mercoledì 21 novembre 2012

NOVEMBRE 1951, ALLUVIONE IN POLESINE: LA SOLIDARIETA' DI VERDERIO INFERIORE E SUPERIORE di Marco Bartesaghi

14 Novembre 1951. Piove da due settimane sul territorio che riversa le sue acque nel fiume Po. Non sono piogge di intensità mai vista, ma sono insistenti e gravano contemporaneamente sull'intera area, provocando la piena di tutti gli affluenti del fiume. 

La stampa, 15 novembre 1951
Il 12, il 13 e nelle prime ore del 14 la piena passa dal mantovano, ma non provoca disastri. Verso sera, tra le ore 19 e le ore 20,30, raggiunti i territori della provincia di Rovigo, l'acqua rompe gli argini in tre punti e si abbatte sulle campagne.
La Stampa, 16 novembre 1951
Per il volume d'acqua esondata e per l'estensione del territorio coinvolto, l'alluvione del Polesine ha il triste primato di essere il più grande di quelli che hanno coinvolto l'Italia in età contemporanea.
La Stampa , 20 novembre 1951
Circa cento furono le vittime; tra 180 e 200 mila i profughi. A seguito di questa catastrofe, tra il 1951 e il 1961, il 22% della popolazione lasciò definitivamente il Polesine.


La solidarietà nei confronti delle popolazioni colpite dal disastro si manifestò attraverso l'intervento di volontari, accorsi immediatamente a prestare soccorso, la raccolta di fondi e di cose di prima necessità e l'accoglienza dei profughi .
A pochi giorni dall'alluvione l'Amministrazione Provinciale e la prefettura di Como diedero vita ad un Comitato Provinciale a cui fu affidato il compito di coordinare e sovraintendere alla raccolta di offerte a favore degli alluvionati. Lo presiedeva l'avvocato Gilberto Bosisio, presidente dell'Amministrazione Provinciale. Altri componenti: il comm. Giovanni Zecchino, delegato del prefetto; Monsignor Mario Villa, in rappresentanza del Vescovo di Como; il presidente dell'ECA (ente comunale di assistenza) di Como; i rappresentanti della Commissione Pontificia di Assistenza, della Camera di Commercio, delle associazioni degli industriali, dei commercianti e degli agricoltori, della CISL, della Camera Confederale del Lavoro, delle ACLI, dei giornali comaschi"L'Ordine" e "La Provincia"
Nella sua prima riunione (18/11), il comitato decise di invitare tutti i sindaci della provincia a dar vita ai Comitati Comunali, con il compito di coordinare la raccolta di offerte in denaro e in natura. Tali organismi, che dovevano essere composti dal sindaco, dal parroco, dai rappresentanti dell'ECA, delle forze produttive e dei lavoratori, erano gli unici legalmente autorizzati ad operare sul territorio comunale. Qualora sullo stesso territorio esistessero altre iniziative autonome, queste erano tenute ad agire in collaborazione con il Comitato Comunale e a fornire rendiconto scritto dei risultati delle loro raccolte.
I comitati comunali non potevano, salvo particolari disposizioni, erogare direttamente gli aiuti, ma erano tenuti a far pervenire i ricavati delle raccolte al Comitato Provinciale, il quale stabilì anche che le somme messe a sua disposizione sarebbero state utilizzate, in primo luogo, per il mantenimento dei profughi a carico della Provincia di Como.
Verderio Inferiore e Superiore , aderirono alla richiesta della Provincia dando subito vita ai comitati. Quello di Verderio Inferiore era così composto: Gianfranco Gnecchi Ruscone (sindaco), don Angelo Ricco (parroco), Luigi Brambilla, Giovanni Sirtori, Tomaso Nava, Ambrogio Andreotti, Luigi Oliveira.
A Verderio Superiore ne fecevano invece parte: Giuseppe Cassago (sindaco), don Antonio Molteni (parroco), Pietro Oggioni (presidente ECA), Francesco Robbiati (presidente Coop. San Giuseppe), Pirovano Elisa in Zambelli (maestra).
Appena nominati, i due comitati rivolsero alle rispettive cittadinanze un appello alla solidarietà.
Quello agli abitanti di Verderio Inferiore era firmato del sindaco Gianfranco Gnecchi:
"VERDERIANI
Davanti allo spettacolo di,solidarietà che ci si presenta, in occasione della terribile inondazione che invade e distrugge abitati e campagne, cospargendo di miseria e di morte operose regioni della nostra ITALIA, sono certo che anche gli abitanti di Verderio non vorranno essere da meno dalla quasi totalità degli italiani.
Pertanto mi rivolgo a voi perché ognuno nella misura delle proprie possibilità voglia versare a favore degli alluvionati danari, indumenti o derrate".

L'appello alla solidarietà rivolto ai cittadini di Verderio Inferiore

L'appello terminava invitando a consegnare le offerte negli uffici comunali il martedì, il giovedì e il sabato e comunicava che per ogni offerta sarebbe stata rilasciata una regolare ricevuta

Il sindaco Giuseppe Cassago firmò l'appello agli abitanti di Verderio Superiore:
"VERDERESI
Un eccezionale maltempo ha imperversato su tutta l'Italia: intere regioni, prima la Calabria e la Sardegna, poi il Piemonte e la Lombardia, ora con disastrosa intensità il Polesine, sono state profondamente devastate.
Popolazioni legate da secoli alla loro terra fuggono disperate dinanzi all'infuriare della acque. Una pietà infinita sentiamo per questi nostri fratelli travolti nel vortice di tanta sventura.
Di fronte all'apocalittica vastità del disastro, il cuore degli italiani si stringe accanto alle popolazioni minacciate dalla più desolata delle povertà.
Da ogni parte giungono appelli: chi sollecita indumenti, chi chiede viveri, chi invoca aiuti. I bisogni sono tanti. HA BISOGNO DI TUTTO CHI SI TROVA A NON AVERE PIÙ NULLA"

L'appello agli abitanti di Verderio Superiore
A conclusione dell'appello l'invito a non essere da meno degli altri italiani e l'avviso che domenica 25 novembre  persone incaricate sarebbero passate nelle case a raccogliere denaro, indumenti e derrate.
Intanto il comitato provinciale aveva predisposto, presso il Consorzio Agrario Provinciale di Como, un magazzino verso il quale sarebbero dovuti confluire i capi di vestiario e i viveri raccolti nei diversi comuni. Le somme di denaro andavano invece versate su un conto corrente postale intestato al Comitato Provinciale "Pro Alluvionati". Per facilitare le operazioni di smistamento i comitati comunali vennero pregati di procedere, prima della consegna, ad un riordino ed una prima selezione del materiale, nonché, per evitare problemi di carattere igienico, ad "un minimo di pulizia" degli indumenti usati e della biancheria. Era inoltre richiesto una distinta, redatta in duplice copia, da presentare al momento della consegna.
Nei giorni seguenti, forse per la grande quantità di materiale raccolto, il Comitato Provinciale chiese ai comuni di accantonare momentaneamente quanto in loro possesso, in attesa che venisse loro comunicata la destinazione a cui inviare gli aiuti.
Il 5 dicembre il Comitato Comunale di Verderio Superiore consegnò quanto  avuto dai suoi cittadini. Erano tutti capi di vestiario che, nella distinta, furono suddivisi divisi fra quelli da uomo, da donna e da ragazzo e ragazza.

Distinta del materiale raccolto a Verderio Superiore
Allegata alla distinta una lettera di presentazione in cui veniva  indicata la somma di denaro versata sul conto postale: Lire 69.090.
Nella lettera veniva  anche specificato che,oltre a quanto ricevuto dal comitato comunale, bisognava tener conto delle offerte in denaro e in beni materiali pervenute a tre organizzazioni autonome.

Il denaro raccolto a Verderio Superiore


La parrocchia aveva ricevuto Lire 55.724. Di queste, 5724 erano state fatte confluire nel fondo del Comitato Comunale; 50.000, insieme a una "notevole quantità di indumenti" erano invece state versate direttamente alla Curia Arcivescovile di Milano.
La locale Cooperativa San Giuseppe, istituzione legata tradizionalmente ai partiti politici di sinistra (PCI e PSI), aveva raccolto Lire 75.000 che il suo presidente, Francesco Robbiati, versò alla Federazione delle Cooperative di Lecco.
Un'altra somma di denaro fu destinata alla Direzione Didattica di Merate dall' "Insegnante Capo Gruppo", signora Elisa Pirovano che l'aveva raccolta.
Fra i documenti conservati in archivio comunale riguardanti questo avvenimento , molti fogli, scritti a mano direttamene, così almeno sembra, dalle persone addette alla raccolta, contengono i nomi dei sottoscrittori e la specifica di quanto offerto: ci furono offerte direttamente in denaro, altre in indumenti altre ancora in frumento o granoturco. Per questi ultimi prodotti fu lasciata libertà ai comuni di decidere se consegnarli direttamente al comitato provinciale o se venderli a pubblica asta , per poi consegnare la somma ricavata: soluzione quest'ultima adottata dai due Verderio.
In un foglio separato, anch'esso scritto a mano, un elenco di sette operaie che donarono 1/2 giornata di lavoro.

Come dono mezza giornata di lavoro
Il 5 dicembre 1951, anche Verderio Inferiore consegnò quanto raccolto .

Distinta del materiale consegnato da Verderio Inferiore
La somma versata dal Comitato Comunale fu di Lire 213.655, comprendente le 30.000 lire che l'Amministrazione Comunale aveva deliberato di stanziare a favore degli alluvionati.

Il denaro raccolto a Verderio Inferiore

 Marco Bartesaghi
 
Tutti i documentiutilizzati per questo articolo, alcuni dei quali presentati direttamente, sono conservati presso gli archivi comunali di Verderio Inferiore e Superiore.
Notizie sull'alluvione in Polesine al seguente indirizzo:
 http://it.wikipedia.org/wiki/Alluvione_del_Polesine_del_novembre_1951

L'ALLUVIONE DEL POLESINE NEI RICORDI DI LEONARDO PAVIN di Marco Bartesaghi



"Affacciati alla ringhiera in cima al muraglione che fa da argine all'Adige, abbiamo visto quest'acqua venire avanti, perché si vedeva in lontananza, che veniva dal Po, che dista una cinquantina di chilometri. Era una cosa che faceva paura: io non me la sono mai dimenticata, ce l'ho ancora davanti agli occhi"






Era un bambino di sette anni Leonardo Pavin quando, nel novembre del 1951, l'acqua del Po, rotti gli argini, invase la campagna, arrivò fino al paese dove era nato e abitava e sommerse la sua casa.






"Sono nato a Cavarzere - racconta - l'ultimo paese della provincia di Venezia, al confine con quelle di Rovigo e Padova. Mio papà si chiamava Valentino, mia mamma Irma Bozzato: sono tutti e due sepolti qui a Verderio. Si erano conosciuti giovani, durante la guerra, per la quale, poi, lui era partito per star via due o tre anni (non lo so di preciso perché papà ha parlato pochissime volte della guerra: aveva un ricordo pessimo, soprattutto dell'Albania). È tornato a casa invalido, non per una ferita, ma perché ammalato ai polmoni: anche su suo interessamento all'ospedale del paese era stato aperto il sanatorio, che poi ha operato per una ventina d'anni, fino all'inizio degli anni settanta"
Marco (M) - Che lavoro facevano?
Leonardo (L) -Mamma da giovane era contadina, poi ha fatto la casalinga, anche perché, quando io e mio fratello gemello avevamo 4 anni, si è ammalata di scoliosi e, una volta ogni 6 o 7 o 8 mesi doveva andare in ospedale per circa quindici, venti giorni, un mese. Le avevano pure detto di non avere più figli, cosa che le era pesato tantissimo, così come a papà, perché ne avrebbero voluti altri.
M - Tuo papà invece?
L - Lavorava allo zuccherificio. In quegli anni, in Polesine, se ti andava bene, riuscivi a lavorare per sei, sette mesi all'anno. La baritazione delle barbabietole per fare lo zucchero incominciava a settembre (prima c'erano le squadre di manutenzione che dovevano preparare i vari reparti per dare inizio alla produzione) e finiva verso gennaio, febbraio. In questo periodo la fabbrica lavorava 24 ore al giorno, si facevano i turni, anche al sabato; la domenica no ma il sabato sì. I fortunati, alla fine del periodo di produzione,  venivano presi per le squadre di manutenzione e potevano lavorare ancora circa un mese, fino alla fine di marzo.
M - E riprendevano ...?
L - A settembre, a meno che fossero chiamati per la manutenzione preventiva e quindi cominciavano a luglio o agosto.




Cavarzere, novembre 1951. Soccorritori lecchesi all'opera (foto Galbusera) (1)
M - Che ruolo aveva tuo papà in fabbrica?
L - Era operaio, capo turno: aveva sotto di sé due o tre operai.
Poi qualche volta andava a lavorare in ferrovia, quando, nel periodo estivo, avevano bisogno di manodopera. Un anno aveva fatto caldissimo, fino a 40 gradi: veniva a casa che sembrava un africano, fra lo sporco e il sole ...
M - In che anni succedeva tutto questo?
L - Negli anni cinquanta e anche sessanta.
M - Parlami della vostra casa
L - Nel '49 - '50 a papà, in quanto invalido, era stata assegnata una casa dell'U.N.R.R.A. Prima però mi ricordo che abitavo a Boscochiaro, la frazione di Cavarzere sulla sponda sinistra dell'Adige, nella casa dei nonni materni (papà era invece della sponda destra, ma non ricordo di aver mai visto la sua casa e non so neanche in che paese fosse).
M  - Ma lì, nella casa dei nonni abitavi con il resto della tua famiglia?
L - Sì. Papà però me lo ricordo sì e no, perché era stato anche un po' in ospedale per la sua malattia. Poi, quando avevo cinque o sei anni, quindi nel '49 o '50, ci siamo trasferiti nelle case U:N:R:R:A a Cavarzere.
M - Com'erano queste case?
L - Erano formate da quattro appartamenti, due più grandi e due più piccole, disposti su due piani. Noi occupavamo uno di quelli grandi, a piano terra, con due camere, la sala, la cucina e il salotto. All'esterno avevamo a disposizione un pezzo di terreno in cui facevamo l'orto. Avevamo due piante di fico che, me lo ricordo ancora, facevano dei frutti dolcissimi. Mio fratello, a Cornate, ha piantato un pollone di quella pianta. Ne ho anch'io una qui a Verderio, ma non ha ancora fruttificato. Avevamo anche le galline: la sera le facevamo entrare in un contenitore di legno con una retina, che chiamavamo "caponata", e le mettevamo in casa. Alla mattina, la prima cosa che c'era da fare era liberare le galline nel pollaio, all'aperto dove avevano le cose da mangiare ... che poi le mangiavano anche i passerotti, i gatti eccetera ...
 
Cavrzere , 1951. Si caricano le masserizie su una barca
M - Nel 1951, a novembre, è arrivato l'alluvione
L - Era un periodo in cui pioveva molto. I tecnici si sono trovati nel dilemma di dove fare sfondare l'argine del Po - che dista da Cavarzere una cinquantina di chilometri. Il dilemma era se farlo rompere, nell'ansa che il fiume fa a Occhiobello, dalla parte dove scendeva con più forza, e quindi verso l'esterno della curva, oppure verso l'interno. Nel primo caso si sarebbe allagata Ferrara, che è li vicino. Hanno preferito rompere l'argine verso l'interno perché da questa parte c'era campagna, con paesini piccoli. Nessuno si aspettava che l'acqua sarebbe arrivata fino a Cavarzere. In quei giorni, per le case, ogni tanto  passavano dei camion a chiedere se si volevano portar via le masserizie, portarle non si sa dove, dovevi dirgli tu se avevi un parente a cui affidarle. I tecnici del comune, invece passavano a dire" non vi preoccupate, non portate via niente". Dicevano che l'acqua non sarebbe mai arrivata, o, al massimo, sarebbe riuscita a bagnare il terreno. Non avevano tenuto conto che Cavarzere è in una conca e  così tutto il villaggio U.N.R.R.A è stato sommerso fino al primo piano.
M - Allora la tua abitazione è stata sommersa completamente ...
L - Completamente da novembre fino ad aprile. L acqua è sempre stata li per tutto l'inverno. Ha cominciato a scendere all'inizio di marzo
M - ... allagata per quattro mesi ...
L - Sì. Papà è tornato dopo 15 giorni, per vedere se c'era qualcosa da salvare, perché, venendo via, non aveva preso niente se non una sveglia mettendosela in tasca; una sveglietta che ho ancora qui a casa.
M -  Risultato?
L - Niente, aveva visto che non era possibile tirar su niente.
Papà aveva fatto parte delle squadre di soccorso che andavano in giro in barca per vedere se c'era qualcuno che aveva bisogno e, soprattutto, che non ci fossero ladri ad approfittare  della situazione: c'erano in giro dei personaggi poco raccomandabili, fra cui uno che abitava accanto a noi, che continuavano a cantare "Occhiobello non ti chiudere" perché in quella maniera loro potevano andare per le case a rubare. Erano case appena costruite, appena arredate: tutta roba nuova.
M - Quando l'acqua se n' è andata cosa è rimasto?
L - Circa un metro, un metro e venti, mi diceva papà, di melma, palta, fango: di tutto c'era in casa.
M - Però, prima che l'acqua raggiungesse la vostra casa,  voi siete andati via ...
L - Sì, l'abbiamo chiusa e siamo andati dai parenti che erano dall'altra parte dell'Adige.
M - Ma perché avete deciso di partire, nonostante vi dicessero di star tranquilli?
L - No, no: una mattina sono passati i tecnici e ci hanno detto di scappare, chiudere e andare. Ma di non portar via niente perché di acqua ne sarebbe arrivata al massimo un cinque centimetri. Intanto avevano cominciato ad alzare il tiro: prima dicevano che sarebbe arrivata al massimo a bagnare il pavimento, poi di giorno in giorno aumentavano.
Perché non la puoi fermare l'acqua, l'acqua deve fare livello. Il fuoco in qualche modo lo spegni, ma l'acqua deve arrivare a fermarsi da sola. E man mano che veniva avanti portava alberi, case che non erano riuscite a stare in piedi, animali, camion, gente: ci sono stati anche tanti morti nell'alluvione ...
M - E quindi siete andati via ...
L - ... siamo andati via: avremo fatto 400 500 metri, che era il percorso per arrivare al muraglione dell'Adige, al centro del paese (il duomo di Cavarzere è confinante con l'argine dell'Adige. Durante l'ultima guerra, nel '44 '45, quando i tedeschi si ritiravano verso la Germania, è stato completamente abbattuto: era rimasto in piedi soltanto il campanile, che era stato solo sbrecciato, e una parte del municipio lì accanto. Finita la guerra Monsignor Scarpa, nativo di Chioggia o di Sottomarina, da quelle parti lì insomma, aveva voluto che il duomo fosse ricostruito com'era prima. Però l'hanno rovesciato: dove c'era l'abside hanno messo l'entrata che prima era rivolta verso il muraglione dell'Adige) ai piedi del muraglione ci siamo arrivati in dieci minuti (lì l'acqua ha bagnato appena appena il terreno) abbiamo salito le tre rampe di scale (il muraglione sarà alto dieci - undici metri) e una volta su ci siamo affacciati alla ringhiera (perché c'è una strada sopra il muraglione) e abbiamo visto quest'acqua venire avanti, perché si vedeva in lontananza che arrivava dal Po, che dista una cinquantina di Km in linea d'aria e si vedeva proprio quest'onda venire avanti, ma era una cosa che faceva paura. Io non me la sono mai dimenticata, ce l'ho ancora davanti agli occhi, e allora avevo sette anni.
 
Cavarzere 1951. Una veduta dall'argine dell'Adige (foto Galbusera)
M - Da lì dove siete andati?
L - Sono  venuti a prenderci gli zii che abitavano a Boscochiaro, quindi aldilà dell'Adige, e siamo stati a casa loro per un giorno o due. Poi noi ragazzi, tutti i ragazzi, per non perdere l'anno scolastico, siamo stati sfollati a Ca' Roman, una lingua di terra, una penisola diciamo, davanti a Chioggia. Siamo stati ospiti delle suore Canossiane, che ci hanno fatto scuola
M - Solo voi bambini?
L - Sì. I genitori li abbiamo rivisti ad aprile, maggio, quando, finita la scuola, siamo tornati a casa. Nel frattempo loro l'avevano pulita e disinfettata: c' era un'umidità che faceva paura. Avevano comprato i letti nuovi. Il divano invece sarà arrivato nel '53 - '54.
M - I danni materiali per voi sono stati pesanti?..
L - L'alluvione ci ha portato via tutto, tutto, abbiamo perso tutto. Della biancheria mamma ha salvato qualche lenzuolo. E poi i danni materiali ce li siamo dovuti subire noi, non c'è stato nessun soccorso dello stato o del comune. Non c'era la protezione civile o le sovvenzioni statali o comunali c'era niente di niente. Ognuno si è arrangiato per conto proprio. Papà ha approfittato per cambiare la disposizione dei locali dell'appartamento e ha fatto un corridoio, che prima non c'era, perché non gli andava di entrare direttamente nel salotto.
M - Comunque siete tornati a vivere nella vostra casa. Ti risulta invece che altri non siano tornati?
L - Per me sono tornati tutti: i ragazzi che c'erano prima c'erano anche dopo. Quelli con cui ho passato i mesi tra la fine del 51 e l'inizio del 52, l'anno a ca' Roman.  Ho un bellissimo ricordo di quel anno scolastico : ne abbiamo combinata una per colore. Eravamo ragazzini, non avevamo i genitori, c'erano le suore. C'era una bella spiaggia e mi ricordo che andavamo a pescare: ero piccolo però i ricordi li ho ancora, hai capito? Quando è cominciato il periodo delle ferie, il periodo estivo, c'erano tanti ospiti che arrivavano, per cui i bambini li hanno smaltiti il prima possibile, li hanno rimandati a casa.
M - Ci sei tornato?
L - Ci sono tornato dopo anni, perché avevo lì una zia suora , suor Ilde, che poi è morta. Quindi siamo andati due o tre volte a trovarla.
M - Quali cicatrici ha lasciato l'alluvione sui tuoi genitori e su voi figli dal punto di vista psicologico, sul modo di affrontare la vita?
L - Sul modo di affrontare la vita penso che non abbia lasciato strascichi, se non che ci ha incentivato a fare, perché noi veneti non abbiamo paura. Prima magari ci lasciamo abbattere ma poi reagiamo. Però dal punto di vista psicologico penso che uno strascico sia rimasto: io ho una paura folle dell'acqua, ancora adesso.
 
Cavarzere 1951. Una barca di lecco in arrivo: la si riconosce dai remi lunghi
M - Paura dell'acqua in che senso?
L - Quando piove in continuazione, per un po' di giorni, non è che io riviva psicologicamente quel periodo, però nel subconscio sento che c'è ancora questo terrore dell'acqua. Del fuoco non ho paura, perché non ho mai avuto problemi col fuoco .... E pensare che, guarda caso, proprio a casa mia, anche se è posizionata nel punto più alto di Verderio, quando piove viene fuori la fogna che invade il marciapiede, qualche volta entra in casa oppure esce dallo scarico della doccia. È un'ignominia!. Questa cosa mettila sul blog, perché proprio merita: sono anni che mi lamento!
M - Sai nuotare?
L - Nuotare ... non ho mai fatto corsi di nuoto, nuoto così ...
M - non hai paura quando entri in acqua?
L - No, finché mi arriva alla cintola ... anche al petto mi può arrivare ... dopo comincia ad andar male. I miei figli hanno imparato a nuotare  e via dicendo. Io però no, non la vivo ancora bene la faccenda.
M - L' "alluvione" è stato presente spesso nelle conversazioni in famiglia?
L - Non abbiamo quasi mai parlato, negli anni successivi, di quello che era successo
M - Come mai?
L - Perché papà e mamma erano gente che non si girava indietro, che andava avanti. Adesso continuiamo a piangerci addosso, in questo periodo soprattutto ... Ci pensavo in questi giorni: lui, il papà, se lavorava sei o sette mesi all'anno era tanto. Si andava a fare la spesa con il libretto, quando arrivava la paga si distribuiva nei vari negozi. Praticamente non rimaneva niente, non saldavi neanche il debito ... un pochino alla volta lo saldavi, ecco    hai capito?. Quando compravi qualcosa lo compravi sempre a rate. Adesso se non si ha tutto non si sa come fare a vivere ... siamo pieni di cose superflue. E il bello è che per l'economia dovremmo averne ancora di più, ah, ah, mi vien da ridere ... lo sviluppo!!! È un modo di vivere che è assurdo. Uno non può comprare continuamente perché altrimenti l'azienda chiude. E' un'economia sbagliata, completamente cannata. Se noi andassimo avanti solamente con le cose essenziali .... Vestiti? Avevamo il vestito della festa che bene o male rimaneva sempre intatto, pulito, si adoperava il meno possibile: quando si tornava a casa da Messa lo si cambiava subito perché se no si rovinava. Poi quando era rovinato o lo si girava, lo si rivoltava ... i famosi cappotti rivoltati li ho vissuti anch'io e non è che mi vergogno. E poi c'era il vestito, diciamo da lavoro. Mamma mi ha sempre detto: "sporco no ma rattoppato sì", hai capito?. Settimana scorsa, o dieci giorni fa, ho messo un gilè che avrà trent'anni, non ne ha di  meno, e mi andava benissimo. Al piedibus mi dicevano:  "Ma come sei elegante questa mattina". "Ma guarda che ha trent'anni" "Ma va?" è così, è così, ma perché dovrei buttarlo via ... In questi giorni, per lavorare in casa, metto i pantaloni di mio padre e sono ancora belli e mio nipote mi dice ma che elegante che sei oggi nonno, perché erano pantaloni che avevano le pences, a lui piacevano i pantaloni con le pences.
Allora ti dicevo i genitori non si guardavano indietro, non si piangevano addosso, si scrollavano le difficoltà e continuavano a correre
M - E tu, ai tuoi figli, hai mai parlato dell'alluvione?
L - No, non se ne è mai parlato. Penso che il Polesine abbia chiuso quella pagina lì dimenticandola, rimuovendola.
M - Quindi, secondo te, è una rimozione che non riguarda solo la tua famiglia?
L - No, no tutti praticamente Molti negli anni successivi, negli anni sessanta, sono partiti dal Polesine. I primi sono andati in Piemonte: quelli che riuscivano a trovare impiego in FIAT erano i più fortunati. Quando il Piemonte non riceveva più sono finiti in Lombardia. Io ho avuto dei parenti che sono andati in Piemonte, che vuol dire sia a Torino in fabbrica, sia in provincia di Vercelli a far campagna ...
M - Parli di gente della tua generazione o di quella dei tuoi genitori?
L - Quella dei miei genitori; poi siamo partiti anche noi. I miei genitori sono sempre rimasti là, ma io e mio fratello abbiamo cercato lavoro qui perché in Veneto non c'era niente. Negli anni settanta, quando io sono venuto a Milano, non c'era lavoro in Veneto, niente.
M - Sei partito dopo le scuole?
L - Per studio - elementari, ginnasio, liceo e università - ho girato quasi tutto il Veneto. Mi sono laureato sia a Venezia che a Roma però, per trovare lavoro, son dovuto venire e Milano. Ho avuto la grazia di poter partecipare a un corso presso la Honeiwell. Sono entrato di straforo, perché figlio di invalido di guerra, anche se avevo più dell'età consentita
M - Che tipo di corso?
L - Di informatica. La Honeiwell era la concorrente dell'IBM, la seconda al mondo. Si facevano i grandi calcolatori, i macrocalcolatori: i personal non c'erano ancora e quando sono arrivati hanno mandato in crisi sia la IBM che la Honeiwell. Siamo stati due  mesi a fare il corso come programmatori di calcolatori; eravamo in 24, scelti, in tutta Italia, dopo aver fatto dei test attitudinali. Ogni 15 giorni c'era un esame, chi passava andava avanti nel corso, chi non passava tornava a casa. Ci hanno preso in nove a Milano, uno lo hanno mandato a Torino, uno a Udine, eccetera.
M - Tu eri laureato in lettere?
L - Ero laureato in filosofia. Si era negli anni settanta. Sono stato assunto alla fine del corso e mi hanno messo a programmare a Milano. L'anno successivo, ho conosciuto mia moglie, durante le ferie: dovevo partire per il mare, un contrattempo, non c'era più posto al mare, sono andato in montagna e lì l'ho conosciuta. Qualche anno dopo, finito il militare, ci siamo sposati
M - E a Verderio come sei capitato?
L - A Milano, dove abitavamo ed avevamo fra l'altro avuto lo sfratto, non volevamo più stare, per l'inquinamento, quello atmosferico, ma soprattutto quello acustico, e anche perché costava troppo. Siamo usciti a vedere e abbiamo cercato a Camparada, poi ci siamo spinti un po' più in qua, siamo arrivati a Verderio. Ho trovato il Tarcisio ...
M - Toh, che caso...
L - Sì, il primo personaggio che ho conosciuto a Verderio è stato Tarcisio Sala. Io chiedevo in giro se c'erano case, o in affitto o da comprare e tutti mi indirizzavano a lui. Attraverso lui ho conosciuto Antonio Sala, capomastro, una persona di cui ho avuto grandissima stima, che mi ha venduto la casa dove abito. Così sono finito qui. Poi c'era anche il fatto che mio fratello abitava a Cornate e quindi saremmo stati più vicini.
M - Che anno era?
L - 24 anni fa credo, quindi nel 1988. Però lavoravo ancora alla Honeiwell a Borgolombardo, e la strada era lunga e trafficata, sia al mattino che alla sera. Un fornitore della Honeiwelll era la CSI, una fabbrica di Verderio Inferiore che produceva dischi fissi per computer. Il titolare, figlio del direttore generale della Honeiwell Italia, l'ingegner, Peretti, mi  ha chiesto se potevo venire a lavorare con lui qui a Verderio. Mi ricordo che quando sono arrivato eravamo in nove, e quando sono andato in pensione in 400.
M - Poi però la ditta, che si era intanto trasferita da Verderio a Sulbiate, ha chiuso.
L - Avevamo cominciato da qualche anno a  produrre prima i floppy poi i CD e i DVD. Per un po' è andata bene e l'azienda si è sviluppata. Poi le tasse messe sui dischetti, sui cd  e i dvd erano più di quello che si spendeva di materiale. Non si riusciva più a starci dentro. Più si produceva più si perdeva. La CSI ha chiuso con ordini di milioni di pezzi. Era anche il periodo in cui non erano i costruttori a stabilire i prezzi ma la grande distribuzione. Il supermercato tale stabilisce il prezzo: fa una gara, chi vince prende l'ordinativo, hai capito? Da quando in India si è fatto avanti qualcuno che era dieci volte più grande di noi (e noi eravamo l'azienda più grossa di tutta l'Europa) abbiamo dovuto per forza soccombere.
M - Hai lasciato il Polesine, ma hai mantenuto un legame con quella terra?
L - Sì, finché i miei genitori son rimasti là. Poi, quando 22 anni fa è morto papà e la mamma si è trasferita qui, prima da noi e poi all'Istituto Frisia, il legame si è un po' allentato. L'ultima volta sono andato l'anno scorso, a trovare uno zio, l'ultimo che mi è rimasto, uno zio acquisito, marito della sorella di mia mamma, 97 anni. Appena mi ha visto ha detto : "ma varda ciò g'era un tocheto che non se se vedeva".

NOTA
(1) Tutte le immagini di Cavarzere di questo articolo sono tratte da "1951 lecco per il Polesine", Archivi di Lecco, N.4, ottobre - dicembre 1996.

"UNA VECCHIA ...GRANDE, COMPOSTA E SOLENNE,..." di Ugo Bartesaghi



In soccorso delle popolazioni alluvionate del Polesine, la mattina del17 novembre1951, partì da Lecco una colonna di autocarri che trasportavano quindici "batej", le barche dal fondo piatto usate per la pesca, accompagnate da17 barcaioli di Pescarenico. L'iniziativa era stata promossa dall'allora sindaco di Lecco Ugo Bartesaghi, che aderì alla richiesta del prefetto di Rovigo di inviare tutti i mezzi natanti disponibili. Il sindaco, che partì insieme ai pescatori e ad altri volontari, tenne nei giorni passati in Polesine un diario che la rivista Archivi di Lecco ha pubblicato nel 1996, in un numero completamente dedicato alla vicenda, intitolato"1951 Lecco per il Polesine allagato", curato da Carlo Panzeri.
Dal diario di Bartesaghi ho tratto questo brano che mi è sembrato particolarmente bello. M.B.


 UNA VECCHIA ... GRANDE, COMPOSTA E SOLENNE di Ugo Bartesaghi

Verso sera, però, una barca, molto più grossa delle nostre, arriva a Cavàrzere da Adria: il tragitto è effettuabile. In quella barca, uno degli spettacoli più commoventi visti in questi giorni: con tanti altri profughi seduta a poppa, sul fondo, una vecchia di forse più che ottant'anni, grande, composta e solenne, vestita di grandi abiti neri, con un nero scialle sulla testa, che scende ad avvolgerla, come l'immagine e la personificazione di quella terra desolata, straziata, sopraffatta, come la Madre di quella gente percossa e dispersa: non una parola, non un suono le esce dalle labbra, tenute strette da un dolore che è salito in lei come l'acqua, e la riempie, eppure non la spezza, più forte essendo l'animo di questa Madre che sembra antichissima; gli occhi soltanto sfogano la pietà immensa di questa tragedia, di cui essa è vittima e simbolo, gli occhi che devono essere buoni e dolci tanto, miti e profondi come la sapienza dei suoi anni longevi: danno un pianto lento e continuo che scende nelle rughe, che essa non deterge perché forse non lo sente: le par d'aver sempre pianto. Dinnanzi a lei, due figlie, già anziane, e grandi anch'esse, anch'esse tutte vestite di nero: si sono alzate in tutta la loro alta e forte figura, uguali, silenziose: ma dalle loro bocche semiaperte escono oppressi e strozzati sospiri, il loro pianto è come quello della madre, ma con una angoscia meno sepolta. Anch'essa, la Madre, s'alza, aiutata: scendono dalla barca, salgono lentissimamente la scala dell'argine: tutti si sono ritratti e si son fatti muti: il lutto di quelle terre e di quelle genti va con esse al suo crudo destino.

martedì 6 novembre 2012



AVVISO IMPORTANTE!!!
LA CONFERENZA :
"LA COLORATA LENTEZZA DELLE GALASSIE"
 IN PROGRAMMA PER VENERDI' 23 NOVEMBRE
SI TERRA' INVECE 
  VENERDI' 14 DICEMBRE

LETTERE DALLA RUSSIA DEL CAPORAL MAGGIORE AMBROGIO VILLA di Marco Bartesaghi

Il caporalmaggiore Ambrogio Villa, partito nel settembre del 1942 per la campagna di Russia, non è mai tornato a casa: è morto il 4 marzo 1943 nell'ospedale sovietico di Vol'sk dove, fatto prigioniero, era stato internato, perché ferito o malato.
Figlio di Angelo e di Francesca Motta, Ambrogio era nato il 14 ottobre 1921 a Verderio Superiore, dove abitava, in via Principale 5, sopra l'osteria (ora bar Sport) gestita dai suoi genitori (1). Aveva tre fratelli: Francesco, Luigi e Armando.
Ambrogio Villa in tenuta da calciatore
 
Sotto le armi era stato chiamato nel 1942. Dopo un periodo di addestramento a Besozzo, in provincia di Varese, in settembre era partito per la Russia, con il 3° Reggimento Bersaglieri.
Besozzo (VA), periodo di addestramento. Ambrogio è il primo in basso a sinistra
Un'altra foto di Besozzo. Ambrogio è il primo a destra.
LE LETTERE
Le lettere qui pubblicate sono conservate dal fratello minore di Ambrogio, Armando (2).
La prima è del 12 settembre 1942 , il momento della partenza per la Russia; l'ultima del 14 dicembre dello stesso anno.

Un documento della Presidenza del Consiglio, di cui parleremo più avanti (3), indica come data delle ultime notizie di Ambrogio il 19 dicembre 1942. Potrebbe quindi esserci stato un altro scritto oltre a quello del 14/12. Così sembrerebbe, anche da quanto affermato dal fratello Armando (4) secondo cui l'ultima lettera, arrivò la vigilia di Natale, e in essa Ambrogio ringraziava per le immaginette della Madonna da distribuire alla popolazione russa, argomento non trattato in nessuno dei testi qui trascritti.
 
Le parole di Ambrogio sono semplici, volte soprattutto a tranquillizzare i famigliari sul suo stato di salute e sul suo morale (sempre alto, se non altissimo: forse queste affermazioni servivano anche a tener buona la censura militare), a gioire e ringraziare per le cose ricevute, a esprimere qualche desiderio. In alcune traspare, mi sembra, il fastidio di non conoscere, se non all'ultimo momento, la propria destinazione e la nostalgia di alcune "cose" della vita quotidiana ("il nostro buon vino").
Leggiamole
Documento n. 1:  12 settembre 1942; cartolina; alla famiglia (5)
"Verona 12 . 9 .42
Carissima Mamma
Il viaggio spero che prosegua bene lasciando Verona ore 16 - Sabato vi saluto ciao abbracci Ambrogio"

Documento n. 2: 13 settembre 1942; cartolina; alla famiglia.
"Brennero li 13
Domenica ore 6 matt.
Lascio l'ultimo saluto dal suolo italiano.
Vostro figlio Ambrogio"

 

Documento n. 3: 18 settembre 1942; cartolina postale; al fratello Luigi (6)
"Carissimo Luigi
Dopo sei giornate di lungo cammino eccomi ora a te con questo mio breve scritto per farti sapere che già sono giunto in suolo Russo ma invece di fare il viaggio attraverso l'Ungheria e la Romania ci hanno portati attraverso la Germania la vecchia [Polonia] (7) ed ora si continua il viaggio in Russia avendo ancora parecchie centinaia di Km da fare per giungere al fronte che ancora non conosciamo sappiamo se sarà più verso il Caucaso oppure in direzione di Mosca nella cui direzione ora ci troviamo cioè a Miusk.
Durante il percorso passando per Varsavia e altri centri abbiamo potuto constatare gli effetti dell'avanzata tedesca osservando tutto ciò che rimane. Assicuro di star bene come spero di te. Ciao Tanti saluti Ambrogio (8)".
Luigi Villa, militare a Trieste come sergente istruttore


Documento n. 4: 25 settembre 1942; lettera; ai genitori
"Carissimi Genitori.
Eccomi di nuovo con questa lettera per darvi mie sempre buone notizie. Vi faccio sapere che dopo dodici giornate di viaggio mercoledì notte sono giunto al posto provvisoriamente assegnato e fino alla partenza per  la vera destinazione rimarremo attendati. Il viaggio è terminato bene e qui con la popolazione ci si trova assai bene.
Dovendo presto raggiungere la destinazione assegnata spero di trovare Giovanni Cassago e Mario Motta con Mapelli Mario e Rino trovandosi non tanto lontano da noi essendo passati di qua pochi giorni prima di noi.
Vi accerto che il morale e la salute sono sempre buone anzi buonissime come così spero di voi e famigliari tutti. Ancora non ho ricevuto vostre notizie  ma spero di averle presto e vi prego quando mi scrivete di mandarmi qualche medaglietta da regalare a questi poveri bambini  che tante ne cercano. Qui il freddo vi è solo verso sera fino al mattino poi in giornata vi è un bel sole disturbato però da un forte vento. Vi faccio pure sapere che verso le 5 - 6 qui è già sera mentre alle 4 del mattino abbiamo già il sole.
Vi prego di salutarmi i parenti la zia Natalina [Tagna] e pure i bambini. Tanti saluti e abbracci Ciao mamma e papà baci ciao Armando vostro Ambrogio.
Salutatemi Luigi e Francesco. Quando scrivete inviate pure busta con francobollo di L.1 (9)
Non stare a pensare Mamma io sto bene dicci al papà di curarsi (10)".


Documento n. 5: 17 ottobre 1942; cartolina postale; al fratello Luigi


"Carissimo fratello
Oggi stesso ricevetti il tuo scritto in data 13/9 nella quale con piacere vi trovai una graditissima tua foto. Apprendo pure con piacere che il cugino Nazzaro è venuto a trovarti. Riguardo al mio avvenire nulla si sa, si pensa che presto si dovrà andare in combattimento ma ancora non vi è il [principio] e ancora dalla linea ci troviamo a circa 20 Km accantonati in casa che non  sono altro che capanne con tetto di paglia e muri di sterco e fango. Riguardo alla mia salute tutto è ottimo e anche il morale è alto. Così spero di te e ti prego di non volerti mai [lamentare] perché alla vita militare si va di male in peggio. Sempre ti ricordo aff. Ambrogio (11)."

Documento n.6: 17 novembre 1942; cartolina postale; a Franco Salomoni (12)
 
Vengo con questo mio breve scritto  per fare a te e compagni auguri di una buona borghesia e di buone feste  [..] Franco assicuro di star bene ma qui sempre si soffre. Dunque speriamo di rivederci presto. Salutami Lina Sala e [...]
Sempre vi ricordo [...] aff. o Ambrogio

Documento n. 7: 23 novembre 1942; cartolina postale; ai genitori.
 
Angelo Villa e Francesca Motta, genitori di Ambrogio


"Fronte Russo. Scritta il 23/11/42. Spedita il 25/11/42
Carissimi Genitori
Mi scuserete di questo mio nuovo ritardo, ma che volete sono i continui spostamenti che sempre dobbiamo fare, ancora dopo due giorni di viaggio , sono in camion e spero per domani di essere a posto ma non sappiamo dove. Prima mi trovavo a pochi Km da un fronte e non so in quale ora ci portano.
Vi assicuro che la salute è sempre buona e morale alto, come spero di voi che sono parecchi giorni che non ricevo posta. Vi lascio il mio [...] saluto sperandovi bene. Tanti abbracci a te Mamma Papà e Armando Francesco. Saluti vostro aff. Ambrogio"

Documento n. 8: 27 novembre 1942; lettera; al fratello Francesco
 
"Carissimo Francesco
Dopo una decina di giorni che mi trovavo senza ricevere tue notizie e di famiglia proprio oggi ebbi due tue lettere in data 5 e 9 nov. Dalle quali con grande gioia godo moltissimo sapendoti in buona salute e così pure dei nostri cari parenti e la e la mamma e papa per i quali penso sempre e per loro tanto farei per assicurarli che io sto bene e che quindi non tanto stiano a pensare.
Caro Francesco vedo con piacere che tanto tieni alla promessa che presto andrai a trovare Luigi, quindi io spero che ve la passerete bene in buona compagnia e vi auguro quindi di divertirvi intanto che siete a tempo, e dico questo trovandomi ora pentito di aver passato quelle ultime mia giornate a casa troppo calme mentre avrei fatto meglio a divertirmi un poco e quanto desiderio avrei di provare un poco del nostro buon vino che da tanto non ne provo e sono costretto qui a bere l'acqua della neve sciolta perché ne teniamo [...] sporca per lavarci. Sono molto contento per il pacco che mi avete inviato e che spero in questi  giorni ricevere. Vi ringrazio tanto della roba di lana che mi avete inviato ma più ancora della marmellata e cioccolato, e sarebbero bastate qualche caramella e un poco di cognac per rendere completo il pacco, però non importa tutto va bene e come dice il proverbio meglio un uovo oggi che una gallina domani. Così vi parlo di questo perché mentre prima trovavo di che soddisfarmi ora sono proprio in una zona dove nulla esiste e quindi pensando ai bei giorni di casa, viene sempre il desiderio di quelle cose che spesso non si trovano, e questo lo potrai pure dire tu Francesco che così hai provato. Lascio tanti auguri e bacioni alla mamma e papa, Armando e a te, zia Assunta e Natalina abb. Ambrogio"

Documento n. 9: 7 dicembre 1942; lettera; ai genitori
"Carissimi genitori
Oggi stesso con grande mia gioia ricevetti il pacco da voi speditomi il giorno 14/11/42. Questo mio graditissimo pacco conteneva, n.4 fazzoletti un maglione nero 6 fogli e busta un poco di formaggio una scatola di sardine sott'olio e 4 cacciatori che con grande mio gusto li volli subito gustare.
Unito a questo vi stava pure n. 2 pacchetti nazionali 2 Macedonia e n. 1 di Africa.
Cara mamma non so come ringraziarti di questo tuo grande favore e soprattutto perché proprio mi arrivò il giorno stesso del mio onomastico.
Riguardo a quell'altro pacco ancora non l'ho ricevuto ma spero di averlo a giorni. Ti faccio sapere che senza accorgermi hanno spedito a casa un vaglia di £ 335 cosicché non essendo stato presente alla spedizione mi rimasero in tasca ancora soldi per un totale di £ 250 circa che vi farò pervenire in aggiunta al prossimo vaglia. Spero che quello di ottobre l'avrete ricevuto.
Cara mamma ora non altra novità tengo da dirti se non altro che posso confessare di essere molto contento del pacco che ho ricevuto e riguardo alla salute mia sempre è buona come desidero e auguro per la tua di papà e Francesco, Armando e fratelli tutti.
Spero che le feste di Natale la (13)"

Documento n. 10: 10 dicembre 1942; cartolina; agli zii (14)
cartolina agli zii
 
"Carissimi zii
Finalmente eccomi con questo mio scritto per accertarvi di sempre ricordarvi e accertarvi pure della mia ottima salute come auguro a voi. Tanti saluti e auguri inf. ti abbracci Ambrogio"

Documento n. 11: 14 dicembre 1942; lettera; ai genitori
 
"Carissimi genitori
Eccomi nuovamente con questo mio breve scritto per farvi finalmente certi che ieri sera ho ricevuto il pacco vostro speditomi in data 2/11/42.
Riguardo al contenuto vi era una scatola marmellata, due cioccolate, due buste lamette, 15 fogli e buste, una scarpetta, un paio guanti e passamontagna che come voi dite sono stati spediti da parte vostra, in più una pancera e paio di calze del Fascio femminile che già gli feci una lettera in ringraziamento.
Cara mamma mi parli di aver messo il mio gilè grigio, ma ho constatato che non si trovava e subito ho pensato che forse ti sarai dimenticata, ma non importa, anzi è meglio perché già ne tengo tanta e a sufficienza di roba.
Tanto sono stato contento per la roba che mi hai messo e ancor più per la carta da scrivere e la marmellata e cioccolato.
Ritorno dunque a ringraziarvi e a farvi certi della mia buona salute come desidero e spero di voi tutti e ancor più per il papà e te mamma.
Desidero cara Mamma che non stia a pensare che io sto bene come ti raccomando di non tanto preoccuparti di me.
Per caso aprissero ancora la spedizione dei pacchi fa il possibile di spedirmi non più roba da vestirmi ma bensì qualche cosa da mangiare che tanto ho voglia di provare qualche cosa che abitualmente a casa mi soddisfaceva.
Desidero sapere qualche cosa del cugino Mario che si trova in Africa, non temete fatemi tutto sapere.
Lascio tanti saluti a zia Natalina Assunta e zio Giovanni che sempre ricordo.
Lascio a voi tanti auguri e abbracci uniti da bacioni a Mamma e papà a Francesco e Armando.
Sempre vi ricordo vostro aff. mo Ambrogio"

LE RICERCHE
Per molti anni, finita la guerra, non si ebbero notizie di Ambrogio. Il 24 /12/1986, la Commissione Interministeriale Atti Giuridici Caduti di Guerra, dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (15), chiese al comando dei Carabinieri di Merate di indagare, presso il comune e la famiglia di Ambrogio Alessandro Villa, per sapere se questi avesse dato notizia di sé dopo il 19/12/1942, data della sua scomparsa secondo il "verbale di irreperibilità compilato dal Deposito del 3° Reggimento Bersaglieri". Scopo dell'inchiesta era quello di poter predisporre il verbale di scomparsa e di morte presunta, documento che fu redatto il 7 ottobre 1986 e comunicato alla famiglia e al comune di Verderio Superiore il 5 dicembre dello stesso anno (16).
Verbale di scomparsa di Ambrogio Villa. 5/12/1986

Per avere notizie sulla sorte di Ambrogio, i fratelli rimasti, Francesco e Armando, devono però attendere ancora molti anni: è necessario che prima cada l'Unione Sovietica.
Il 29 ottobre 1993 i famigliari di Ambrogio ricevono dal Ministero della Difesa una lettera (17) che recita:
"In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell'Europa dell'Est, è stato concluso, nel 1991, un accordo intergovernativo che ha dato la possibilità a questo Ministero della Difesa di consultare gli Archivi Segreti di Stato a Mosca ove è custodita la documentazione dei militari Italiani, catturati prigionieri, deceduti nei territori dell'ex U.R.S.S. nel corso della 2° Guerra Mondiale e considerati sino ad oggi Dispersi."
La lettera prosegue affermando che tali ricerche hanno permesso di scoprire che il Cap. Magg. VILLA Ambrogio, già dichiarato disperso, era stato catturato dalle Forze Armate Sovietiche e internato nell'ospedale di Vol'sk, una città della regione di Saratov (18), dove era deceduto il 4 marzo 1943.
La lettera prosegue mortificando la speranza che i resti del congiunto potessero tornare a casa:
"La speranza di poter recuperare e rimpatriare i "Resti Mortali" presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici hanno sepolto i nostri caduti in fosse comuni unitamente a quelli di altre nazionalità rendendo così impossibile l'identificazione."
e conclude:
"È comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una volta localizzate con precisione le aree di sepoltura, erigervi dei cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei nostri soldati."


Alla lettera erano allegate tre fotocopie di mappa, utili per individuare il luogo della morte.


Conoscere la sorte subita da Ambrogio era stato, per la sua famiglia, un desiderio di lungo corso. L'averla appresa però è stato, per il fratello Armando che me ne ha parlato, difficile e doloroso: l'idea che si erano fatti era che Ambrogio fosse caduto in combattimento. Sapere invece che la sua morte sia avvenuta in ospedale, per ferite o forse per malattia, lascia supporre che la sua sofferenza sia stata più lunga ed intensa.
NOTE
(1) Per ulteriori notizie sulla famiglia Villa vedi intervista ad Armando Villa su questo blog, sotto l'etichetta : "archivio Armando Villa"
(2) Vedi nota (1)
(3) Presidenza del Consiglio dei Ministri - Comm. Interministeriale Atti Giuridici Caduti in Guerra, Cap. Magg. VILLA Ambrogio Alessandro, Accertamenti per la redazione del verbale  di scomparsa e di morte presunta, 24/12/1985. Copia conservata in Arch. Armando Villa
(4) Vedi nota 1
(5) Lettere alla famiglia sono indirizzate a "Dist.. famiglia Villa Angelo, via Principale 5, Verderio Sup.".
(6) Le lettere al fratello Luigi sono indirizzate a "fante universitario Luigi Villa, 5° Batt. Universitario, 3° Compagnia, Villa Opicina, Trieste".
(7) Fra parentesi quadre le parole incerte.
(8) In un riquadro della cartolina Ambrogio scrive i propri "dati" militari: 3° Regg. Bersaglieri; 3° Batt. Camp.; 2 Comp P.M.124
(9) Queste due frasi sono scritte nell'angolo in alto a sinistra della prima facciata. Il testo è capovolto rispetto al resto della lettera.
(10) Frase scritta sul lato sinistro della prima facciata.
(11) Mittente: Cap. Mag. Villa Ambrogio, 3° Regg. Bersaglieri, Divisione Celere, 3 Batt. 2 Compagnia . [..]40
(12) Indirizzata a "Signor Salomoni Franco, piazza Roma, Verderio".
(13) La lettera si interrompe così. Probabilmente è stato smarrito il secondo foglio.
(14)  Indirizzata a "Dist. Famiglia Villa Giovanni, Cascina Provvidenza, Verderio Sup."
(15) Vedi nota (3)
(16)Presidenza del Consiglio dei Ministri - Comm. Interministeriale Atti Giuridici Caduti in Guerra, prot. n.73405/E/3, Trasmissione verbale di scomparsa e dichiarazione di morte N.18362 ST
(17) Ministero della Difesa - Dir. Gen. Leva - Reclutamento obbligatorio - Militarizzazione  Mobilitazione Civile e Corpi Ausiliari /à Divisione - Albo d'Oro , Prot.N.LEV-7^/252327/StC/URSS. Copia conservata in Arch. Armando Villa
(18) Notizie sulla città di Vol'sk e sulla regione di Saratov rispettivamente agli indirizzi: http://it.wikipedia.org/wiki/Vol%27sk e http://it.wikipedia.org/wiki/Oblast_di_Saratov

LE IMMAGINI DELLA PROPAGANDA E QUELLE DELLA REALTA' di Marco Bartesaghi

Le immagini a colori di questo articolo sono le cartoline inviate alla famiglia dal bersagliere Ambrogio Villa, morto in Russia il 4 marzo 1943.
Le fotografie sono invece immagini, trovate in rete, della ritirata dei soldati italiani dal fronte russo.

















I VERDERIESI NELLA COOPERATIVA DI COSTRUZIONI LAVORANTI MURATORI di Beniamino Colnaghi



Durante una delle chiacchierate che tengo periodicamente con Felice Colnaghi, sul tavolo, attorno al quale eravamo amabilmente seduti, oltre il caffè, preparato dalla sig.ra Agnese con una moka Bialetti, era posato un corposo volume bianco. La copertina era composta da una fotografia d’altri tempi che sfumava verso l’alto e da una scritta che formava un cerchio, al centro del quale faceva bella vista un numero di colore oro.


Per leggere tutto l'articolo vai al seguente indirizzo:

ANTICA STRADA DI COMUNICAZIONE DA MERATE A CALCO di Anselmo Brambilla


Fino al 1535 i viandanti che da Merate andavano verso Calco seguivano quella strada che attualmente dalla Rampina costeggia il parco delle piramidi e le colline dove sorge la villa dei Crespi, piegavano per Vizzago, poi, svoltando a sinistra, seguivano per un tratto quella che 
La chiesa del convento di Sabbioncello


attualmente e la provinciale fino alla salita di Sabbioncello, salivano al convento dove di solito si fermavano a pregare e, quelli che venivano da Milano, anche a riposare o dormire, e quindi proseguivano per Sartirana e Cassina San Martino.




La chiesa di Sartirana

Località Cassina Fra Martino
In questa località la strada si divideva: un tratto scendeva per la ripida riva del monte, riva del munt, verso l'isolato borgo di Arlate per proseguire poi verso Lecco; l'altro si staccava per proseguire poi a sinistra verso la cascina Grugana ( la villa Cavalli ora PIME ancora non 

San Martino
La villa del PIME

Strada Consortile per la Grugana

esisteva) e fiancheggiando l'insediamenti rurale del Caviggiolo - Cavigiöe- terminava a Calco Superiore presso la dimora dei Calchi (l'edificio in ristrutturazione perenne, posto all'interno della Vescogna). Era una strada comunale, cioè doveva essere mantenuta a spese dei comuni che attraversava.



Calco Superiore- Chiesetta dei santi Carlo e Maddalena e villa Calchi
Nel 1565 grazie all'interessamento della famiglia Calchi, sia di quelli residenti in Calco che quelli residenti in Sartirana, se ne aprì un'altra. Dal cimitero di Sartirana, o meglio all'altezza dell'attuale cimitero, si staccò un tratto di strada che salendo tortuosa verso ovest raggiungeva cascina  Ventola terminando alla Vescogna alla solita dimora dei Calchi.




Dalla Vescogna, attraverso la ripida strada della Selvetta si scendeva a Calco Inferiore dove la strada si divideva. Un tratto scendeva verso Pomeo, l'altra, quella che attualmente si chiama via Trento, già via del Pergolone, scendeva fino ad una selletta dove si incontrava il torrente Bebràa, superato il quale, a guado prima, su un ponticello poi, si risaliva verso la Grancia fino al piazzale della Chiesa. Proseguendo poi verso il Cornello e le Ripesecche, si arrivava ad Olgiate Molgora.

Significativa dello stato delle strade di un tempo la descrizione che ne da Ignazio Cantu:

" Una volta sempri nuovi disagi di via ! Stradicciuole selvagge, affondate, sassose, perdute fra le macchie, o rialzate o avvallate, o a schiena di cammello, non invogliavano dal viaggiare in quei tempi "(1)

...........................................

La conformazione ondulata del comune ha fatto sì che gli insediamenti abitativi si costituissero, sulle colline o nelle zone pianeggianti, prevalentemente in modo sparso. La tipologia prevalente delle abitazioni è quella di agglomerati abitativi, chiamati cascine, costruiti attorno o ai lati di cortili comuni.

Su un lato di questi cortili le case dove vivevano i contadini, sull'altro le stalle con al di sopra i fienili dove veniva posto il fieno utilizzato per alimentare gli animali in inverno. Torchio, forno per cuocere il pane, e pozzo o fontana per l'approvvigionamento dell'acqua, normalmente utilizzati in comune dagli abitanti della frazione completavano le disponibilità della cascina. 

In alcuni di questi agglomerati erano presenti anche le ville padronali con tutte le loro pertinenze, giardini, scuderie, oratori , e altro, ai quali i contadini dovevano badare per alcuni obblighi a cui erano contrattualmente legati. 

Il Caviggiolo Cavigiöe un tempo isolata località fra Grugana e Vescogna, in origine non era una tipica cascina brianzola con un cortile centrale e le abitazioni e stalle poste ai lati, ma un insieme di edifici fatti costruire dai Calchi per ospitarvi i loro cavalli e quelli che li accudivano, solo in epoca più recente i locali vennero trasformati in abitazioni rurali e abitate da contadini che svolgevano la loro attività al servizio comunque dei soliti padroni.

I primi insediamenti umani registrati nei documenti sono quelli di:

Vescogna - Vescùgna

Probabilmente il più antico insediamento del paese. La posizione dominante e la vicinanza del lago di Sartirana ne aiutarono il popolamento e lo sviluppo. Anche se finora non si sono trovate tracce, è pensabile che i primi insediamenti umani nel luogo risalgano a tempi molto remoti.

Notizie certe si hanno incominciando dall'anno mille con la presenza in loco di nobili famiglie: Calchi, Marliani, Porta e altri. Ebbe una certa notorietà e rilevanza durante il periodo della successione al Ducato di Milano, con le lotte tra Francesco Sforza e i Veneziani.


La Vescogna



La famiglia Calchi, composta da fedeli servitori dei Duchi di Milano, ebbe sempre una particolare attenzione e benevolenza per questo insediamento quasi tutto di sua proprietà. Pare che Tristano Calchi, poeta e scrittore appartenente a questa famiglia, soggiornasse frequentemente nella zona.

L'origine dello strano nome è sconosciuta, il Dozio lo dice di origine spagnola, ma da cosa lo deduca non lo specifica. Il nome Vascogna come si trova scritto nei documenti più antichi fa pensare, più che alla Spagna, alla francese Guascogna.  

Nota curiosa relazionata con la Grugana

Il 25/26/27 aprile  1799  le colline intorno alla Grugana (2) erano presidiate da reparti Francesi e furono teatro di scaramucce con i soldati Austriaci e Russi, che avevano traghettato al guado di Brivio e stavano dirigendosi verso Verderio dove il 28/4/ 1799 si svolse la famosa battaglia.

Ritirandosi dalle colline di Calco e Imbersago proseguendo per Verderio, i Francesi diedero prova di notevole disprezzo verso gi abitanti dei luoghi da cui transitavano. Significativa la descrizione che ne fa il  parroco di Robbiate Alessandro Villa (3)

"...certo che in quello scontro delle truppe francesi colle austro-russe, questa terricciola, come molte altre del dintorno, fu varie volte corsa e ricorsa da drappelli di soldati che alla spicciolata abbandonavansi a far preda e bottino, onde ancor funesta e spaventosa dura, fra questi terrieri, la memoria di quei giorni..."

Al quale si aggiunge lo sfogo del parroco (4) di Brianza (Nava) che riguardo al comportamento dei Francesi ribadisce alcuni aspetti negativi da loro tenuti:

"...Un triennio di guerra intensissima alla religione, ai costumi e alle proprietà portate qui dai Francesi, finalmente cacciati dopo una battaglia a Verderio e in quel di Brivio.. "






Roncaccio  - Runcasc
Situato nella zona alta di Calco verso la Grugana, deve il suo nome ai soliti ronchi molto più ripidi e impervi che altrove. Nel vallone sottostante questo nucleo, che si apre verso la Grugana, esisteva almeno fino al 1800 (5), una specie di laghetto, poi trasformatosi in palude, e successivamente stazione di pompaggio dell' ora dismesso oleodotto della Valtellina.

La palude del Roncaccio e della Grugana venne utilizzata per anni dagli abitanti di Calco ,  per approvvigionamento delle cannette usate per la coltivazione dei bachi da seta, e delle "lische" il carice per impagliare le sedie. 



Strada di Calco superiore e di Vescogna - Strada de Calch de völt e de Vescùgna

L'attuale via Giovanni Ghislanzoni  costruita, in sostituzione di quella della Selvetta, negli anni 1852/1853. Totalmente selciata nel 1856/1857 era a quel tempo (6) ritenuta una comoda, specialmente d'inverno, via di accesso a Vescogna e frazioni limitrofe.  Il nome è quello  di uno dei  più longevi sindaci di Calco, lo fu per circa 24 anni.



NOTE
(1) Descrizione delle strade meratesi e Brianzole - Ignazio Cantù 1837 - Memorie della Brianza e dei paesi circonvicini
(2) A.S.M. - Fondo Airoldi - cart. 75 - fasc. 11
(3) Per gentile concessione di Maria Fresoli in Codara di Robbiate che ringrazio sentitamente
(4) Archivio parrocchiale di San Michele Arcangelo di Nava - Liber Crhonicon  1795 - 1802
(5) ASCO - Catasto Cessato - Fogli  4 - Calco - Mappa 300
(6) ACC - Cartella delibere - Fascicolo 9-10


Anselmo Brambilla


Idee per una passeggiata. Marco Bartesaghi
Questo testo di Anselmo Brambilla,  mi è servito da spunto per una bella passeggiata in bicicletta, durata due o tre ore (vado piano e, con la scusa di fare fotografie, mi fermo spesso) con partenza da Verderio. Mi sono aiutato con due cartine: una topografica dell’Istituto Geografico Militare, del 1959, sulla quale molte strade attuali non esistono ed altre sono segnate come sentieri (a).



L’altra cartina l’ho estratta da “Atlante Como Lecco e 222 Comuni delle Province”, ECM (tav. 97 e 86).



Raggiunta Merate, utilizzando, quando possibile, gli spezzoni di piste ciclabili esistenti, ho cercato, il punto di partenza dell’itinerario, la “Rampina”, la prima località citata da Anselmo che, se non sbaglio, corrisponde al luogo dove sorge l’Istituto delle Dame Inglesi (via Monsignor Colombo). Poi ho imboccato via Monte Grappa, sono passato dietro il parco delle Piramidi, devastato  qualche anno fa da una tromba d’aria, sono salito al convento di Sabbioncello e , dopo aver transitato davanti alla villa dei Cedri – la villa Crespi del testo – ho proceduto speditamente fino a Sartirana (sorpresa: la chiesa progettata dall’architetto Botta e completata nel 1995 è già in restauro) e a Cassina Fra Martino. Da qui alla Grugana, dove c’è la villa del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), ci sono poche centinaia di metri (b).
Ai piedi del tronco di strada che termina all’ingresso della villa, come spiega bene Anselmo, partono due strade. Quella in direzione ovest, che ho imboccato, si chiama “Strada Consortile per la Grugana”, e porta a Calco alta, alla villa della famiglia Calchi con la chiesina dedicata a ….e, poco oltre, alla Vescogna.
Per proseguire l’itinerario sarei dovuto scendere a Calco Inferiore. Sono invece tornato alla Grugana e, prendendo la strada diretta ad est, la “riva del munt”in ripida discesa, tanto che sono sceso di sella, ho raggiuto Arlate e, ormai al buio, Verderio

NOTE
(a) Una chicca che a qualcuno può suscitare un po’ di nostalgia: sulla cartina che ho usato c’è il timbro: A.S.C.I – Lecco I°, l’associazione scout cattolici italiani (maschile), che nel 1974, fondendosi con l’A.G.I., associazione guide italiane (femminile) ha dato vita all’A.G.E.S.C.I.



(b) Anche qui ricordi scout: vari pernottamenti, più di trentacinque anni fa, quando l’edificio non era perfetto come oggi, ma aveva il fascino dell’abbandono