mercoledì 18 aprile 2012

DI ROBBIATE E SPECIALMENTE DEL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEL PIANTO di DON ALESSANDRO VILLA . Brani scelti a cura di Maria Fresoli

Nel 1848  don Alessandro Villa, nato a Robbiate il 23 marzo 1816 e al tempo coadiutore nella nostra parrocchia, diventa parroco di Robbiate.
Questo sacerdote, assai versato nelle scienze letterarie, ha lasciato numerosi Memoriali ed una bellissima pubblicazione sulla storia della Beata Vergine del Pianto, ricca di suggestive descrizioni, che rivela la sua anima poetica.
Don Villa diede avvio, all’inizio del 1873, al completamento del Santuario. Per tale opera furono spese 3.868 lire, tremila delle quali ricavate dalla vendita di un antico pizzo che ornava un camice custodito nel santuario.
Il prezioso merletto era stato donato due secoli prima (all’inizio dell’erezione) dalla contessa Visconti Borromeo, moglie del conte Corio. Nel settembre dello stesso anno, al termine dei lavori, don Alessandro diede alle stampe l'opuscoletto: "DI ROBBIATE E SPECIALMENTE DEL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEL PIANTO scritto di propria mano, in cui raccontò in modo mirabile le origini della nostra chiesina, e che qui riproponiamo parzialmente (1).
Maria Fresoli




Don Alessandro Villa
DI ROBBIATE
e specialmente
DEL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE
DEL PIANTO
Notizie

...Adunque fra Robbiate e Terzuolo, con piccola divergenza verso ponente e quasi equidistanza dalle due terre sopra un muricciolo di cinta eravi una semplice immagine della Vergine Madre rappresentata all’atto che teneva in grembo la salma divina diGesù Cristo pur mo calata dalla croce, e ciò in mezzo a due altre figure, cioè da un lato l'effigie di S.Carlo, e dall'altra quella di S.Francesco.

Affresco "Madonna del Pianto" - Conservato presso l'Oratorio
Maschile.
Chi fosse l'autore del dipinto e per cui ordine venisse eseguito e in qual anno, precisamente non consta; ma è certo che il muricciolo su cui sorgeva la sua immagine allorché si segnalò la sua venerazione, formava parte del recinto che chiudeva la vigna del conte Carlo Corio, allora R.Feudatario di questa comunità di Robbiate, senatore ed uno de’ sessanta Decurioni di Milano. Questo fondo medesimo ancora sotto il nome di "Vigna Chiusa" è ora posseduto dalla nobile casa Fumagalli. Il dipinto per sé non aveva alcun pregio d'arte che lo rendesse insigne; ma sbiadito lavoro di volgare pennello, formava col rozzo contorno a mattoni una semplice campestre cappelletta.
Ma non è la magnificenza dell'arte né la sontuosità dell'ornato, sibbene la fede del divoti e l'arcano beneplacito di Dio che possono render miracolosa un'immagine. Il perché non deve far sorpresa se dapprima alcuni pochi, spinti da particolare ispirazione si recassero a pregare alla solitaria cappelletta la Madre delle grazie; quindi lieti dell'ottenuta mercé si facessero per riconoscenza, preconizzatori dello speciale favore con cui d'innanzi a quell'immagine la Regina del cielo esaudiva i preganti; con ciò se ne diffondesse la fama, crescesse l'accorrere de’ divoti, se ne rinfocolasse la pietà, e la preghiera animata di maggior fiducia, diventando più efficace, diventasse altresì alla sua volta, fornite più potente di più estesa devozione.
Imperocchè (lo notiam di passata) è questo il gran vantaggio del Santuari e, se oso così dire, il segreto di loro viva efficacia: in essi la viva memoria del tanto prodigio operato, la profonda impressione che riceviamo da que’luoghi, da quelle pietre, da quelle immagini da que’trofei, da que’tanti monumenti che ci schierano alla mente i tanti che colà pregarono e furono esauditi, ci risveglia la fede, ci dilata il cuore, ci solleva a speranza, e quindi ci mette nella miglior disposizione a prorompere in quella preghiera che fa a Dio una tenera violenza...
Tornando alla piccola Cappelletta che formò il primo nucleo del nostro Santuario, si trova che fu negli anni 1669 e 1670 che si segnalarono le più frequenti e straordinarie grazie quivi compartite per intercessione di Maria SS. invocata alla sua Immagine del Pianto. E quantunque siamo ben persuasi che, dove manchi il suggello e l'autorità della Chiesa non si può dare un valore di assolutì miracoli e fatti comunque ci sembrino prodigiosi e d'altronde constatati: ciò nulla ostante l'animo è commosso a religiosa ammirazione in leggere le tante memorie di strepitose guarigioni in quel tempo, di cui ebbe a tesserne un lungo catalogo il pio rettore della Parrocchia, in allora Filippo Micheli; catalogo steso col candore della più intima persuasione, e colla franchezza di chi non teme smentita, precisando i fatti, esponendo le circostanze, indicando i nomi tanto delle persone graziate, come de’ molti testimoni oculari.
La contemporaneità del relatore, de’ fatti, de’ testimoni, la coincidenza di tanti singolari casi, in così breve periodo di tempo se non bastano a quel pieno assenso che costituisce la fede, sono più che sufficienti a quella pia credenza che sostiene la fiducia. Evvi poi un fatto indubitato che emerge per così dire dal seno di tutti gli altri e di cui per avventura fu causa o conseguenza; voglio dire la fidente devozione, la pia ressa, l'accorrere da tutti questi contorni, ed anche da luoghi lontani, alla miracolosa Cappelletta tanto che in breve tempo, cioè nell'anno stesso 1669, si ebbe a raccogliere in spontanee offerte la somma di lire tremila; somma abbastanza considerevole se si abbia riguardo al tempo ed al relativo valore del numerario.
Queste straordinarie offerte determinarono il parroco ed il popolo di Robbiate ad incarnare un'idea che forse già da tempo covava negli animi, cioè di far sorgere un tempio al culto di Maria Vergine dove trovavasi l'umile tabernacoletto. Dissi che una tal idea forse già da tempo dominava negli animi; perché, infatti, troviamo che il succitato conte Senatore Carlo Corio, partecipando col Comune alla molta devozione verso la benedetta Effigie, nella sua morte aveva disposto che volendo la comunità fabbricare una Chiesa in quel luogo, fossero tenuti i suoi eredi a dare tutto il sito bisognevole.
Valendosi perciò di tal disposizione, col fondo delle già fatte offerte, e speranzosi di sempre maggiori, attesa la crescente affluenza del devoti, i parrocchiani si accinsero alla grande impresa con quel sacro entusiasmo, che non conosce i freddi calcoli dell'umana prudenza, ma tutto spera ed ardisce perché nel proprio magnanimo sentimento ascolta una voce di Dio.
A questa nobile ispirazione si devono tutte quelle grandi fondazioni, tutti que’giganteschi Santuari, che colle loro moli colossali, colle vaste cupole, colle numerose guglie slanciatesi al cielo, contano i secoli, e tuttavia ci lasciano attoniti, e (diciamolo ancora) tarpano l'orgoglio alla generazione stessa che ha traforato il Cenisio, e tagliato l'istmo di Suez.
Ebbero adunque da un architetto, certamente del più distinti di quell'età, il disegno di un tempio che ci lascia tanto più dolenti che sia rimasto incompiuto, quanto più ne ammiriamo la peregrinità del concetto, l'euritmia delle parti e l'eleganza della forma. Chi guardi lo schizzo iconografico, che, trovato nell'archivio domestico della nobile Casa Fumagalli, per la costei cortesia possiamo presentare, vedrà come l'ampio coro, il presbiterio di forma ellitica, e l'ottagonale navata, si riunivano mediante acconce articolazioni in un vago e maestoso corpo di Chiesa.
L'architettura in que’tempi era certamente sul declino, e dalla sublime semplicità a cui l'avevano portata i geni dell'età precedente, già degenerava in quelle esagerazioni e in quelli artifiziamenti capricciosi che noi conosciamo sotto il nome di stile barocco Ma non è la magnificenza dell'arte né la sontuosità dell'ornato, sibbene la fede del divoti e l'arcano beneplacito di Dio che possono render miracolosa un'immagine. Il perché non deve far sorpresa se dapprima alcuni pochi, spinti da particolare ispirazione si recassero a pregare alla solitaria cappelletta la Madre delle grazie; quindi lieti dell'ottenuta mercé si facessero per riconoscenza, preconizzatori dello speciale favore con cui d'innanzi a quell'immagine la Regina del cielo esaudiva i preganti; con ciò se ne diffondesse la fama, crescesse l'accorrere de’ divoti, se ne rinfocolasse la pietà, e la preghiera animata di maggior fiducia, diventando più efficace, diventasse altresì alla sua volta, fornite più potente di più estesa devozione.
Imperocchè (lo notiam di passata) è questo il gran vantaggio del Santuari e, se oso così dire, il segreto di loro viva efficacia: in essi la viva memoria del tanto prodigio operato, la profonda impressione che riceviamo da que’luoghi, da quelle pietre, da quelle immagini da que’trofei, da que’tanti monumenti che ci schierano alla mente i tanti che colà pregarono  e furono esauditi, ci risveglia la fede, ci dilata il cuore, ci solleva a speranza, e quindi ci mette nella miglior disposizione a prorompere in quella preghiera che fa a Dio una tenera violenza...
Tornando alla piccola Cappelletta che formò il primo nucleo del nostro Santuario, si trova che fu negli anni 1669 e 1670 che si segnalarono le più frequenti e straordinarie grazie quivi compartite per intercessione di Maria SS. invocata alla sua Immagine del Pianto. E quantunque siamo ben persuasi che, dove manchi il suggello e l'autorità della Chiesa non si può dare un valore di assolutì miracoli e fatti comunque ci sembrino prodigiosi e d'altronde constatati: ciò nulla ostante l'animo è commosso a religiosa ammirazione in leggere le tante memorie di strepitose guarigioni in quel tempo, di cui ebbe a tesserne un lungo catalogo il pio rettore della Parrocchia, in allora Filippo Micheli; catalogo steso col candore della più intima persuasione, e colla franchezza di chi non teme smentita, precisando i fatti, esponendo le circostanze, indicando i nomi tanto delle persone graziate, come de’ molti testimoni oculari.
La contemporaneità del relatore, de’ fatti, de’ testimoni, la coincidenza di tanti singolari casi, in così breve periodo di tempo se non bastano a quel pieno assenso che costituisce la fede, sono più che sufficienti a quella pia credenza che sostiene la fiducia. Evvi poi un fatto indubitato che emerge per così dire dal seno di tutti gli altri e di cui per avventura fu causa o conseguenza; voglio dire la fidente devozione, la pia ressa, l'accorrere da tutti questi contorni, ed anche da luoghi lontani, alla miracolosa Cappelletta tanto che in breve tempo, cioè nell'anno stesso 1669, si ebbe a raccogliere in spontanee offerte la somma di lire tremila; somma abbastanza considerevole se si abbia riguardo al tempo ed al relativo valore del numerario.
Queste straordinarie offerte determinarono il parroco ed il popolo di Robbiate ad incarnare un'idea che forse già da tempo covava negli animi, cioè di far sorgere un tempio al culto di Maria Vergine dove trovavasi l'umile tabernacoletto. Dissi che una tal idea forse già da tempo dominava negli animi; perché, infatti, troviamo che il succitato conte Senatore Carlo Corio, partecipando col Comune alla molta devozione verso la enedetta Effigie, nella sua morte aveva disposto che volendo la comunità fabbricare una Chiesa in quel luogo, fossero tenuti i suoi eredi a dare tutto il sito bisognevole.
Valendosi perciò di tal disposizione, col fondo delle già fatte offerte, e speranzosi di sempre maggiori, attesa la crescente affluenza del devoti, i parrocchiani si accinsero alla grande impresa con quel sacro entusiasmo, che non conosce i freddi calcoli dell'umana prudenza, ma tutto spera ed ardisce perché nel proprio magnanimo sentimento ascolta una voce di Dio.
A questa nobile ispirazione si devono tutte quelle grandi fondazioni, tutti que’giganteschi Santuari, che colle loro moli colossali, colle vaste cupole, colle numerose guglie slanciatesi al cielo, contano i secoli, e tuttavia ci lasciano attoniti, e (diciamolo ancora) tarpano l'orgoglio alla generazione stessa che ha traforato il Cenisio, e tagliato l'istmo di Suez.
Ebbero adunque da un architetto, certamente del più distinti di quell'età, il disegno di un tempio che ci lascia tanto più dolenti che sia rimasto incompiuto, quanto più ne ammiriamo la peregrinità del concetto, l'euritmia delle parti e l'eleganza della forma.
Chi guardi lo schizzo iconografico, che, trovato nell'archivio domestico della nobile Casa Fumagalli, per la costei cortesia possiamo presentare, vedrà come l'ampio coro, il presbiterio di forma ellitica, e l'ottagonale navata, si riunivano mediante acconce articolazioni in un vago e maestoso corpo di Chiesa.
L'architettura in que’tempi era certamente sul declino, e dalla sublime semplicità a cui l'avevano portata i geni dell'età precedente, già degenerava in quelle esagerazioni e in quelli artifiziamenti capricciosi che noi conosciamo sotto il nome di stile barocco.


Progetto originario dell’altare
(archivio privato Brugnatelli)
Ma fortunatamente questa viziatura, a riguardo del nostro tempio, si limitò agli ornati ed agli accessori, ritenendo nel complesso le maestose curve e le semplici lenee di uno stile abbastanza puro. Presentato il disegno all'approvazione dell'ecclesiastica Autorità, e quindi da quella avuta l'opportuna facoltà di costruire la bramata Chiesa; come da Rescritto Curiale 28 Aprile 1670, si diedero i parrocchiani all'esecuzione con si unanime concorso di opera, con sì mirabile fervore di anime, con sì pertinaci sforzi e generosità di sacrifici, che in poco più di un anno, cioè alla fine del 1671, avevano già eretta e fornita quella parte della Chiesa che finora esistette col suo altare alzato precisamente intorno alla venerata effigie, fabbricato a mattoni e stucco, ma riccamente adornato di fregi a rilievo, di colonnette quali lisce, quali a spira anzi a chiocciola, di graziose cariatidi, e di simulacri in plastica rappresentanti angioletti cogli emblemi della Passione di nostro Signore.
Per sopperire all'ingente spesa ebbero ricorso a straordinaria questua, che con licenza ottenuta dalla Curia Arcivescovile il 16 luglio dello stesso anno 1670 praticarono nelle circonvicine Pievi.
Condotta così a termine una parte del magnifico fabbricato, cioè il coro ed il presbiterio, nell'impotenza di sostenere le ingenti spese che richiedeva il compimento del grandioso disegno, s'avvisarono di rimetterlo a più propizi tempi, e frattanto eretto interìnale anti-tempio, in forma di capanna, valersene come chiesa provvisoria, di cui infatti chiesero dall'Autorità ecclesiastica, la benedizione e la facoltà di esercitarvi i divini uffici.
Così sullo scorcio del 1671 veniva benedetta la nuova chiesa dal M.R.Parroco di Merate, allora Vicario Foraneo della Pieve, Francesco Maria Lezzeno, che dedicata al dolori di M.V., giustamente intitolavasi "`Del Pianto" e cominciavasi a celebrarvisi la Santa Messa e le altre divine ufficiature,con quanto gaudio e tripudio del popolo di Robbiate, ognuno può immaginarlo.
Vagheggiava lieto quel popolo una bella parte della Chiesa sorta quasi per incanto, e non dubitava che l'addentellato chiarirebbe presto altre robuste braccia, altri che generosi subentrerebbero all'opera a darvi il compimento.
Così esprime il rapporto dì visita fatta dal Vicario Foraneo per ordine della Veneranda Curia Arcivescovile 10 ottobre 1671: "con tal rapidità e facilità questa parte fu costruita che ci lascia sperare al più presto la costruzione del rimanente” L'augurio fu pio, ma purtroppo non fu veridico.
Frattanto abbisognando la novella Chiesa di un custode, quindi palesatasi subito la convenienza di contiguo casino ove abitasse un Sacerdote che vi celebrasse la Santa Messa e la sorvegliasse, così nel 1672 si diè opera a tal costruzione e la si eseguì con tale alacrità, con tale ardore di pietà, che le donne gareggiavano cogli uomini nelle fatiche e nel trasporto degli stessi materiali, avendo guida, ad eccitamento, ad esempio la contessa Visconti Borromea, moglie del conte Francesco Corio, dama d'insigne pietà, ed animata dal più caldo zelo pel Santuario di Maria, alla cui munificenza sembra doversi quanto di più preziose suppellettile essa ebbe nel suo principio.
Rendiamo colla più viva compiacenza questo omaggio al sesso devoto e gentile, che non abdicò mai il suo bel primato nel culto della Vergine Madre, ed anche negli attuali restauri ebbe una degna rappresentanza nelle zelanti cure di esimia Signora.
Tal fu l'origine di questa Chiesa, che per oltre duecento anni rimase tronca ed incompleta, come una maestosa figura profilata da insigne pittore, che non abbia potuto colorarne che il capo, la cui venustà lascia più vivo il desiderio del torso e delle altri parti mancanti.
Della qual mancanza non fu già causa (come correvan voce) un ripicco di blasonica albagia, per cui due nobili case, già mosse da caldo zelo e cooperatrici generose, ruppero subitamente in discordia, e mentre ognuna voleva l'esclusivo diritto d'imprimervi il proprio stemma, incocciatesi, lasciarono la fabbrica in asso. E' questa a quanto pare, un'ingegnosa invenzione con cui un capo formoso che finisce in coda di pesce, e forse il bel aneddoto attecchì tanto più, quanto che, accagionandone un araldico  rabuffo, risparmiava al nostro orgoglio l'umiliante confessione di una meschina impotenza, e, quel che più è amaro, di un'ignava noncuranza succeduta al fervido entusiasmo dei nostri avi.
Ma ciò che è più da dolersi, si è che sopravvenne, non ha guari, tale circostanza che rese impossibile per sempre l'attuazione del primitivo disegno. Ciò fu la costruzione del tronco di strada regia militare, che il Governo Austriaco fece tracciare ed eseguire dal Porto d'Imbersago, dirigendoci verso Vimercate. Fosse indolenza dei nostri che non reclamarono, fosse inflessibilità di cui bilancia una devota aspirazione, non potevano aver gran peso; fatto è che la nuova strada passando a randa a randa dell'antico fabbricato, anzi radendolo diagonalmente, e per isbieco, fu come un fermo perpetuo al compimento della chiesa nella forma cominciata.




Progetto originale del Santuario
Fu perciò che l'Amministrazione Comunale, trovandosi coartata come un letto di Procuste, e pur volendo in qualche modo conchiudere in forma decorosa il Santuario, assistita dall'opera graziosa e dal fecondo, versatile, squisito ingegno di ancor giovane architetto, retrotrasse l'altare rinnovellato a più elegante forma, e così usufruttando per presbiterio una parte dell'antico sproporzionato coro, esso presbiterio venne a costituire come il centro e la navata della Chiesa, a cui s'annestò, come si potè meglio un acconcio e grazioso vestibolo. Tutto poi l'edificio venne restaurato, intonacato, raffazzonato nell'esterno, abbellito nell'interno. Si è fatto quello che fu possibile, non quello che si sarebbe desiderato.
Ma se torni a qualche incremento della gloria di Maria SS., anche il poco ci parrà assai...”

Don Alessandro Villa



Altare attuale

 NOTE
(1) Questo testo è tratto dal libro "Robbiate tra fede e umane vicende", scritto da Maria Fresoli ed edito dalla parrocchia di Robbiate nel 2003. Altri brani tratti dallo stesso libro sono stati pubblicati su questo blog: li trovi sotto le etichette Maria Fresoli Codara e Robbiate

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