di una donna nuda”), non si sovrappongono mai perfettamente.
L’uso di vari tipi di legno e l’utilizzo di diverse elettroniche, per le quali è in contatto con un artigiano tedesco conosciuto tramite il bassista de “Le Orme”, gli permettono di avere strumenti in grado di soddisfare le molteplici esigenze dei musicisti.

“Mariotti guitars” sarà il marchio dei suoi futuri prodotti. Importante per un liutaio elettrico è quello di agganciare personaggi celebri in ambito musicale, che portino in giro e facciano conoscere il suo marchio: anni di frequentazione dell’ambiente dovrebbero essere un buon viatico per la nascente impresa

La nascita del figlio, prevista per settembre, e lo sviluppo della piccola azienda artigianale sono due impegni di certo non indifferenti, ma che non bastano per far dimenticare a Guglielmo la passione per la musica suonata.

In questo ambito ha già due obiettivi precisi.
Il primo è quello di pubblicare nel 2014 un primo disco da solista, con sue musiche composte in questi anni e praticamente inedite (recentemente, come solista appunto, ha fatto il suo debutto al “Bloom” di Mezzago).
 

L’altro obiettivo è comporre un ‘opera rock su san Francesco, da scrivere in collaborazione con un frate francescano, appassionato spettatore, a volte con il saio e altre volte no, dei concerti di rock progressivo, tanto da essere soprannominato “frate Prog”. Da questa insolita collaborazione fra un non credente, quale Guglielmo dice di essere, e un religioso, dovrebbe uscire un’opera presentabile sia nel mondo del rock - “dove siamo tutti dei senza Dio” - che negli ambienti del mondo cattolico.
Negli anni settanta un progetto simile era stato pensato, ma mai realizzato, dal Banco del Mutuo Soccorso. Non abbastanza efficace sembra invece a Guglielmo il risultato raggiunto su questo tema da Angelo Branduardi.

Ho un’ultima curiosità e chiedo: “come siete capitati a Verderio?”
“Cercavo casa e ho letto un’inserzione su internet. L’incontro con il padrone di casa, Giorgio Oggioni, è stato decisivo: ci siamo capiti subito. Poi ha contato molto anche la presenza di un caminetto e del soffitto con le travi di legno. Siamo stati adottati anche dal resto della corte: Rino, Daniela, Cesarina ci fanno setire in famiglia e, per me che vivo a seicento chilometri da quella vera, è stata una cosa importante.”



Marco Bartesaghi

mercoledì 24 luglio 2013

BARZANÒ: UNO SCIOPERO OPERAIO DEL 1927 di Anselmo Brambilla

Il 3 novembre 1927 le maestranze del cotonificio Figliodoni di Barzanò, 560 lavoratori, scendono in sciopero di protesta contro la diminuzione dei salari voluta dal Governo fascista. Dopo alcune ore, verso le 11,50, riprendono il lavoro senza nessun incidente. Il fatto tiene in agitazione per diverso tempo le autorità, a cominciare dal Prefetto, e provocano l'intervento massiccio dei carabinieri. I documenti che riguardano questo fatto, e che qui sinteticamente presento, sono conservati all'Archivio di Stato di Como (1).

Una delle prime cartoline illustrate con il panorama del paese (data approssimata 1919)
 

* Il 7 novembre 1927, un fonogramma del Commissario di Pubblica Sicurezza D'Amato al Capo della polizia recita: "i lavoratori riprendono il lavoro "incondizionatamente" fiduciosi nei provvedimenti delle Autorità".
 

* Due lavoratori, Giovanni Rigamonti e Rinaldo Riva, ritenuti i capi e gli organizzatori dello sciopero, vengono arrestati. IL 29 novembre, con lettera riservata al Prefetto di Como, il Ministero dell'Interno, chiede di indagare sull'attività politica precedentemente svolta dai due, e sull'esito del procedimento penale in atto contro di loro per la questione  dello sciopero.
 

* I due arrestati, rinchiusi nelle carceri di Lecco per il reato di istigazione allo sciopero, "godono" di particolari attenzioni da parte della Questura, che decide di ignorare la sentenza dell'autorità giudiziaria che concedeva loro la libertà provvisoria.
 

* Ciò avviene anche grazie al parere del Capitano dei carabinieri, secondo il quale se anche i due arrestati fossero stati trattenuti ulteriormente in prigione, i lavoratori non avrebbero fatto niente per chiedere la loro liberazione. Il Capitano aveva fatto notare però che un atto di indulgenza, come il rilascio dei due in giornata con diffida scritta, avrebbe prodotto una buona predisposizione nella popolazione e nei lavoratori.
 

* Oltre alle forze dell'ordine, ribadisce il commissario, anche i Sindacati e il fiduciario del Fascio si erano espressi favorevolmente alla concessione di indulgenza verso i due ribelli.
 

* I due arrestati, una volta rilasciati, riprendono regolarmente il lavoro, presentandosi puntualmente alle 8 del mattino davanti allo stabilimento, come certificato dal Capitano dei CC RR Alfredo Gatti al questore e al prefetto di Como.




 
Un angolo della piazza con in primo piano l'antico albergo Redaelli e il negozio del salumificio Beretta (1921)


* In un telegramma, il giorno 5, il questore Mara chiede al tenente dei carabinieri in missione a Barzanò di non lasciare in libertà i due arrestati, almeno fino alla fine dell'agitazione, e di informarlo se e quando gli operai fossero rientrati al lavoro.
 

* In base ad una lettera del 16 novembre 1927, un ufficiale di pubblica sicurezza trasmette al Questore di Como la comunicazioni da lui inviata al Commissario di pubblica sicurezza dove si evidenzia che i "due arrestati dovevano rimanere detenuti fino al nuovo ordine della Questura e non che sarebbero stati messi immancabilmente in libertà ad agitazione finita" aggiungeva arrogantemente che tale interpretazione non poteva essere dubbia, sia per le precedenti intese con il Tenente dei Reali Carabinieri, sia perché non era concepibile che l'Autorità dovesse subordinare le proprie determinazioni alla volontà degli operai".
 

* In data 16 dicembre 1927 il comando della stazione dei CC RR di Barzanò trasmette una memoria al comando della Legione dei CC RR di Milano, Divisione di Como, dove si evidenzia che, oltre ai due arrestati, per "l'astensione dal lavoro" (parlare di sciopero era proibito) erano state denunciate altre dieci persone:
Annoni Edoardo di Luigi
Baggioli Emilia di Felice
Colombo Giulia fu Enrico
Frigerio Orsola di Carlo
Perego Ida di Alessandro
Perego Angela di Alessandro
Pirovano Maria di Fortunato
Pirovano Maria di Santo
Proserpio Rosa di Luigi
Redaelli Emma fu Primo
Vigano Emilia di Francesco
Villa Maria di Carlo

Tutti i denunciati risultarono di buona condotta morale e soprattutto politica, ad eccezione di Maria Villa di Carlo e di Giuseppina Dell'Orto nata a Seregno l'8 agosto 1901 in quanto appartenente ad una famiglia nota per i sentimenti antinazionali (cioè antifascisti) dei suoi componenti, inoltre la suddetta era anche cognata del sobillatore Rigamonti Giovanni.
 

* Dopo l'arresto del cognato la Villa istiga le compagne a non riprendere il lavoro ma a continuare lo sciopero anche per far liberare gli arrestati. La direzione dello stabilimento dichiara che la Villa è un'ottima operaia e che non ha mai manifestato , al contrario della sua famiglia, idee antinazionali, e quindi chiedono ai carabinieri di non prendere misure contro di lei, tenendo conto anche del fatto che entro pochi mesi tornerà nella sua famiglia al paese di origine Seregno.
 

 
Cartolina illustrata del centro di Barzanò con la piazza del paese, che dopo il 1945 verrà dedicata alla memoria dei fratelli Besana (1925)


* La responsabilità dello sciopero viene quindi attribuita al solo Rigamonti, persona di idee sovversive e antinazionali ma con forte ascendente sulle maestranze. Indicato come persona capace di commettere ogni genere di crimine - nel 1919 condannato per furto, nel 1924 arrestato a Barzago per oltraggio e resistenza alla forza pubblica, ecc - viene definito persona politicamente molto pericolosa.
 

* Intervento della Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti, che cerca di convincere gli operai e la ditta a trovare un accordo in base alle leggi e dichiara che la ditta, anche con le riduzioni di salario stabilite, applicava tariffe troppo alte rispetto ad altre ditte similari e che, continuando in tal modo, avrebbe pregiudicato la possibilità di lavorare nei mesi da luglio a ottobre.
 

* I sindacati obiettano che la sola riduzione di salario applicabile dalla ditta è quella stabilita a livello di categoria per i cotonieri a livello nazionale, e pertanto non è consentito alla azienda fare accordi diversi con gli operai. Quindi, se le maestranze rifiutano l'accordo proposto, l'azienda deve limitarsi ad applicare quanto stabilito dagli accordi generali nazionale lettera del 15 novembre 1927 del Segretari Generale di Como Ugo Clavenzani.
 

* L'azienda dal primo giugno del corrente anno aveva eliminato, in base all'accordo nazionale stipulato fra gli industriali del settore e i sindacati fascisti, la quota fissa di carovita consistente in lire 1,50 per le donne e lire 2 per gli uomini.
 

* Il mese di luglio aveva, a motivo di indisponibilità, applicato con il consenso di una commissione operaia, una ulteriore riduzione variabile da articolo ad articolo del cottimo tra il 5 e il 25%, con la promessa da parte dell'azienda Figliodoni che questa ulteriore riduzione della paga sarebbe stata assorbita qualora vi fossero stati altre decurtazioni di salario a livello nazionale.
 

* Coll'accordo nazionale del 27 ottobre 1927 si concordò fra le parti, industriali e Sindacati un'ulteriore riduzione del supplemento carovita del 25% pari al 12,5% sulla paga globale. La ditta applica integralmente la riduzione, senza tener conto della quota già applicata e della promessa fatta alla commissione operaia, che aveva cercato di venire incontro alle difficoltà dell'azienda, con grave pregiudizio della situazione economica dei lavoratori che si vedevano decurtato il salario di una forte percentuale.
 

* Dopo aspro dibattito fra la federazione sindacale fascista di Como e l'Unione Industriali di Monza e della Brianza si ottenne l'eliminazione di parte dell'arbitraria riduzione di paga applicata dall'azienda stabilendo un'aliquota del 10% invece che del 25% stabilito a livello nazionale e applicato integralmente dall'azienda.
 

 
La casa del fascio, inaugurata nel 1932. Da notare la scritta sotto la foto, corretta in "Casa del Popolo, dopo il 1945


* Il sindacalista chiude la lettera al prefetto di Como sulla vertenza ribadendo che l'accordo aveva soddisfatto parte delle maestranze, anche se non era stato possibile ottenere tutto quanto i lavoratori, con grande spirito di collaborazione, avevano ceduto (2).

Testo dell'accordo siglato il 15 ottobre1927 

Oggi 13/11/1927 VI° - Nella sede dell'Unione industriale Fascista della Provincia di Como tra l'Unione Industriale Fascista di Monza e Brianza rappresentata per delega dal direttore dottor Mario Riboldi  assistito dal signor Commendatore Mario Figliodoni, per la spettabile ditta SPA: fratelli Figliodoni di Barzanò e l'Ufficio Provinciale  dei sindacati Fascisti di Como rappresentato dal signor ragioniere Ugo Clavenzani dal segretario del sindacato tessili signor ragioniere Luigi Severgnini ed il fiduciario della zona di Barzanò, assistiti da una commissione operaia in rappresentanza della maestranza della ditta stessa.
Presi in esame la questione in corso presso la ditta medesima, dopo lunghe discussioni e definizione completa della questione si conviene quanto appresso: Sulle tariffe in corso sulla tessitura ed orditura il caro viveri sarà applicato nella misura del 90% e ciò a decorrere dal 27 ottobre corrente anno.
Le organizzazioni si riservano di stendere regolare verbale di accordo debitamente motivato, da scambiarsi per le firme.
Firmato: Riboldi Mario,  Ugo Clavenzani,  Luigi Severgnini.


* I carabinieri di Lecco, per intervenire il più celermente a Barzanò, sono obbligati, ad affittare degli automezzi da una ditta privata, come risulta da una lettera del comandante della divisione di Como, a firma capitano Liberati Serafino, al prefetto per autorizzazione della spesa sostenuta dalla Tenenza di Lecco del 18 novembre1927.
 

* Anche il Ministero delle Corporazioni si interessa alla causa Figliodoni, inviando in data 14 novembre1927 una lettera al prefetto con la richiesta di informazione sulla vertenza in atto e sulla eventuale chiusura della stessa.
 

* Solita richiesta di autorizzazione al prefetto da parte del capitano Liberati Serafino per le spese sostenute per i viaggi e relativi pernottamenti a Barzanò del Capitano Alfredo Gatti nei giorni 5/6/7/ e 8 novembre in occasione del noto sciopero maestranze Figliodoni


NOTE
(1) Archivio Storico di Stato Como – ASCO – Fondo sottoprefettura – II° versamento – Cartella 191
(2) Archivio Storico di Stato Como – ASCO – Fondo sottoprefettura – II° versamento – Cartella 191

Anselmo Brambilla

* Immagini tratte dal "museo virtuale" del sito di Enrico Sprea:

martedì 23 luglio 2013

STREET ART ALLA GALLERIA DEL MELGONE: PRIMA SERIE di Marco Bartesaghi

La galleria del Melgone è l'antica galleria, ora abbandonata, della Strada Statale 583 che da Lecco conduce a Bellagio. la si raggiunge deviando a destra (direzione indicata: Moregallo) all'uscita della prima delle "nuove" gallerie. Questa prima serie di immagini comprende le opre che mi sono sembrate più significative e che sono state realizzate all'interno della galleria. Alcuni disegni sono firmati "Tenia", un autore gìa presente in questo blog: puoi trovare i suoi disegni sotto l'etichetta"graffiti, alle date 12/8/2011 e 11/2/2012.






















venerdì 12 luglio 2013

FAUSTA FINZI 1920/2013

foto Cavallari

























Il 25 giugno scorso è morta all’ospedale di Vimercate, dove era ricoverata da qualche giorno, la signora Fausta Finzi. Nata a Milano l’11 giugno 1920, era figlia di padre ebreo, Edgardo, e di madre cattolica, Giulia Robiati.
Il 22 aprile 1944, soldati tedeschi arrestarono lei e il padre presso la loro piccola azienda chimica. Prigionieri, prima a San Vittore e poi al campo di concentramento di Fossoli, partirono insieme, alla fine di luglio, per la Germania: il padre Edgardo finì ad Auschwitz, dove fu assassinato, prima di essere ammesso al campo, il 6 agosto 1944.
La signora Fausta rimase invece prigioniera nel campo di Ravensbrück per 265 giorni, fino al 27 aprile 1945. Da quel giorno dovranno passare ancora 4 mesi, trascorsi per lo più camminando con altre migliaia di prigionieri per le strade dell'Europa distrutta dalla guerra, prima di poter giungere a Milano, il 31 agosto, a riabracciare la mamma. 



FAUSTA FINZI RACCONTA: UN'INTERVISTA DI JURIJ RAZZA
 

Fausta Finzi, salvo che per uno stretto numero di conoscenti, ha mantenuto il silenzio su questa tragica parte della sua esistenza, per quasi tutto il resto della vita. Solo nel 2001, alla prima “Giornata della Memoria”, ne parlò in pubblico. Quella volta però non lo volle fare direttamente, ma attraverso un’intervista filmata, che fu realizzata da Jurij Razza, obiettore di coscienza in servizio civile presso il comune di Verderio Superiore. L’intervista fu proiettata nella palestra della scuola elementare intercomunale di Verderio, il 27 gennaio 2001.
La potete vedere ed ascoltare  cliccando su questo indirizzo:







IL RICORDO DI UN AMICO, FEDERICO BARIO

Negli anni successivi al 2001, la signora Fausta ha raccontato la vicenda sua e di suo papà in diverse occasioni pubbliche, invitata da comuni, scuole, radio e televisioni.
In collaborazione con due amici, Marilinda Rocca e Federico Bario, ha dato alle stampe anche due libri: “Varcare la soglia” e “A riveder le stelle”.




 























Il 27 Gennaio 2013, Giorno della Memoria, Fausta Finzi non aveva già più le forze per raccontare la sua storia. Federico Bario l’ha però ricordata sulle colonne de”La Gazzetta di Lecco” con questo articolo.


UN RICORDO DI FAUSTA FINZI di Federico Bario


Il 31 gennaio 2005 gli studenti dell'Istituto di Istruzione Superiore Giovanni Bertacchi, accompagnati dai referenti delle attività studentesche Elisabetta Rusconi e Giovanni Valsecchi, si recarono ad un doppio appuntamento presso il cine-teatro Nuovo di Lecco per celebrare  la Giornata della Memoria. Erano più di mille gli studenti che, per un giorno, fecero di nuovo grande il vecchio cinema.
Nel corso della mattinata era prevista l'orazione civile “Dio delle ceneri” da me ideata, e interpretata dalla mia voce troppo bassa; ma a sostenere ritmo e tenore con me c'erano Mirella Morelli, l'altra voce narrante e il canto, Giovanni Ripamonti alle tastiere, Luigi Crippa al contrabbasso e Marilinda Rocca che scelse le video-immagini a commento del testo. E poi l'incontro con Fausta Finzi. Fausta: milanese, ebrea, classe 1920, sopravvissuta alla prigionia nel campo di concentramento di Ravensbrück. Fausta, amica e autrice dei volumi di memorie “Varcare la soglia” ILSMLEC, Lecco 2003, e di “A riveder le stelle”, Gaspari, Udine 2006, con prefazione dello storico Frediano Sessi (entrambi i volumi sono curati da me e Marilinda Rocca).
I ragazzi erano stati ben preparati all'evento. La loro attenzione ci permise di dare il meglio nel recital. E fu in un silenzio pregno di rispetto e interesse che venne accolta la testimonianza di Fausta Finzi: il narrato semplice e chiaro, dotato di una pungente ironia che è la sua cifra del dialogare - anche nel riferire le vicende più atroci che hanno segnato la sua esistenza.
Venne il momento di rispondere alle domande che gli studenti avevano preparato, e di quelle nate li, indotte dal racconto di Fausta. Una domanda più bella dell'altra, pensai. Quesiti intelligenti, che non si fermavano neppure di fronte al fatto di chiedere, senza alcuna morbosità, degli aspetti più imbarazzanti che costituivano la parte più oscura della storia dei lager. O di quelli “tecnici” che regolavano la vita quotidiana dei deportati.
 

 
foto Cavallari




Fausta era tranquilla, a suo agio nel dare spiegazioni esaustive alle richieste dei ragazzi, permettendosi talvolta un commento ironico di alleggerimento, un sorriso, un istante di riflessione. La sua figura minuta, seduta su una seggiola di fronte all'assemblea degli studenti nella grande sala, irradiava una forza pacificante.
Ma il tempo dell'incontro volgeva al termine, e tante domande rischiavano di rimanere delle “pratiche inevase”. Ed ecco che Fausta, con quella generosità di cui è maestra quando si tratta di mettere un po' di luce in quel tetro universo che ha attraversato, chiese ai ragazzi di consegnarle le domande scritte su fogli e biglietti: lei avrebbe risposto per iscritto, e poi inviato le risposte all'Istituto Bertacchi perché venissero consegnate ai ragazzi.
Un fatto unico, eccezionale, che mi piace ricordare qui, ora.
Perché la Giornata della Memoria 2013 non sia relegata in quell'ambito di doverose ma ormai smorte celebrazioni.
Ora che la memoria “Si è accomodata nel salotto buono, sta tranquilla, e fa polvere...” come ha recentemente scritto lo storico Walter Bidussa “e rischia di diventare come l'enciclopedia: la consulti solo per sapere cos'è successo, e poi la metti via, come fosse un lemma o un tomo ingombrante. (…) Un esercizio mnemonico più che acquisizione della coscienza. Una memoria dal fiato corto.”
Io dico che sono i giovani oggi che possono prendere il testimone.
A loro l'onore e l'onere di tener vivo l'esercizio della memoria senza la quale l'essere umano è di fatto uno schiavo.

Federico Bario, scritto in occasione della Giornata della memoria 2013. 

Pubblicato da "LA GAZZETTA DI LECCO"


FAUSTA FINZI IN QUESTO BLOG


In alcune occasioni la signora Fausta ha collaborato con questo blog. Ecco l'elenco dei suoi contributi.

14 gennaio 2010:
 
- MI CHIAMO FAUSTA FINZI ....(etich. Giorno della Memoria)
- MIO PADRE, EDGARDO FINZI (etich. Giorno della Memoria)

21 aprile 2010:

LEOPOLDO GASPAROTTO IN UNA TESTIMONIANZA DI FAUSTA FINZI (etich. Regime Fascista e Liberazione)

27 gennaio 2011

- PERCHE' SCRIVERE DELLA PROPRIA VITA IN COSì TARDA ETA'
 
 


 





"DIEDE ALLA LUCE IL SUO FIGLIO PRIMOGENITO, LO AVVOLSE IN FASCE E LO DEPOSE IN UNA MANGIATOIA, PERCHE' NON C'ERA POSTO PER LORO NELL'ALBERGO" (Lc 2,7)



Verderio Superiore


Verderio Inferiore
Fotografie di Angelo Arlati

ANGELO ARLATI E IL POPOLO ROM: UN INCONTRO CHE DURA DA QUARANT'ANNI di Marco Bartesaghi



 


Angelo Arlati, classe 1948, è un pensionato, ex insegnante di materie letterarie alla scuola media; è nato a Bellusco, vive a Cornate d'Adda; è sposato e ha due figlie.
Quarant''anni fa, anno più anno meno, ha svolto la sua tesi di laurea su un argomento allora, e forse anche oggi, insolito: il romanés, la lingua dei rom o, se preferite, degli zingari.
Così ha avuto inizio, e da allora non si è più interrotto, il suo rapporto con questo popolo e la sua cultura.
 

 
Angelo Arlati, quarto da destra, tra i Lovara


Nel 2005 ha pubblicato un libretto sulla persecuzione nazista dei rom, intitolato "Porrajmós e samuradipen. L'olocausto del popolo zingaro"(1). Più recentemente su la "Rivista Anarchica" è apparso un suo ampio saggio intitolato "La lingua dei Rom"(2) Un altro articolo, "La più antica rappresentazione iconografica degli zingari", è stato invece pubblicato dalla rivista "Rom, Sinto" (3)
Parlare con lui di questo argomento è un'avventura: sai quando cominci ma riguardo alla fine ...
Per la  prima domanda, propedeutica, utile a chiarire l'uso di alcuni termini, abbiamo chiacchierato per più di mezz'ora: preparatevi, si parte.

 
Fotografia di Jurij Razza*


Marco (M) - Una premessa: zingari, nomadi, rom, sinti. Come usare questi termini? Tu ad esempio, se non vado errando, usi il la parola"zingaro" senza farti troppi problemi, ( mi riferisco all'articolo "La più antica rappresentazione iconografica degli zingari") mentre di solito si cerca di evitarlo in quanto sarebbe sgradito al popolo in questione.
Angelo (A) - È una domanda pertinente e di grande attualità. Io non mi faccio troppi problemi. Anzi, non è vero, anch'io me li faccio: non scrivo, a vanvera; non uso zingari, o rom così come mi capita.
Il criterio fondamentale è la chiarezza e il contesto del discorso.

M - Un esempio?
A - Ad esempio, nell'articolo a cui fai riferimento, visto che sono i "nostri" pittori che dipingono, non sono rom, essi offriranno un'immagine generica dello zingaro, non del rom o del sinto. Anche i titoli, originali o attribuiti, dei loro quadri - "La Zingarella" di Boccaccio Boccaccino; "La buona ventura della zingara" di Caravaggio e così via - non si possono cambiare. Se il nostro pittore lì guardava come zingari, io non posso inventarmi adesso che sono rom.

Quindi usare "zingari" fuori luogo è sbagliato; quando c'è la possibilità di usare la parola rom, ben venga. Ma perché sostituire necessariamente la parola "zingari"?

M - Forse perché è offensiva?
A - Certo, è ritenuta offensiva, specialmente dagli "zingari" stessi, ma non è assolutamente vero che sia offensiva. È un etnonimo, come le parole rom e sinto, cioè un nome che designa l'appartenenza a un popolo. Solo che rom e sinto sono nomi che la popolazione dà a se stessa; "zingaro" è un nome che viene applicato da altri. Se chiedi a uno zingaro: "tu chi sei?" lui risponde, giustamente: "io sono un rom" oppure: "io sono un sinto" e non: "sono uno zingaro": è corretto privilegiare nell'uso le prime due, ma non è necessario, ripeto, abbandonare del tutto l'altra, solo perché è un nome applicato da altri, un eteronimo. Apache, sioux, cheyenne, eccetera: sono nomi attribuiti alle tribù degli indiani d'America dagli inglesi o da altre tribù, sono eteronomi: nessuno grida allo scandalo quando vengono usati.

M - E quindi le tribù indiane avranno avuto, prima della "conquista", un loro nome?
A - Sì, un autonimo, un nome dato da sé stessi, che in genere corrisponde a "uomo", "vero uomo", "popolo": è un classico delle popolazioni di natura il definirsi "uomini". È così anche per quelli che "noi" chiamiamo eschimesi (cioè: mangiatori di carne cruda) che autonomamente si chiamano "inuit", che nella loro lingua vuol dire uomini. E lo stesso vale per la parola rom

M - Quindi la parola rom vuol dire uomo?
A - Rom è il nome di tutto il popolo, ma è anche il nome comune di ogni singolo uomo maschio. Anche "marito" è rom, mentre "moglie" è romni.
Ma rom è l'uomo zingaro. Tu ed io non siamo rom, siamo manush, un termine indiano che significa uomo. Loro distinguono l'uomo zingaro che è rom, dall' uomo comune che è manush. O anche gagio, un termine più spregiativo.

 
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M - Manush è una parola indiana, e rom?
A - È difficile risalire al significato della parola rom, ci sono diverse teorie che io accetto in parte, poi personalmente ognuno ha il diritto di dire anche la propria, no? Praticamente è sicuro che rom derivi dalla parola indiana dom: che significa "uomini"(4)
In medio oriente ci sono popolazioni che si chiamano dom che vuol dire uomo: i dom della Siria, i dom della palestina .Sono di origine e anche di lingua zingaresca, quindi imparentati con i rom.
La lingua dei nostri zingari europei che si sono diretti in Grecia e nei paesi balcanici ha visto l'iniziale D di molte parole trasformarsi in R.
Frank Miklosich, uno dei più grandi glottologi e orientalisti, vissuto nell'Ottocento, ha studiato questo cambiamento fonetico che ha riguardato decine di parole indiane, non solo la parola  Rom. Ad esempio il cucchiaio in indiano è doi e gli zingari dicono roi.

M - L'origine indiana di queste parole testimonia dell'origine indiana del popolo degli zingari?
A - Su questo sarei prudente, metterei un po' di puntini sulle i. Piuttosto che di "origine indiana", per essere più scientifici, sarebbe meglio parlare di "provenienza ultima indiana". Un esempio, per chiarire: i rom romeni che arrivano in Italia da sette, otto, dieci anni, non sono di origine romena, sono di provenienza romena; i rom greci sono cittadini della Grecia, ma non di origine greca, ...

M -Quindi non è sicuro neanche che l'India sia il luogo d'origine ...
A - Io ci tengo a sottolineare questo tema: gli studi sono andati sempre più indietro nel tempo e nello spazio e alcune realtà sono ormai assodate: i rom sono giunti nei Balcani provenendo dall'area greco turca, avendo percorso il medio oriente e la Persia, perché nel Romanés, la loro lingua, ci sono molti prestiti e molti fenomeni fonetici e linguistici persiani, oltre naturalmente a uno zoccolo, una base che è indiana. Nel romanés tutti i termini che riguardano la famiglia sono ancora termini indiani. Quindi è chiaro che hanno un fondo indiano. Poi sull'origine ...

M - Come si deve usare invece la parola Sinto?
A - Sinto è una differenziazione che si è sviluppata nel tempo. Ma prima sono tutti rom: anche il sinto prima di tutto è rom.

M - Ah, questo non lo sapevo. L'insieme è Rom; Sinto è un sottoinsieme?
A - Sì alcuni rom sono solo rom.

M - Ma in che cosa si differenziano?
A - Dall'area geografica di insediamento. I rom -rom o Rom propriamente detti sono quelli che abitano nei paesi balcanici, in Romania, Bulgaria, Turchia, in Russia e nell'Italia meridionale

M - E i Sinti?
A - I Sinti sono quelli dell' Italia centro settentrionale, della Francia, della Repubblica Ceca, della Slovacchia, della Germania e su, su fino alla Svezia.

M - È tutto?
A - No, in Spagna ci sono i calè, o meglio i rom - calè, ossia i 'rom neri',  e in Inghilterra i romanicel, ossia i 'f'igli Rom'.

M - In nord Africa ci sono rom?
A -  Dalla Francia e dalla Spagna molti zingari sono emigrati nel nord Africa.
Direttamente invece sono i Dom, di cui abbiamo già parlato prima. Sono mussulmani, provengono dal Medio Oriente, e sono lì anche loro da mille anni. Al tempo della conquista araba, avendo un territorio unico, potevano girare come volevano, non c'erano le frontiere e quindi i Dom sono presenti su un territorio che si estende dall'Afganistan fino al Pakistan e all'Egitto.

 
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M - Riassumendo ...
A - Riassumendo, dobbiamo dire che la cosa principale è che i termini vanno mantenuti tutti e usati nel contesto giusto. Essi ci aiutano a capire la storia di questo popolo, che nei secoli si è diversificata ed è diventata più complessa.
Ma ciò non toglie che sempre di un unico popolo si tratti. Se si vuole riorganizzare questo mondo, modernizzarlo, integrarlo, bisogna partire dal riconoscimento della sua globalità di popolo. Sono convinto che si danneggi la popolazione zingara continuando ad insistere sulle differenze. Bisogna unire. Bisogna far leva su forze centripete, non centrifughe. Io vado un po' controcorrente, ma perché mi sembra di avere le idee chiare.
La prima cosa che uno zingaro fa quando ne trova un altro è chiedergli da dove viene:
"Tu chi sei?"
"Un rom Romeno? E tu?"
" Anch'io, e sono un kalderash e sono stato anche in Russia, che è piena di kalderash"
"La tua famiglia allora lavorava il ferro"
" Io invece sono un sono lovari, i miei antenati allevavano i cavalli"
"Allora vieni dal'Ungheria"
Le famiglie dei questi nostri tre amici immaginari hanno una storia comune: tutte e tre sono state liberate dalla schiavitù in Romania. Una si è poi trasferita in Ungheria e l'altra in Russia. Lo so che conoscere queste cose è utilissimo, ma il rom è soprattutto un rom prima di essere qualcosa d'altro.

M - Perché la parola rom, anch'essa legata a un sottogruppo del popolo complessivo, è stata assunta come nome dell'intero popolo?
A - E' il nome che si sono dati dalla notte dei tempi. I rom sono la fetta più grossa, rappresentano i tre quarti della torta: due milioni e mezzo in Romania, un milione in Bulgaria; 700 mila in Ungheria ecc.
Io sono il primo a riconoscere che i Sinti hanno una grande importanza storica e culturale, ma numericamente se arrivano a 500 mila è tanto.

 
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M - Un modo sicuro per essere impopolari in Italia, e probabilmente non solo in Italia, è quello di occuparsi degli zingari, di apparire come loro amico. Ti sarai certo chiesto perché: che risposta ti sei dato?
A - Non c'è categoria, non c'è individuo che non nutra una idiosincrasia, un' ostilità innata verso di loro È una cosa atavica che tutti, anch'io, abbiamo sperimentato fin da giovani.
Questo sentimento, assurdamente, si trasferisce anche su coloro che gli sono vicini: occuparsi di rom è letale, l'ho provato sulla mia pelle.
Anche tra amici, finché se ne parla così nessun problema, ma quando si comincia a dire "ma tu ti occupi di zingari?" allora gli atteggiamenti cambiano. E in famiglia lo stesso: "ma cun toeut quel che se poeu fâ, cu i anzian, i malà, i drugà, propri cun chi le gheret de metess?". Drogati, i carcerati: ci sono tante categorie bisognose che hanno un immagine in sé peggiore degli zingari, eppure solo questi suscitano questa automatica repulsione, che, come dicevi, si riflette anche su coloro che se ne occupano.
Ma che senso ha prendersela anche con questi ultimi? Che ci sia almeno una separazione!

M - Tu, comunque, hai deciso di occupartene e, se si può dire, di essere loro amico. Quando è successo e perché?
A - Ho deciso di occuparmene una quarantina d'anni fa; sono diventato amico di tanti con cui sono entrato in contatto e sono ammiratore della loro cultura. Di qualcuno posso dire di non essere amico, perché non hanno seguito le regole dell'amicizia, che, ovviamente, non è cieca. Però di tutto il popolo sì, sono un ammiratore.

M - Come è successo?
A - Non è stata un'iniziativa a carattere sociale o di volontariato: è stato un motivo culturale. Facevo l'università, ero all'ultimo anno e avevo scelto la tesi in letteratura latina, in cui mi ero specializzato, quando un compagno di studi un po' particolare, perché aveva una ventina d'anni più di me ed era alla terza laurea (la prima in ingegneria, era un dirigente della Dalmine), mi ha fatto un ragionamento:
"Come può uno studioso come te di 21, 22 anni, fare una tesi su Plauto o Cicerone? Non può far altro che scopiazzare di qua e di là!"
Lui, siamo nel 1971, stava facendo una tesi sociologica intitolata: "La percezione che gli italiani hanno degli zingari", basata su un questionario a livello nazionale, con domande tipo "Da dove arrivano? Di che religione sono? Fanno riti tribali? Fanno magie? Ecc.."
M - E così ti ha proposto di fare una tesi sulla cultura degli zingari?
A -  Sì. Sapeva che nei miei studi mi ero dedicato anche al sanscrito  e quindi ...

M - Ti ha convinto ...
A -  Esatto. Non c'era niente in Italia a quel tempo sull'argomento. Mi sono detto: "Beh, male che vada passa, perché qualsiasi cazzata scrivo ... "  tanto è vero che il professor Bolognesi, emerito professore di glottologia che andava a convegni in Russia , in America, nel 72 quando mi sono laureato ha detto: "oh che bello, sa che mai avevo sentito ... è l'unico ... uno dei pochi"

M - Come andò a finire?
A - Quando l'ho sostenuta ho detto quattro cose (che adesso non sottoscriverei tutte), mi hanno detto bravo, bravo, bravo e mi hanno dato 109, perché avevo esami un po' bassi.

 
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M - Esattamente qual era l'argomento della tesi?
A - Era sui dialetti zingari: avevo visto un po' di testi che già c'erano, alcuni vocabolari e fatto due indagini personali. Una a Cuneo, presso i Sinti, e l'altra a Milano, presso gli Harvati (5). Chiedendo: "Come dici padre? madre?" Ho composto un piccolo vocabolario, una mini grammatica.

Il mio primo maestro di lingua zingara è stato Giuseppe Levackovitc detto Tzigari o Zigari, rom harvato, dell'Istria, venuto in Italia dopo la seconda guerra, a Milano, in uno dei primi campi che il comune aveva messo a disposizione. Me lo aveva presentato il mio compagno di studi. Andavo da lui all'osteria o nella sua roulotte e gli chiedevo come si dice questo e quest'altro. Poi confrontavo le sue risposte con quelle che ottenevo in Piemonte. Con questo lavoro piano, piano sono entrato nella loro mentalità, nella loro cultura.

M - Siete diventati amici?
A - Andavo nel loro carrozzone a mangiare, a bere, a bere il caffè eccetera.  Nel 1977 Tzigari è stato invitato al mio matrimonio. Gli altri invitati si chiedevano: "Chi l'è? L' è 'n zingher?". E già, c'era uno zingaro tra gli invitati e tutti citu musca. Cosa vuoi dire allo sposo? Anzi qualche parente, alla fine, gli ha dovuto dare un  passaggio: sono belle rivincite, no?

M - Era una persona anziana?
A - Già allora aveva sui 70 anni. Quando è morto ne aveva circa 90.

M - Tutto questo succedeva 40 anni fa?
A - Sì, dal '72,  ho quarant'anni di servizio in questo campo e da allora, con alti e bassi me ne sono sempre occupato, privilegiando l'aspetto della conoscenza. È ovvio, che avendo a che fare con i rom non puoi dissociare del tutto l'aspetto culturale dall'aspetto utilitaristico perché volente o nolente chi avvicina gli zingari deve mettere nel conto di essere usato.

M - Usato in che termini?
A - Per i loro bisogni materiali, il riso, la pasta, i documenti, la burocrazia. Ma anche per i soldi: se ne hanno bisogno perché che ne so, gli tagliano la luce, te li chiedono.: Insomma, bisogna mettere in conto, che c'è anche questo aspetto.
A volte non è una richiesta diretta di denaro. Ti propongono una vendita. Uno dei primi anni, mi ricordo, sono arrivato a casa con una batteria  di pentole.

Comunque l'aspetto assistenzialistico non deve assolutamente prevalere. Lo dico, se può servire a qualcosa, con la mia esperienza di quarant'anni di frequentazione. Non deve prevalere perché c'è già. Vai a offrire i tuoi servizi a chi ti succhia il sangue?

"Li conosco, vado e li aiuto" oppure; "Io sono qua, se hai bisogno...": sono due atteggiamenti letali, da evitare soprattutto per un concetto di dignità e di rispetto.

Ti racconto un episodio.
Un tizio, gagio, grande esperto, amante dei nomadi, visita una famiglia di rom Harvati. Entra in casa: " oh buongiorno ciao, ciao, ciao: che bello, finalmente trovo dei rom puliti". "Perché i rom devono essere sporchi? Tu allora ti aspetti che i rom siano sporchi, che siano ladri dicendo così".

Non bisogna assolutamente accostarsi agli zingari con l'atteggiamento di beneficenza, di volontariato e così via.

M - Sei critico anche nei confronti delle associazioni che si occupano di zingari?
A - Critico? Lo posso dire e sfido chiunque venga in un dibattito pubblico a negarlo: la prima cosa per far andare bene il popolo rom in Italia è chiudere, sopprimere tutte le strutture che si occupano di loro, che sono una quarantina in Italia ...dei mangia, mangia... Prima cosa. Non si risolvono i problemi se prima non si sopprimono tutte queste sanguisughe, queste associazioni parassitarie che vivono sugli zingari, definiti parassiti. Bello! Sugli zingari, definiti parassiti, ci vivono i parassiti.

Tutte associazioni che fanno progetti di avviamento al lavoro, utilizzando fondi europei e italiani, che poi finiscono in niente. Un sacco di soldi. Si fa il corso di cucito per le donne, che sono pagate per partecipare. Finito il corso, finito tutto. Si fa il corso per incrementare il ballo e la musica degli zingari; partecipano in sette o otto, finito il corso se non vengono chiamati a suonare ..... Si fa un corso per l'avviamento di cooperative di zingari per il verde: finito il corso la serra è andata in malora, troppa fatica e poi chi va a vendere? Ce ne sarebbero di cose da dire, ma è meglio lasciar perdere.

 
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M - C'è qualcuno che si salva, o no?
A - L'unica che capisco è l'associazione NAGA, un'associazione di medici ( naga è il nome di un serpente indiano). Sono medici volontari che, con un ambulanza, girano nei campi. E' una realtà solo italiana, perché all'estero i rom hanno case, hanno l'assistenza medica eccetera. In Italia vanno, vengono sono qui sono là. L'intervento del Naga è importante soprattutto a livello infantile, più che per l'adulto che, bene o male, s'arrangia. Anche perché gli zingari non si curano. Hanno male agli occhi? Ai denti? Allo stomaco? Passerà! Ma è un dovere seguire le donne, i bambini, fare le vaccinazioni, le visite  e siccome non li raggiungiamo tutti perché non tutti si rivolgono alla struttura sanitaria ben venga questa istituzione, che da almeno 30 anni gira nei campi con i furgoni e i medici volontari. Questa non è più beneficenza, è un servizio sociosanitario.

M - E l'Opera Nomadi?
A - Opera Nomadi è stata fondata nel 1965 da don Bruno Nicolini, santo prete e brava persona, morto qualche mese fa, e da Mirella Karpati, studiosa di pedagogia di Padova.
Questa associazione, agli inizi, ha fatto un ottimo lavoro perché ha risvegliato l'attenzione verso gli zingari e ha fondato una rivista Lacio Drom, che vuol dire "buon viaggio". Soprattutto, però, ha firmato due convenzioni con il Ministero della Pubblica Istruzione per inserire i bambini a scuola. Con la prima, verso la fine degli anni sessanta, furono create: delle classi speciali. Praticamente vicino a quelle ordinarie c'erano classi composte solo da zingari, da 5 a 10 alunni: purtroppo allora non si sapeva fare di meglio. C'era una graduatoria speciale per insegnanti delle classi Lacio Drom. Chi voleva si iscriveva a questa e, in base ai requisiti, veniva chiamato per  insegnare nelle classi di zingari. L'altra convenzione, firmata nel 1982, superava le classi speciali e prevedeva l'inserimento degli alunni rom nelle classi ordinarie.

Anche a Milano l'Opera ha fatto tantissimo: sulla scuola, sul trasporto; sui campi, ha insistito col comune per portare almeno acqua, luce gas. Il mio amico Zigari è stato un beneficiato dell'ON, perché ha avuto un suo appezzamento, ha mandato i nipoti a scuola. Il lavoro pionieristico è stato importante, poi ...

M - Poi?
A - Poi il tempo è passato e ora credo che gli zingari non siano più un popolo da assistere, ma che anche loro debbano essere oggetto della legislazione generale, come tutti. Se c'è da andare a scuola vanno a scuola, io sono ferreo su queste cose: se tu vivi qui e non mandi i bambini a scuola ti denuncio e te li tolgo, come succede a tutte le famiglie che non mandano i bambini a scuola. Non paghi la luce? Eh caro mio io, te la taglio: "Ma io non ho i soldi" .Va lavora o vai ai servizi sociali, vai in comune. Lo zingaro va trattato innanzitutto  come essere umano come tutti, salvo l'applicazione di tutte quelle norme e di tutti quei benefici che situazioni di disagio ammettono  Invece di dare i soldi a te che sei dell'associazione io uso i soldi per gli zingari direttamente e favorire l'autopromozione.

M - E' l'intermediazione che non approvi?
A - Ecco sì, l'intermediazione: non c'è bisogno di intermediazione, se hanno bisogno di qualcosa si rivolgano a chi di dovere, come gli altri cittadini. E' chiaro che, dato l'alto livello di analfabetismo e di scarsa conoscenza burocratica, vanno aiutati, ma solo, diciamo così, come tutoraggio.

Ma, a parte l'Opera Nomadi che comunque la sua parte l'ha fatta e l'ha fatta bene, poi sono arrivati gli altri, i furboni. Si mettono insieme in cinque, nominano un presidente, scelgono un nome - "drom (strada) qualcosa" - ed ecco l'associazione. Ne esistono una quarantina e più in Italia.

M - Che vantaggi hanno?
A - Di avere i contributi. Adesso magari no, ma un tempo, quando i comuni erano di manica larga, le associazioni presentavano progetti e prendevano un contributo.
Poi lo so anch'io che ci sono problemi che il singolo non può risolvere da solo ma deve agire in forma associata, come ad esempio per modificare o aggiornare la legislazione.
Oggi ad esempio c'è il grosso problema dei rom apolidi, provocato dalle guerre dell'ex Jugoslavia: sono ragazzi di dieci, anche vent'anni, figli, nati in Italia, di famiglie fuggite dalla guerra. Non hanno documenti e non sono registrati né da una parte né dall'altra. Un problema.

M - Qual è stata la scoperta più inaspettata che hai fatto frequentando questo mondo ?
A - L'umanità Tutto quello che si diceva di loro non era vero. La mia grande scoperta, fondamentale, è che è gente semplice, naturale senza secondi fini (a parte quelli che vogliono fregarti, ma quella è un'altra cosa), gente che ti parla davanti.
Io quando vedo in tv quelli che partecipano ai giochi, sono subito sospettoso: sono spiritosi, ma solo per farsi vedere. Per esempio con Jerry Scotti, una sera c'era una copia per cui ho provato istintivamente simpatia: lui un bel ragazzo, avrà avuto 30 anni, fine; lei una bella ragazza, alta: erano giostrai. Erano semplici, naturali. Guarda, senza saperlo.

M - Ma i giostrai sono tutti zingari ?
A - I veri giostrai, antichi, sì. Anche le famiglie dei circhi:Moira Orfei, ad esempio, ha sempre dichiarato le sue origini zingare, anche i Zavatta, i Buglione. Altri invece non lo dicono.
Oggi ci sono anche giostrai non zingari: questi li accusano di avergli rubato la piazza, li chiamano "i dritti". Se chiedi a un giostraio: "sei un dritto?", quello si offende: perché se è uno zingaro dice "quelli lì? ammazzali tutti!" Se invece è un dritto ti dice: "Sì perché, cosa vuoi? Te sei uno zingaro?"
In Umbria ho conosciuto zingari che hanno smesso di lavorare con la giostra perché non ce la facevano più e sono diventati rottamatori, raccolgono il ferro. Tanti adesso lo fanno

 
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M - Parlami del tuo rapporto con loro
A - Ho un buon rapporto perché è un rapporto di parità Anche quelli che vedo raramente, quando li vedo mi guardano con occhio benevolo, con occhio giusto: non il gagio che gli serve, il gagio dilo, che vuol dire il gagio stupido, che li insegue e che crede di sapere tutto e invece si fa sfruttare. Io sicuramente sono un gagio, non un rom e già questo crea una barriera: non sei un rom e quindi sei già diverso, automaticamente inferiore. Ma poi sei il più privilegiato dei gage perché li tratti da pari a pari: "Avete bisogno? io sono qua, ma non credete che sia lo straccio eh". Allora ti rispettano.
Ho aiutato uno che era in carcere mandandogli lettere. Adesso, dopo sette anni, è uscito e mi ringrazia e mi dice che senza le mie lettere sarebbe stata molto più dura. Gli scrivevo e gli chiedevo di rispondermi in romanés, per farmi imparare. Gli ho mandato il libro sull'olocausto del suo popolo, lui lo ha fatto vedere al direttore del carcere. Per lui sono diventato un "phral", un fratello, mai come un vero zingaro ma comunque un fratello
Lui è uno molto ricco e intelligentissimo, un big nella sua comunità. Nei matrimoni e nelle feste quando arriva tutti si alzano in piedi, la banda si ferma e poi riparte in suo onore. Fra loro non esiste il capo che comanda, ma il capo di prestigio sì.
Una volta ho partecipato a una "pomana", cioè a un banchetto funebre. Quando lui è arrivato, io ero già seduto, è venuto a stringermi la mano. Sai cosa vuol dire per gli altri? "Ti ho visto con ..." e per loro sei qualcuno.

M - Due mondi, il "nostro" e il "loro" che non si piacciono, che non riescono a parlarsi: cosa sbagliamo "noi"? Cosa sbagliano "loro"?
A - Sono due mondi diversi. Non è questione di chi ha torto e di chi ha ragione o di chi sbaglia. Sono due mondi fatti così. Il "nostro" è quello maggioritario e vuole che lo si accetti così com'è .

M - Chi non si adegua è fuori?
A - Esatto e loro sono un altro mondo, che non si è adeguato. Tutti ammirano la tenacia con cui ha saputo rimanere se stesso, nonostante le persecuzioni, il nazismo, il pericolo di distruzione e nonostante le nostre lusinghe, perché la casa, il lavoro, la tranquillità sono delle lusinghe che possono essere anche alla loro portata. Tutto questo lo hanno rifiutato perché i benefici economici e della nostra civiltà sono visti in un'altra ottica. Per noi è una conquista avere una casa, un lavoro, un conto in banca ecc. Per loro sono cose che  oggi ci sono e domani no. Con queste premesse non lo so come si possa fare ad integrarli

M - Ma l'integrazione è comunque un obiettivo?
A - Sì, non si può rinunciare a priori a questo obiettivo, ma con la consapevolezza che i due mondi viaggiano in modo parallelo. Poi ogni tanto c'è qualcuno che passa di qua, però non è un interculturalità, un'emancipazione

M - E' una scelta individuale
A - Una scelta famigliare, individuale di tanti che rinunciano, si nascondono. Conosco tantissimi che non si ritengono più zingari. Dicono "I Zingher?" .So di tante famiglie. Ma chi vuole vivere ancora in questa tradizione, deve continuare con questa mentalità.  Chi non vuole, deve fare il passo e venire di qua, non si può vivere in due mondi.
La loro è una società sovra famigliare, una società di clan la quale vive non parallelamente ma dentro la nostra società. Gli Yankee e gli Indiani d'America sono società diverse, che vivono parallelamente : Gli indiani hanno difeso il loro territorio, gli altri glielo hanno preso e li hanno messi in riserve punto e basta.
No gli zingari partono già dicendo "io sono diverso, ma sono dentro di te". E come fai a liberarti di uno che è dentro di te? "O diventi come me o stai fuori di me". E se stai dentro accetti l'emancipazione, che significa che ti vengono riconosciuti tutti i diritti previsti dalla Costituzione, dalle leggi e dalle normative. Ovviamente però ti toccano anche tutti i doveri connessi. La legge dice che i bambini devono andare a scuola? Tu li devi mandare a scuola . Pochissimi rom romeni, che sono la maggioranza, manda i bambini a scuola.

 
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M - In Romania?
A - No, qui in Italia. In Romania, sia sotto Ceausescu che dopo, andavano a scuola. Infatti i genitori vengono che sanno leggere e scrivere. Ma, una volta qui, non mandano i figli, "Perché farli studiare? tanto guadagnano, chi se ne frega ..."

M - E quindi la legge deve intervenire
A - Certo, deve intervenire, in questo caso con decisione; in altri con discrezione. Bisogna stare attenti a non applicarla in modo ingiusto
Un esempio: se vediamo un bambino che corre scalzo nel campo, per noi, essendo scalzo, è anche  malnutrito e incustodito. Arrivano i Servizi Sociali e lo tolgono ai genitori. Un momento, non è lì che si vede l'affetto o l'attenzione dei genitori. Ci sono anche delle abitudini e delle tradizionali che non corrispondono alle nostre, dove basta soffiare addosso a un bambino per incappare in qualche violazione della di privacy, o in un atto di violenza. 
Sono altre le cose gravi a cui fare attenzione: la sudditanza della donna, la violenza nei suoi confronti,  l'ubriachezza, ...

M - Sugli zingari hai scritto diverse cose. Alcune le ho citate all'inizio di questa intervista e due brani sono pubblicati dopo. A parte l'interesse specifico per gli argomenti, una sera mi ha parlato dell'importanza che potrebbe rappresentare l'approccio culturale ai fini della convivenza con i rom: me ne puoi riparlare?
A - Sì, questo secondo me è un punto fondamentale. L'approccio  culturale può aiutarci ad abbattere il muro di incomunicabilità che ci separa
Questo tema si presenta sotto due aspetti.
Il primo è, diciamo così, quello "culturale intrinseco", cioè la conoscenza sic et simpliciter della  loro cultura, delle loro tradizioni, della loro lingua, della loro società, e anche della loro religione, se c'è.
Ma questo basta per avvicinarci? No.
Allora è necessario anche l'altro aspetto, quello di conoscere cosa loro ci hanno dato dal punto di vista culturale ed è indubbio che noi siamo debitori verso gli zingari per molte cose e che la nostra cultura è imbevuta della loro: nel divertimento (i lunapark), nello spettacolo (il circo), nella conoscenza dei cavalli, nel commercio ambulante. C'è chi dice che si debba a loro l'importazione delle armi da fuoco in occidente.
Cosa sarebbe l'arte se togliessimo agli artisti il personaggio dello zingaro o della zingara?. e Verdi cosa sarebbe senza il Trovatore, o la sua Traviata senza "il coro delle zingarelle"?. Anche Hugo a Cervantes resterebbero mutilati.
La maschera dello zingaro e della zingara è da sempre presente nei nostri carnevali, e in molte rappresentazioni della Passione di Cristo nel meridione d'Italia la zingara è il personaggio che predice il futuro.
L'eterno cammino degli zingari sarebbe dovuto a una maledizione ricevuta per non aver dato alloggio sotto le proprie tende alla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.
C'è tutto un mondo letterario artistico, musicale, di divertimento che fa riferimento agli zingari, un mondo sterminato, che, se si vuole si può ignorare, ma se lo conosciamo dobbiamo dire: ah, tanto di cappello. Allora io dico, guardiamo lo zingaro anche in questo modo. Non sempre è lo straccione, l'analfabeta.

M - Non guardiamo solo quello che chiede ma anche quello che ha dato ...
A - Quando mi chiamano a parlare, parlo soprattutto di quello che ci hanno dato, e non se rubano o se mangiano con le mani....banalità!

M - Quali sono i tratti culturali in comune di un popolo così variegato, che non ha un proprio stato, che vive disperso su tanti territori e aderisce a diverse fedi religiose? La lingua, ad esempio, è unica o ce ne sono tante?
A - Anche qui ci sono le solite e tante leggende metropolitane, se vogliamo dire le cose come stanno. Intanto non è vero che i rom non abbiano uno stato, a parte gli apolidi, gli altri hanno tutti una nazionalità: i sinti italiani e i rom abruzzesi sono di nazionalità italiana, i rom che emigrano in Italia dalla Romania, ad esempio, sono romeni ...

M - Però il "popolo dei rom" non ha un suo stato ...
A - Sì, non ha uno stato che lo rappresenti. I rom sono una minoranza dispersa, che assume la nazionalità dello stato dove vive. Ciò significa che geopoliticamente non sono un unico corpo. Per questo motivo è stata negata la loro cultura e non sono stati riconosciuti in Italia come minoranza linguistica..
Un'altra leggenda metropolitana è che sono così diversi fra loro che non comunicano. Una zingara mi disse che il popolo rom è come una mano che ha cinque dita, ma la mano è unica: anche il popolo dei rom è un unico popolo.
Piasere, un grande antropologo degli zingari, di loro ha detto che sono "Un mondo di mondi".
Le sfaccettature sono innegabili ma, come ho detto all'inizio, insistere a guardare il fatto che fra loro sono diversi non serve. Per esempio non c'è niente di più diverso del gitano spagnolo e del rom romeno, ma, alla fin fine, sono molto più simili fra loro che il rom rumeno con il suo vicino di casa.


 
Fotografia di Jurij Razza



M - E parlano la stessa lingua?
A  - Avevano un'unica lingua, adesso hanno tanti dialetti ma con un fondo comune che gli permette di capirsi. Se un gruppo di italiani si spostasse in un'altra parte del mondo manterrebbe un po' della lingua italiana - il nome della famiglia, di Dio, della religione - e per il resto imparerebbe la lingua del paese ospitante. Il "pezzo" di italiano rimasto servirebbe al gruppo per capirsi con il resto degli italiani nel mondo.

M - Possiamo paragonare la varietà della lingua fra i rom con la varietà dei nostri dialetti?
A - Sì, ma c'è una considerazione importante da fare, che riguarda i rapporti numerici. Mi spiego: ci sono, supponiamo 100 dialetti zingari, ma di questi 99 sono parlati da due persone; l'altro è parlato da 10 milioni di persone. Nella realtà il rapporto fra sinti e rom (quelli che all'inizio per non confonderci abbiamo definito rom -rom) è 1 a 100: gli zingari hanno 100 dialetti ma la stragrande maggioranza ne parla uno o due.

M - La caduta dei regimi comunisti e, in seguito, le guerre della ex Jugoslavia hanno mutato, mi sembra, le caratteristiche della presenza degli zingari in Italia. Puoi, a grandi linee, farci capire cos' è successo?
A - L'immigrazione di questi ultimi anni - e parlo di immigrazione, non di "invasione"come dicono molti - è la terza grande immigrazione del popolo rom.
Molto brevemente . La prima è stata quella del 1400, e ha interessato tutta l'Europa: a Bologna si segnalano i primi zingari nel 1422, in Germania nel 1414.
Prima di allora gli zingari non si sapeva neanche chi fossero. I luoghi di provenienza erano i paesi Balcanici, la Romania e la Turchia.
Il fenomeno crea i disagi per le popolazioni, nascono i primi pregiudizi, e cominciano a essere emanate le prime leggi di oppressione. Ognuno aveva i suoi nomadi e cercava di cacciarli: a picchiare duro era la Francia? gli zingari si spostavano in Germania. Questa cominciava a reprimere? Si spostavano in Italia, e così via. Tra il 1400 e il 1800 l'Europa ha visto sempre una migrazione degli zingari al suo interno.

M - Questa è la prima migrazione?
A - Sì. Verso la metà dell'ottocento, quando si era creato un certo equilibrio all'interno dei vari stati, avviene la seconda migrazione.

M - Si sa quale sia stato il fatto storico scatenante?
A - Sì. Intorno al 1856 avviene la liberazione degli schiavi in Romania, e in tutta quell' area geografica: Valacchia, Transilvania, Bessarabia, Moldavia.  Vale a dire il serbatoio dei rom, dove ne vivevano a centinaia di migliaia.
A Milano si hanno le prime avvisaglie di questo esodo negli anni sessanta: il giornale "La tribuna illustrata", mi sembra, nel 1868 pubblica  un bel articolo con una fotografia di un attendamento di nomadi a Milano, a Porta Ticinese: "Zingari a Milano".
Un accampamento con grandi tende,  carretti con cavalli. Erano zingari rumeni, transilvani alti con capelli lunghi e i costumi da zingari ungheresi: anelli, un cappellaccio e, soprattutto, un gilè con bottoni d'oro, tipo i giannizzeri, i cavalieri ungheresi.
Il cronista scriveva: "ah, questa razza così naturale, così fiera Begli esemplari  umani eccetera ... "
Comunque questi nuovi arrivi creano un squilibrio nell'assetto che ormai si era creato fra i vari stati con i rom presenti fin dalla prima immigrazione. Se con questi ultimi ormai si cercava di convivere, i nuovi venivano invece respinti ( o è meglio dire che si tentava inutilmente di respingerli).

M - Possiamo quindi datare la seconda immigrazioni verso la metà dell'ottocento
A - Sì, il suo inizio, perché proseguirà anche nei decenni successivi, con una forte accentuazione alla fine del secolo e allo scoppio della prima guerra mondiale.
Dobbiamo poi fare un salto fino agli anni sessanta, settanta del ventesimo secolo. Gli anni in cui nasce Opera Nomadi che riesce ottenere quelle cose di cui abbiamo parlato prima (scuola, campi eccetera)

M - Terza migrazione ...
A - Esatto, a questo punto arriva la terza migrazione che scombussola ancora una volta l'equilibrio in atto.
Siamo alla fine degli anni sessanta. I primi ad arrivare sono bosniaci musulmani

M - Perché alla fine degli anni sessanta?
A - Perché cominciava il progresso qui da noi e, di là i primi che hanno capito han mangiato la foglia e sono venuti in Italia: gli Alilovich e Metalovich.
Poi, con le guerre dei Balcani sono arrivati i kosovari e i macedoni e, dopo la caduta dei Ceausescu in Romania, sono apparsi i rom romeni.

M - Cosa ha significato tutto questo?
A - Che hanno squilibrato ancora una volta l'assetto che, bene o male, si stava creando. I numeri sono pochi però se negli anni sessanta si erano fatte politiche di integrazione scolastica, di campi nomadi ( "famigerati" fin che vuoi, ma quasi tutti i rom vivevano nei campi), di assistenza sanitaria, con i nuovi arrivi tutta la costruzione crolla. Cavolo, arrivano i bosniaci che gridano "Campo, campo, vogliamo campo! Lavoro vogliamo lavoro!" Finiti i bosniaci arrivano i kosovari , poi i romeni. E allora riunioni su riunioni, problemi su problemi. Capisci cosa è stato che ha fatto saltare le cervella agli amministratori? Che  non hanno tutta colpa; non è che gli amministratori siano stati così boia. Io ho seguito la situazione di Milano: sai quante riunioni? Quanto è stato fatto per il lavoro, per la scuola per i campi? Per portare l'acqua, la luce, fare i giardinetti, fare le pulizia, mettere su baracche?. Poi anche i "nostri" zingari aumentavano perché sono prolifici: facevi il campo per 100 persone e dopo diventano 250 e gli amministratori sono impazziti.
Questo è successo in questi anni.

M - Un'ultima domanda. A chi, come te in cerca di popolarità, volesse instaurare un contatto più diretto con gli zingari, cosa consiglieresti?
A - Nessuna velleità assistenziale, ma rapporto umano con l'intento di conoscere il loro modo di vita e la loro visione della vita. Gli zingari, i Rom non sono terra di missione.

* Le fotografie di Jurij Razza sono state scattate a Roma, al campo Casilino 700, nel 1999. Ringrazio Jurij per aver acconsentito alla pubblicazione. M. B.
 


NOTE
(1) Angelo Arlati, Porrajmós e samudaripen, Divoramento e Genocidio . L'olocausto del popolo zingaro, Comitato per il Sessantennale della liberazione dal nazifascismo, 2005, Cornate d'Adda
(2) Angelo Arlati, La lingua dei Rom, Rivista Anarchica, anno 42 n. 9, Dicembre2012/gennaio2013
(3) Angelo Arlati, La più antica rappresentazione iconografica degli zingari, Rom-Sinto, n.15, novembre 2012
(4) "Dom significa uomini e deriva dalla radice indoeuropea gdhom, da cui derivano il latino homo "uomo" e humus "terra", il greco ???? "terra", il sanscrito kshas "terra", l'irlandese duine "uomini", Angelo Arlati, la lingua dei rom, op. cit
(5) I rom Harvati sono giunti in Italia dalla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Erano circa 7000 persone (http://it.wikipedia.org/wiki/Zingari)