mercoledì 21 novembre 2012

L'ALLUVIONE DEL POLESINE NEI RICORDI DI LEONARDO PAVIN di Marco Bartesaghi



"Affacciati alla ringhiera in cima al muraglione che fa da argine all'Adige, abbiamo visto quest'acqua venire avanti, perché si vedeva in lontananza, che veniva dal Po, che dista una cinquantina di chilometri. Era una cosa che faceva paura: io non me la sono mai dimenticata, ce l'ho ancora davanti agli occhi"






Era un bambino di sette anni Leonardo Pavin quando, nel novembre del 1951, l'acqua del Po, rotti gli argini, invase la campagna, arrivò fino al paese dove era nato e abitava e sommerse la sua casa.






"Sono nato a Cavarzere - racconta - l'ultimo paese della provincia di Venezia, al confine con quelle di Rovigo e Padova. Mio papà si chiamava Valentino, mia mamma Irma Bozzato: sono tutti e due sepolti qui a Verderio. Si erano conosciuti giovani, durante la guerra, per la quale, poi, lui era partito per star via due o tre anni (non lo so di preciso perché papà ha parlato pochissime volte della guerra: aveva un ricordo pessimo, soprattutto dell'Albania). È tornato a casa invalido, non per una ferita, ma perché ammalato ai polmoni: anche su suo interessamento all'ospedale del paese era stato aperto il sanatorio, che poi ha operato per una ventina d'anni, fino all'inizio degli anni settanta"
Marco (M) - Che lavoro facevano?
Leonardo (L) -Mamma da giovane era contadina, poi ha fatto la casalinga, anche perché, quando io e mio fratello gemello avevamo 4 anni, si è ammalata di scoliosi e, una volta ogni 6 o 7 o 8 mesi doveva andare in ospedale per circa quindici, venti giorni, un mese. Le avevano pure detto di non avere più figli, cosa che le era pesato tantissimo, così come a papà, perché ne avrebbero voluti altri.
M - Tuo papà invece?
L - Lavorava allo zuccherificio. In quegli anni, in Polesine, se ti andava bene, riuscivi a lavorare per sei, sette mesi all'anno. La baritazione delle barbabietole per fare lo zucchero incominciava a settembre (prima c'erano le squadre di manutenzione che dovevano preparare i vari reparti per dare inizio alla produzione) e finiva verso gennaio, febbraio. In questo periodo la fabbrica lavorava 24 ore al giorno, si facevano i turni, anche al sabato; la domenica no ma il sabato sì. I fortunati, alla fine del periodo di produzione,  venivano presi per le squadre di manutenzione e potevano lavorare ancora circa un mese, fino alla fine di marzo.
M - E riprendevano ...?
L - A settembre, a meno che fossero chiamati per la manutenzione preventiva e quindi cominciavano a luglio o agosto.




Cavarzere, novembre 1951. Soccorritori lecchesi all'opera (foto Galbusera) (1)
M - Che ruolo aveva tuo papà in fabbrica?
L - Era operaio, capo turno: aveva sotto di sé due o tre operai.
Poi qualche volta andava a lavorare in ferrovia, quando, nel periodo estivo, avevano bisogno di manodopera. Un anno aveva fatto caldissimo, fino a 40 gradi: veniva a casa che sembrava un africano, fra lo sporco e il sole ...
M - In che anni succedeva tutto questo?
L - Negli anni cinquanta e anche sessanta.
M - Parlami della vostra casa
L - Nel '49 - '50 a papà, in quanto invalido, era stata assegnata una casa dell'U.N.R.R.A. Prima però mi ricordo che abitavo a Boscochiaro, la frazione di Cavarzere sulla sponda sinistra dell'Adige, nella casa dei nonni materni (papà era invece della sponda destra, ma non ricordo di aver mai visto la sua casa e non so neanche in che paese fosse).
M  - Ma lì, nella casa dei nonni abitavi con il resto della tua famiglia?
L - Sì. Papà però me lo ricordo sì e no, perché era stato anche un po' in ospedale per la sua malattia. Poi, quando avevo cinque o sei anni, quindi nel '49 o '50, ci siamo trasferiti nelle case U:N:R:R:A a Cavarzere.
M - Com'erano queste case?
L - Erano formate da quattro appartamenti, due più grandi e due più piccole, disposti su due piani. Noi occupavamo uno di quelli grandi, a piano terra, con due camere, la sala, la cucina e il salotto. All'esterno avevamo a disposizione un pezzo di terreno in cui facevamo l'orto. Avevamo due piante di fico che, me lo ricordo ancora, facevano dei frutti dolcissimi. Mio fratello, a Cornate, ha piantato un pollone di quella pianta. Ne ho anch'io una qui a Verderio, ma non ha ancora fruttificato. Avevamo anche le galline: la sera le facevamo entrare in un contenitore di legno con una retina, che chiamavamo "caponata", e le mettevamo in casa. Alla mattina, la prima cosa che c'era da fare era liberare le galline nel pollaio, all'aperto dove avevano le cose da mangiare ... che poi le mangiavano anche i passerotti, i gatti eccetera ...
 
Cavrzere , 1951. Si caricano le masserizie su una barca
M - Nel 1951, a novembre, è arrivato l'alluvione
L - Era un periodo in cui pioveva molto. I tecnici si sono trovati nel dilemma di dove fare sfondare l'argine del Po - che dista da Cavarzere una cinquantina di chilometri. Il dilemma era se farlo rompere, nell'ansa che il fiume fa a Occhiobello, dalla parte dove scendeva con più forza, e quindi verso l'esterno della curva, oppure verso l'interno. Nel primo caso si sarebbe allagata Ferrara, che è li vicino. Hanno preferito rompere l'argine verso l'interno perché da questa parte c'era campagna, con paesini piccoli. Nessuno si aspettava che l'acqua sarebbe arrivata fino a Cavarzere. In quei giorni, per le case, ogni tanto  passavano dei camion a chiedere se si volevano portar via le masserizie, portarle non si sa dove, dovevi dirgli tu se avevi un parente a cui affidarle. I tecnici del comune, invece passavano a dire" non vi preoccupate, non portate via niente". Dicevano che l'acqua non sarebbe mai arrivata, o, al massimo, sarebbe riuscita a bagnare il terreno. Non avevano tenuto conto che Cavarzere è in una conca e  così tutto il villaggio U.N.R.R.A è stato sommerso fino al primo piano.
M - Allora la tua abitazione è stata sommersa completamente ...
L - Completamente da novembre fino ad aprile. L acqua è sempre stata li per tutto l'inverno. Ha cominciato a scendere all'inizio di marzo
M - ... allagata per quattro mesi ...
L - Sì. Papà è tornato dopo 15 giorni, per vedere se c'era qualcosa da salvare, perché, venendo via, non aveva preso niente se non una sveglia mettendosela in tasca; una sveglietta che ho ancora qui a casa.
M -  Risultato?
L - Niente, aveva visto che non era possibile tirar su niente.
Papà aveva fatto parte delle squadre di soccorso che andavano in giro in barca per vedere se c'era qualcuno che aveva bisogno e, soprattutto, che non ci fossero ladri ad approfittare  della situazione: c'erano in giro dei personaggi poco raccomandabili, fra cui uno che abitava accanto a noi, che continuavano a cantare "Occhiobello non ti chiudere" perché in quella maniera loro potevano andare per le case a rubare. Erano case appena costruite, appena arredate: tutta roba nuova.
M - Quando l'acqua se n' è andata cosa è rimasto?
L - Circa un metro, un metro e venti, mi diceva papà, di melma, palta, fango: di tutto c'era in casa.
M - Però, prima che l'acqua raggiungesse la vostra casa,  voi siete andati via ...
L - Sì, l'abbiamo chiusa e siamo andati dai parenti che erano dall'altra parte dell'Adige.
M - Ma perché avete deciso di partire, nonostante vi dicessero di star tranquilli?
L - No, no: una mattina sono passati i tecnici e ci hanno detto di scappare, chiudere e andare. Ma di non portar via niente perché di acqua ne sarebbe arrivata al massimo un cinque centimetri. Intanto avevano cominciato ad alzare il tiro: prima dicevano che sarebbe arrivata al massimo a bagnare il pavimento, poi di giorno in giorno aumentavano.
Perché non la puoi fermare l'acqua, l'acqua deve fare livello. Il fuoco in qualche modo lo spegni, ma l'acqua deve arrivare a fermarsi da sola. E man mano che veniva avanti portava alberi, case che non erano riuscite a stare in piedi, animali, camion, gente: ci sono stati anche tanti morti nell'alluvione ...
M - E quindi siete andati via ...
L - ... siamo andati via: avremo fatto 400 500 metri, che era il percorso per arrivare al muraglione dell'Adige, al centro del paese (il duomo di Cavarzere è confinante con l'argine dell'Adige. Durante l'ultima guerra, nel '44 '45, quando i tedeschi si ritiravano verso la Germania, è stato completamente abbattuto: era rimasto in piedi soltanto il campanile, che era stato solo sbrecciato, e una parte del municipio lì accanto. Finita la guerra Monsignor Scarpa, nativo di Chioggia o di Sottomarina, da quelle parti lì insomma, aveva voluto che il duomo fosse ricostruito com'era prima. Però l'hanno rovesciato: dove c'era l'abside hanno messo l'entrata che prima era rivolta verso il muraglione dell'Adige) ai piedi del muraglione ci siamo arrivati in dieci minuti (lì l'acqua ha bagnato appena appena il terreno) abbiamo salito le tre rampe di scale (il muraglione sarà alto dieci - undici metri) e una volta su ci siamo affacciati alla ringhiera (perché c'è una strada sopra il muraglione) e abbiamo visto quest'acqua venire avanti, perché si vedeva in lontananza che arrivava dal Po, che dista una cinquantina di Km in linea d'aria e si vedeva proprio quest'onda venire avanti, ma era una cosa che faceva paura. Io non me la sono mai dimenticata, ce l'ho ancora davanti agli occhi, e allora avevo sette anni.
 
Cavarzere 1951. Una veduta dall'argine dell'Adige (foto Galbusera)
M - Da lì dove siete andati?
L - Sono  venuti a prenderci gli zii che abitavano a Boscochiaro, quindi aldilà dell'Adige, e siamo stati a casa loro per un giorno o due. Poi noi ragazzi, tutti i ragazzi, per non perdere l'anno scolastico, siamo stati sfollati a Ca' Roman, una lingua di terra, una penisola diciamo, davanti a Chioggia. Siamo stati ospiti delle suore Canossiane, che ci hanno fatto scuola
M - Solo voi bambini?
L - Sì. I genitori li abbiamo rivisti ad aprile, maggio, quando, finita la scuola, siamo tornati a casa. Nel frattempo loro l'avevano pulita e disinfettata: c' era un'umidità che faceva paura. Avevano comprato i letti nuovi. Il divano invece sarà arrivato nel '53 - '54.
M - I danni materiali per voi sono stati pesanti?..
L - L'alluvione ci ha portato via tutto, tutto, abbiamo perso tutto. Della biancheria mamma ha salvato qualche lenzuolo. E poi i danni materiali ce li siamo dovuti subire noi, non c'è stato nessun soccorso dello stato o del comune. Non c'era la protezione civile o le sovvenzioni statali o comunali c'era niente di niente. Ognuno si è arrangiato per conto proprio. Papà ha approfittato per cambiare la disposizione dei locali dell'appartamento e ha fatto un corridoio, che prima non c'era, perché non gli andava di entrare direttamente nel salotto.
M - Comunque siete tornati a vivere nella vostra casa. Ti risulta invece che altri non siano tornati?
L - Per me sono tornati tutti: i ragazzi che c'erano prima c'erano anche dopo. Quelli con cui ho passato i mesi tra la fine del 51 e l'inizio del 52, l'anno a ca' Roman.  Ho un bellissimo ricordo di quel anno scolastico : ne abbiamo combinata una per colore. Eravamo ragazzini, non avevamo i genitori, c'erano le suore. C'era una bella spiaggia e mi ricordo che andavamo a pescare: ero piccolo però i ricordi li ho ancora, hai capito? Quando è cominciato il periodo delle ferie, il periodo estivo, c'erano tanti ospiti che arrivavano, per cui i bambini li hanno smaltiti il prima possibile, li hanno rimandati a casa.
M - Ci sei tornato?
L - Ci sono tornato dopo anni, perché avevo lì una zia suora , suor Ilde, che poi è morta. Quindi siamo andati due o tre volte a trovarla.
M - Quali cicatrici ha lasciato l'alluvione sui tuoi genitori e su voi figli dal punto di vista psicologico, sul modo di affrontare la vita?
L - Sul modo di affrontare la vita penso che non abbia lasciato strascichi, se non che ci ha incentivato a fare, perché noi veneti non abbiamo paura. Prima magari ci lasciamo abbattere ma poi reagiamo. Però dal punto di vista psicologico penso che uno strascico sia rimasto: io ho una paura folle dell'acqua, ancora adesso.
 
Cavarzere 1951. Una barca di lecco in arrivo: la si riconosce dai remi lunghi
M - Paura dell'acqua in che senso?
L - Quando piove in continuazione, per un po' di giorni, non è che io riviva psicologicamente quel periodo, però nel subconscio sento che c'è ancora questo terrore dell'acqua. Del fuoco non ho paura, perché non ho mai avuto problemi col fuoco .... E pensare che, guarda caso, proprio a casa mia, anche se è posizionata nel punto più alto di Verderio, quando piove viene fuori la fogna che invade il marciapiede, qualche volta entra in casa oppure esce dallo scarico della doccia. È un'ignominia!. Questa cosa mettila sul blog, perché proprio merita: sono anni che mi lamento!
M - Sai nuotare?
L - Nuotare ... non ho mai fatto corsi di nuoto, nuoto così ...
M - non hai paura quando entri in acqua?
L - No, finché mi arriva alla cintola ... anche al petto mi può arrivare ... dopo comincia ad andar male. I miei figli hanno imparato a nuotare  e via dicendo. Io però no, non la vivo ancora bene la faccenda.
M - L' "alluvione" è stato presente spesso nelle conversazioni in famiglia?
L - Non abbiamo quasi mai parlato, negli anni successivi, di quello che era successo
M - Come mai?
L - Perché papà e mamma erano gente che non si girava indietro, che andava avanti. Adesso continuiamo a piangerci addosso, in questo periodo soprattutto ... Ci pensavo in questi giorni: lui, il papà, se lavorava sei o sette mesi all'anno era tanto. Si andava a fare la spesa con il libretto, quando arrivava la paga si distribuiva nei vari negozi. Praticamente non rimaneva niente, non saldavi neanche il debito ... un pochino alla volta lo saldavi, ecco    hai capito?. Quando compravi qualcosa lo compravi sempre a rate. Adesso se non si ha tutto non si sa come fare a vivere ... siamo pieni di cose superflue. E il bello è che per l'economia dovremmo averne ancora di più, ah, ah, mi vien da ridere ... lo sviluppo!!! È un modo di vivere che è assurdo. Uno non può comprare continuamente perché altrimenti l'azienda chiude. E' un'economia sbagliata, completamente cannata. Se noi andassimo avanti solamente con le cose essenziali .... Vestiti? Avevamo il vestito della festa che bene o male rimaneva sempre intatto, pulito, si adoperava il meno possibile: quando si tornava a casa da Messa lo si cambiava subito perché se no si rovinava. Poi quando era rovinato o lo si girava, lo si rivoltava ... i famosi cappotti rivoltati li ho vissuti anch'io e non è che mi vergogno. E poi c'era il vestito, diciamo da lavoro. Mamma mi ha sempre detto: "sporco no ma rattoppato sì", hai capito?. Settimana scorsa, o dieci giorni fa, ho messo un gilè che avrà trent'anni, non ne ha di  meno, e mi andava benissimo. Al piedibus mi dicevano:  "Ma come sei elegante questa mattina". "Ma guarda che ha trent'anni" "Ma va?" è così, è così, ma perché dovrei buttarlo via ... In questi giorni, per lavorare in casa, metto i pantaloni di mio padre e sono ancora belli e mio nipote mi dice ma che elegante che sei oggi nonno, perché erano pantaloni che avevano le pences, a lui piacevano i pantaloni con le pences.
Allora ti dicevo i genitori non si guardavano indietro, non si piangevano addosso, si scrollavano le difficoltà e continuavano a correre
M - E tu, ai tuoi figli, hai mai parlato dell'alluvione?
L - No, non se ne è mai parlato. Penso che il Polesine abbia chiuso quella pagina lì dimenticandola, rimuovendola.
M - Quindi, secondo te, è una rimozione che non riguarda solo la tua famiglia?
L - No, no tutti praticamente Molti negli anni successivi, negli anni sessanta, sono partiti dal Polesine. I primi sono andati in Piemonte: quelli che riuscivano a trovare impiego in FIAT erano i più fortunati. Quando il Piemonte non riceveva più sono finiti in Lombardia. Io ho avuto dei parenti che sono andati in Piemonte, che vuol dire sia a Torino in fabbrica, sia in provincia di Vercelli a far campagna ...
M - Parli di gente della tua generazione o di quella dei tuoi genitori?
L - Quella dei miei genitori; poi siamo partiti anche noi. I miei genitori sono sempre rimasti là, ma io e mio fratello abbiamo cercato lavoro qui perché in Veneto non c'era niente. Negli anni settanta, quando io sono venuto a Milano, non c'era lavoro in Veneto, niente.
M - Sei partito dopo le scuole?
L - Per studio - elementari, ginnasio, liceo e università - ho girato quasi tutto il Veneto. Mi sono laureato sia a Venezia che a Roma però, per trovare lavoro, son dovuto venire e Milano. Ho avuto la grazia di poter partecipare a un corso presso la Honeiwell. Sono entrato di straforo, perché figlio di invalido di guerra, anche se avevo più dell'età consentita
M - Che tipo di corso?
L - Di informatica. La Honeiwell era la concorrente dell'IBM, la seconda al mondo. Si facevano i grandi calcolatori, i macrocalcolatori: i personal non c'erano ancora e quando sono arrivati hanno mandato in crisi sia la IBM che la Honeiwell. Siamo stati due  mesi a fare il corso come programmatori di calcolatori; eravamo in 24, scelti, in tutta Italia, dopo aver fatto dei test attitudinali. Ogni 15 giorni c'era un esame, chi passava andava avanti nel corso, chi non passava tornava a casa. Ci hanno preso in nove a Milano, uno lo hanno mandato a Torino, uno a Udine, eccetera.
M - Tu eri laureato in lettere?
L - Ero laureato in filosofia. Si era negli anni settanta. Sono stato assunto alla fine del corso e mi hanno messo a programmare a Milano. L'anno successivo, ho conosciuto mia moglie, durante le ferie: dovevo partire per il mare, un contrattempo, non c'era più posto al mare, sono andato in montagna e lì l'ho conosciuta. Qualche anno dopo, finito il militare, ci siamo sposati
M - E a Verderio come sei capitato?
L - A Milano, dove abitavamo ed avevamo fra l'altro avuto lo sfratto, non volevamo più stare, per l'inquinamento, quello atmosferico, ma soprattutto quello acustico, e anche perché costava troppo. Siamo usciti a vedere e abbiamo cercato a Camparada, poi ci siamo spinti un po' più in qua, siamo arrivati a Verderio. Ho trovato il Tarcisio ...
M - Toh, che caso...
L - Sì, il primo personaggio che ho conosciuto a Verderio è stato Tarcisio Sala. Io chiedevo in giro se c'erano case, o in affitto o da comprare e tutti mi indirizzavano a lui. Attraverso lui ho conosciuto Antonio Sala, capomastro, una persona di cui ho avuto grandissima stima, che mi ha venduto la casa dove abito. Così sono finito qui. Poi c'era anche il fatto che mio fratello abitava a Cornate e quindi saremmo stati più vicini.
M - Che anno era?
L - 24 anni fa credo, quindi nel 1988. Però lavoravo ancora alla Honeiwell a Borgolombardo, e la strada era lunga e trafficata, sia al mattino che alla sera. Un fornitore della Honeiwelll era la CSI, una fabbrica di Verderio Inferiore che produceva dischi fissi per computer. Il titolare, figlio del direttore generale della Honeiwell Italia, l'ingegner, Peretti, mi  ha chiesto se potevo venire a lavorare con lui qui a Verderio. Mi ricordo che quando sono arrivato eravamo in nove, e quando sono andato in pensione in 400.
M - Poi però la ditta, che si era intanto trasferita da Verderio a Sulbiate, ha chiuso.
L - Avevamo cominciato da qualche anno a  produrre prima i floppy poi i CD e i DVD. Per un po' è andata bene e l'azienda si è sviluppata. Poi le tasse messe sui dischetti, sui cd  e i dvd erano più di quello che si spendeva di materiale. Non si riusciva più a starci dentro. Più si produceva più si perdeva. La CSI ha chiuso con ordini di milioni di pezzi. Era anche il periodo in cui non erano i costruttori a stabilire i prezzi ma la grande distribuzione. Il supermercato tale stabilisce il prezzo: fa una gara, chi vince prende l'ordinativo, hai capito? Da quando in India si è fatto avanti qualcuno che era dieci volte più grande di noi (e noi eravamo l'azienda più grossa di tutta l'Europa) abbiamo dovuto per forza soccombere.
M - Hai lasciato il Polesine, ma hai mantenuto un legame con quella terra?
L - Sì, finché i miei genitori son rimasti là. Poi, quando 22 anni fa è morto papà e la mamma si è trasferita qui, prima da noi e poi all'Istituto Frisia, il legame si è un po' allentato. L'ultima volta sono andato l'anno scorso, a trovare uno zio, l'ultimo che mi è rimasto, uno zio acquisito, marito della sorella di mia mamma, 97 anni. Appena mi ha visto ha detto : "ma varda ciò g'era un tocheto che non se se vedeva".

NOTA
(1) Tutte le immagini di Cavarzere di questo articolo sono tratte da "1951 lecco per il Polesine", Archivi di Lecco, N.4, ottobre - dicembre 1996.

2 commenti:

  1. Chi avrebbe mai pensato che sarei finito proprio nella provincia d'Italia che è accorsa per prima in soccorso della mia terra martoriata ?.
    Il mondo è proprio piccolo..

    Leonardo

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