venerdì 30 luglio 2010

QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO di Giovanni Bertacchi





QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO
di Giovanni Bertacchi


 


Rema tu, figlio. Giunti che saremo
a mezzo il lago, metterai la vela,
e così lieto io correrò sospinto
dal tuo braccio e dal vento. Oh nel percorso
de' miei dì faticosi io meritai
quest'ora di riposo; ed anche voglio
veder da vivo come andrà la barca
quando non sarò più. Rema, figliuolo.
Non è degno dell'uom questo passare
comunicando all'acque, alle montagne
una fluente illusion di moto?


Noi così navigando entro i dorati
nimbi del sole beveremo il nostro
vin di Bellagio, pieno di memorie.
Oh, le amate memorie! Or che sul mesto
lago degli anni miei cala dimessa
la breva dei tramonti, il cuor s'apprende
ai primissimi dì, quasi volesse
mancando l'avvenir, moltiplicarsi
dentro il passato la fuggente vita.
Sedendo in ozio qui, come un fanciullo
non esperto del remo, io tra i ricordi
rivivo ai sensi dell'infanzia, quando
nelle belle domeniche d'estate
scendea col padre alla consueta
pesca a Pescallo. Barca non passava
nella serenità fresca dell'alba
e solo di lontan qualche comballo
che usciva dalla notte e che seguiva
le lunghe rotte verso l'alto lago.


MANDELLO VISTA DA ONNO

Ma presto un vago e palpitante suono
rompea quei sonni: erano le lontane
campane di Varenna, ed altre ancora
che salian dalle sponde, uscian dai monti,
tenere e meste, semplici e soavi
come i racconti dell'infanzia. Oh, credi
quelle voci non tacquero più mai;
e se pur non le udiì, se pur fu muta
sul mio labbro la fede, io mi sorpresi
più d'una volta, poi, chiuso in un muto
raccoglimento, come se qualcosa
parlasse qui, come se mi cantasse
un'ostinata avemaria del cuore.


S'andava muti, cauti, fendendo
il fior dell'acqua a pena. Io vedo ancora
l'onda verdastra nei riflessi cupi
dei castagni, innanzi il sole, e ancora
provo quel senso d'umidore ed ombra.
Riodo il fiotto singhiozzante e rotto
contro i banchi di pietra e contro i fianchi
del tacito battello. A mezza costa
una piccola strada, ora nascosta,
ora scoperta, tutta a salti e svolti,
correa verso Limonta, e mi ricordo
d'una solinga cappelletta a cui
quel nessuno mirabile che vive
nel concorso di tutti, alimentava
la fiammella ogni dì. Poi si piegava
verso i paraggi di Lierna, ed era
una gioia per me veder dai grembi
dell'acqua uscire in luccicanti guizzi
agoni e trote e temoli d'argento.


PESCATORI A BELLANO

Ei fu così ch'io mi nutriì nel cuore
la passion del lago, esercitata
di giornata in giornata e d'uso in uso.
Questo ramo del Lario a poco a poco
fu mio, ed io fui suo, come sedotto
dalle lente malie d'una corrente
dolcissima. Così quando il rovescio
piombò sulla mia casa, io mi trovai
con pronti sensi e preparato cuore
poeta del mio lago e pescatore.


E vissi in questa cerchia alta e profonda
di monti che s'immergono, di muti
paeselli tuffati, ove i romori
si spengono su l'acqua; ove di notte
i lumi bassi tremano specchiati
in guizzi lunghi, e dove un senso lento
d'assorbimento penetra la vita;
amai negli anni questo mondo breve
e pure intimo tanto, in mezzo al noto
alternar delle breve e dei tivani,
calcolando il mio tempo in sul fedele
comparir delle vele all'ore usate.
Qui, dove l'acqua si ripete sempre
su le ghiaie e le arene, entro le mute
darsene, fra le mobili carene
delle barche alla riva, e, quasi avvolta
nel giro istesso delle sue canzoni,
par che imprigioni i giorni entro una cerchia
d'immutati ritorni.

PONTE PEDONALE A BELLANO


In questa lunga
costumanza di cose umili e chete
io solitario misurai la vita
su immutabili vie. Remai per anni
e per anni pescai, riconsumando
ora per ora le distanze usate,
congiunto all'acqua dall'aereo filo
de' miei ricordi e della tirlindana.
Vidi passarmi e ripassarmi innanzi
la soave Malgrate, il masso grigio
del Margon dirupato, il piombo in faccia
del San Martino e la pacata scena
del seno di Parè. Le cento volte
mi spinsi alla solinga Onno nel lungo
sonno dei pomeriggi, e impresi poi
la paziente traversata al porto
di Mandello. Io vidi queste cose
senza guardarle. Queste lente scene
m'entrarono nei sensi inavvertite,
mentre badavo al remo ed alla pesca,
e divennero amore. A volte anch'io,
ma di rado, perché non so tradire
l'opera mia, dimenticai la lenza
guardando a sera il luminoso sbocco
di Valmadrera, e la superba Grigna
- Dio, che grandezza! - tutta quanta accesa,
e il Resegone con le sue giogaie
soffuse di viola. (Io, veramente,
dicea color di ruggine, ma un giorno
la buona madre tua, da questa barca,
accennando, esclamò: - Guardate i monti,
che color di viola! - e da quel giorno
dissi viola anch'io...)

LIERNA, LA RIVA BIANCA


Beviamo un sorso.
Or pel tuo vecchio è tempo di parole,
ed io voglio brindar dal mio battello
alla vita che vidi, al buon lavoro
che animò questi luoghi insin da' tempi
della mia giovinezza. Erano i neri
opifici del ferro ed i mulini
e le strade lassù per la vallata
tormentate dai carri; era il giulivo
picchiar dei magli e l'esultar dell'acqua
lieta di uscire dai lunghi ozii dell'alpe
e d'entrar nel lavoro e nella vita:
era, in altri dintorni, il roco, eguale
rullio delle filande, e, su quel ritmo,
la dolente canzon delle fanciulle
che sembra, così lenta e così lunga,
la mesta litania della fatica.
Ma cari sovra tutto al nostro cuore
gli affaccendati sabati di Lecco,
a cui gran gente convenia dai borghi
della Brianza e della Valtellina.
Il mercato adunava uva, granaglie,
poma, castagne ed odoroso alloro
sotto natale. Addio, vecchi barconi
che giungevate carichi di bene,
che viveste passando e aveste nome
dai santi antichi e dai paesi amati!
Quanti aspetti del lago e quante luci
vedeste voi nel consueto andare?
Il grande azzurro delle luminose
mattinate di vento, il lividore
delle nebbie d'inverno, le bonacce
a chiazze grigie, a lamine d'acciaio,
e le sconvolte collere dell'acqua
verde, striata da canute spume.
Qual fu il vostro destino? Andare, andare,
e preparare i vivi alla partenza
cui m'avvicino anch'io.

BELLAGIO


Versane un sorso,
versane un sorso ancora. Ecco, io ti lascio
questi ricordi, e se la tua ventura
vorrà che per lunghi anni li senta
al par di me, mi sembrerà da vero
di non essere partito e di restare,
come un giorno sognai, viva e tornante
rondinella tra il Barro e il San Martino.


E non dimenticarti di Lucia.
Quando seppi di lei la prima volta,
quasi ne innamorai. Nelle mattine
di primavera, uscivo col gran libro
pei dintorni d'Acquate. Ai dì festivi
per le sagre, a Ballabio, a Valmadrera,
fra le allegre brigate e le fanciulle
che invitavano a i balli, alle canzoni,
mi sentivo lontano, o pur sul volto
di qualche bella, con lo sguardo assorto,
pareami quasi di cercar l'aspetto
d'una povera assente: ed era lei,
la Cìa di Renzo. Ne le terse notti
di plenilunio io mi trovai sovente
giù, verso Pescarenico, seduto
a veder la mia bella Adda partire,
e pensavo che anch'essa era partita,
e partita di là, con un dolore
noto soltanto  a chi crescea tra i monti,
con un addio che basterà per sempre
e per tutti quassù. Povera Cìa!
Io mi struggevo della forza iniqua
che l'avea tribolata e - debbo dirlo? -
un giorno che il poeta era in campagna
al Caleotto ed io l'accompagnavo
sulla lancia a diporto, osai parlargli
come il cuor suggeriva: - A me doveva
esser promessa, a me quella Lucia!

LEO FRA IL S.MARTINO E IL MOREGALLO


L'avrei ben io difesa... - Ed accennai
dalla parte dello Zucco. - Egli sorrise;
ed io, più franco, seguitai per poco
quelle mie confidenze. - "Oh, molte volte,
solcando il lago ai giorni della festa,
io pensai di condur col mio battello
su pel Lario natìo tutte le belle
che i suoi mesti poeti hanno cantato:
Lida, Bice, Lucia, Rina del Falco,
di condurle così, liete e stupite,
a sentire le campane, a prender l'onda
del battello a vapore, a ristorarsi
dal dolor, dall'amore: e immaginavo
d'aver meco a remar quell'Arrigozzo
ch'io non so ricordar senza che i fiotti
mi rivibrin nell'anima, gemendo
come un singhiozzo."

NAVIGAZIONE IN CENTRO LAGO


Figlio, in tal sequela
di fatiche e di sogni io son vissuto,
e col pensier di questo mio passato
io così me ne andrò. Giunto al paese
del Patrono invisibile, piegato
nel suo cospetto, io gli dirò: - Signore,
dal mio vecchio battello in questo punto
approdo al porto della vostra pace.
Io non vi reco a mio vantaggio alcuna
riconoscenza di vigneti o campi
coltivati da me; solo vi reco,
se ben contai, le mie settantamila
miglia di remo. Vogator devoto,
tessei le annate con la vecchia spola
dall'una riva all'altra, e feci un lungo
lungo viaggio, come voi volete
che sia la vita, rimanendo sempre,
come vuol fedeltà, sempre in un luogo.

ONNO DA MANDELLO


Viaggiai nel silenzio; accesi a tempo
la lampada notturna ed obbedii,
se talor mi sorprese a mezzo il corso,
anche al voler della tempesta. Io fui
prode quanto bastò pel mio dovere
e insiem prudente, come piace a voi.
Poco, invero, pregai; ma io sentivo
che pregavan per me le cento squille
della vallata e indugiai sospeso
lungo le strade ad ascoltar le voci
che uscian velate dalle porte chiuse
delle chiese campestri. Anche, talora,
nella raccolta settimana santa
da questo lago mio mesto d'ulivi
con lo sguardo del cuore io ricercai
gli uliveti non visti ed i pensosi
laghi di Galilea.
VARENNA


Fui parco a mensa,
ma, leal verso me, verso la parte
che voi mi concedeste, io non lasciai
niun mio sano appetito insoddisfatto.
Bevvi tutto il mio vino, ed ebbi in uso
d'alzarlo prima verso il dolce sole:
finii tutto il mio cibo, e se il tapino
venne su l'uscio a domandar gli avanzi,
gliene diedi del nuovo. Ecco, Signore,
la mia parte di bene: or se ciò basta
alla vostra indulgenza, all'amor vostro,
accogliete anche me nella felice
terra del buon riposo, e qualche volta
date un'occhiata al povero battello
ch'è rimasto laggiù. Dite a mio figlio
che ne regga con fede i lunghi corsi
alimentati di ricordi, e fate
ch'ei senta ognora la presenza mia,
come s'io fossi un tacito pilota
seduto in poppa a benedir passando
i monti antichi, l'adorato lago.


BELLAGIO E LENNO




*Giovanni Bertacchi e questa sua poesia meritano qualche riga di presentazione. Ma sono in vacanza, ci penserò quando ritorno. Ciao a tutti. M.B.

domenica 18 luglio 2010

"SALIN" di Marco Bartesaghi


 "SALIN" IN PRIMO PIANO RIPRESA DA VILLA ANNONI - DE ANGELIS


L’ultima casa che si incontra a destra di via Tre Re, venendo da Verderio Inferiore a Verderio Superiore, è conosciuta, in entrambi i paesi, con il nome di “Salin”. È stata costruita tra fine ottocento e inizio novecento 

 IN QUESTA CARTOLINA DI INIZIO NOVECENTO "SALIN" E' LA
SECONDA CASA CHE SI VEDE A DESTRA
DELLA STRADA CHE UNISCE I DUE PAESI

su un terreno, precedentemente coltivato a “vite e moroni” denominato “Riva di Sopra” ( “Riva di Sotto” era invece il nome del terreno di fronte, a ovest della strada e con un’altitudine di qualche metro inferiore) da Giovanni Sala di Ambrogio, un contadino - possidente , proveniente da Verderio Superiore dove aveva abitato nella “Curt del prestiné” (via Principale 9).


Il nome acquisito dalla casa, Salin, è legato naturalmente al cognome della famiglia, Sala, che l’ha costruita e abitata per tanti anni e dalla quale discendono, seppur con un cognome diverso, Comi, gli attuali abitanti.

Il nome che le diedero i suoi proprietari era però Casa Belvedere (o Villino Belvedere, come appare in alcuni documenti), certamente legato alla splendida vista che dal punto dove sorge, guardando verso ovest, si aveva, e in parte si ha, su Montevecchia e, quando il cielo è terso , sull’arco alpino, Monte Rosa compreso.

UN DISEGNO CON LA SUDDIVISIONE, NEL 1906, DELLA CASA "SALIN" 
FRA GLI EREDI DI SALA GIOVANNI

La casa, a pianta rettangolare, ha il lato maggiore disposto in direzione est – ovest e la facciata rivolta a sud, verso il centro di Verderio Inferiore. Il cancello che oggi la separa dalla strada è recente: prima vi si poteva accedere direttamente ed era fronteggiata, per tutta la sua lunghezza, da una bassa siepe. Anche il muro di confine con la villa Annoni – De Angelis non è nato con la casa, ma è stato costruito molto tempo dopo.

Nel 1906 l’ edificio venne diviso fra gli eredi di Giovanni: Angelo, Ludovica e Antonio. Poco dopo venne ampliato, con l’aggiunta verso est di stalla e fienile, poi trasformati in locali d’abitazione.


LA FAMIGLIA DI ANGELO SALA: ANGELO, IN PIEDI, DI FIANCO ALLA MOGLIE
ANTONIA RIPAMONTI. SEDUTA IN CENTRO LA FIGLIA MARIA


MARIA SALA CON IL MARITO
ENRICO COMI

Angelo, che sposò Antonia Ripamonti, ebbe tre figli: Giuseppe, Giovanni e Maria. I maschi morirono giovani. Maria sposò Enrico Comi di Lomagna ed ebbe, a sua volta, tre figli: Angelo, Giuseppina, Alessandro.

















COMI ANGELO


 ALESSANDRO COMI

Dopo la suddivisione del 1906, per la vendita da parte del fratello, Antonio, la famiglia d’origine non ebbe più, per un certo periodo, l’intera proprietà dello stabile, ristabilita poi dai fratelli Comi che oggi vi abitano.















ANTONIA RIPAMONTI ALLA GABBIA DEI CONIGLI



ENRICO COMI CON I FIGLI


Negli anni cinquanta del novecento, per una decina d’anni, un locale della casa fu adibito alla vendita di vino “da asporto”, non essendo prevista la mescita in loco: di fatto però fungeva da osteria, in quanto dal paese ci si trovava lì a bere vino e a giocare a carte come in una delle tante, incredibilmente tante, osterie presenti nei due paesi . Nella fotografia che segue, al tavolo all'esterno del locale si riconoscono, da sinistra:
- il suocero di Angelo Mapelli, da Montevecchia;
- Angelo Mapelli, titolare, con la moglie del locale;
- Mosè Acquati, contadino;
- Giuseppe Motta detto "Pinela", fratello del sacrestano, che aiutava durante le funzioni religiose;
- Giovanni Bonanomi detto "Ninu", falegname, nipote di Giovanni Stucchi, "Giuanéla", anch'egli falegname;
- Olimpio Motta, "Limpi", sacrestano e contadino.




Il riconoscimento delle persone del'immagine è dovuto a Tarcisio Sala, "Ciso", a cui la fotografia appartiene A lui devo anche l'aneddoto secondo cui la signora Agnese, "Gnesa del Salin", moglie dei Angelo Mapelli, quando andava a lavare i panni al lavatoio, "funtana", si portava una bottiglia di grappa da mescere alle donne che lavavano e a cui  allora era precluso l'accesso alle osterie. Così "Gnesa" arrotondava  l'incasso della giornata.

Marco Bartesaghi






 














 DUE IMMAGINI ATTUALI DELLA CASA




Questo articolo è stato possibile grazie all'aiuto di Alessandro Comi, di sua moglie e di sua figlia Carla. Mi hanno messo a disposizione il tempo, i ricordi, i documenti e le immagini. Li ringrazio di cuore.
Grazie anche a Tarcisio Sala per il suo contributo. 

IL VINO DEL MONTEROBBIO di Maria Fresoli



BRINDES DE MENEGHIN A L'OSTARIA 
PER EL SPOSALIIZI DE S. M. L'IMPERATOR
NAPOLEON CON MARIA LUISA 
ARCIDUCHESSA D'AUSTRIA (1810) (1)
Ma come! on olter biccer?
De chi eel' mai sto bel penser?
Montarobbi! Se badinna?
Montarobbi! Gh'e chi po'
Avegh coeur de ditt de no?
Ah ven scia, cara zajninna,
ven tra i brasc d'on to devott!
Te vuj bev a gott per gott,
Te vuj god a onza a onza;
Savoritt - come I sorbitt,
Stagh adree - del temp assee,
Come a beven ona bonza.
L'e peccaa che el Montarobbi
Nol sia on mont largh milla mija,
Che in d'on quaj cantenscellin
Ghe sarav forsi ca mia.
Ma l'e on mont tant piscinin,
Che tanc' voeult quel pocch penser
De scuffiaghen on biccer,
Boeugna propri guarnal via.
Ma che serva? La natura
Per i coss prezios e car
L'ha tegnuu cuurt la mesura,
Giust per rendi pusee rar...
CARLO PORTA


Basterebbe questa poesia dialettale del milanese Carlo Porta a farci capire quanto e com' era conosciuto, due secoli fa, il vino del Monterobbio nella grande Milano.
Questa sua fama non era certo dovuta alla quantità, date le piccole dimensioni della collina, ma alla sua ottima qualità. Aggiungiamo che non solo nell'800 il vino del Monterobbio era apprezzato, ma già dal 1500, come abbiamo potuto apprendere nella "Storia della Parrocchia" servì, in buona parte, a pagare l'opera del pittore Alessandro della Pobbia. All'epoca dell'infeudazione al Conte Corio, la produzione raggiungeva le cinquemila brente, equivalenti a circa 3800 ettolitri, quantità considerevole, se si tien conto delle scarse risorse di fertilizzazione in quei tempi.






Nella mappa del Catasto Teresiano del 1721, si contavano sul Monterobbio 313 pertiche a vigna, contro le 109 a bosco.
Proprietari di questi fondi erano allora i nobili Ajroldi e Corio, Giulio Cesare Cravenna, il marchese Erba, il capitano Matteo Rossi di Moncucco e il Beneficio Parrocchiale. Questi possidenti, in genere, affittavano i vigneti ai massari, che erano tenuti a consegnare, dopo le spese di coltivazione e vinificazione, tre quinti del prodotto al locatore.
Dall'Archivio Parrocchiale, si riporta parte di una relazione del per. agr. Paolo Usuelli, in data 21 maggio 1863, stesa per un reimpianto di vigneto del Beneficio Parrocchiale (2) :

"Il ronco che si vuole dissodare e rimettere a nuovo, trovasi in posizione amenissima sul versante di mezzogiorno del rinomato Monterobbio, e consta di particolare qualità di terra argillosa-calcarea così adatta alla formazione di prelibati vini,  che, certamente val la pena di impiegarvi anche un capitale perche la sua produzione riesca maggiore e migliore..."

Pochi anni dopo però, il temutissimo "oidio" distrusse gran parte dei vigneti e, nel 1880 "la filossera" completò l'opera. Ma i nostri contadini, subentrati nelle proprietà, alle ormai decadute nobiltà, non si scoraggiarono e rimpiantarono le viti, così i ronchi del Monterobbio tornarono colmi di rigogliosi filari e, tanta e ottima continuò la produzione che nacque il detto "a Rubia anca i muron fon l'uga".

Da un opuscolo stampato nel 1877, a cura del Consorzio Agrario Brianteo (3) si possono elencare i vari tipi di vitigni coltivati:

Uve nere - Barbera - Barzamino - Bonarda - Bordeaux nera-Bressana - Guarnazza - Inzaga - Lambrusca - Marcellana - Merera- Moscato - Moncucco o Grignolè - Negrera - Pezzè - Pignola -Rossera - Teinturier - Vespolina.

Uve Bianche - Bordeaux bianca - Borgognino - Greco - Guarnazza - Malvasia - Moscato - Pinot - Rosa - Spagna.








Le caratteristiche uniche di questo nostro prodotto furono così descritte da Carlo Merli in una sua monografia (4):

"Io non faccio la reclame a niente, e tanto meno al vino che mi piace, giacché più è reclamato più mi tocca pagarlo - non avendo la fortuna di farne del mio - ma è certo che il tipo bianco del Monte Orobio ben confezionato, con uve ben mature, e lasciato invecchiare qualche anno può enfoncer alcune marche eccellenti di chablis, come il rosso può gareggiare coi bordeaux fini, e stravincere tutti i piccoli bordeaux di 3 franchi la bottiglia. Ma anche nelle case dove il Monte Orobico è ottimo, ed è fatto con tutte le regole e con tutte le sincerità che ognuno mette nella confezione del vino che deve bere...del monte Orobico non te ne faranno parola. Solo quando sarai entrato in molta confidenza, allora te lo faranno assaggiare per caso, quasi vergognosi come - per usare un'espressione rude, ma esatta - ti mostrassero il figlio della serva; perché noi italiani siamo fatti così: la nostra roba e buona, i nostri prodotti potrebbero gareggiare con molti altri che riteniamo superiori; ma l'abbiamo nel sangue quel maledetto sprezzo per tutto ciò che è nostro, e l'incondizionata ammirazione per quello che vien da fuori..."


Purtroppo col passare degli anni, la sempre meno remunerativa attivita agricola, spinse i giovani ad abbandonare i campi, di conseguenza, piano piano, sparirono in gran parte anche i vigneti lasciando posto agli incolti.
Non rimane altro che sperare in un futuro recupero di questa coltivazione, che è stata per secoli e secoli il vanto dei nostri vecchi e del paese stesso.


NOTE
(1) Carlo Porta, "Poesii de Carlin Porta Milanes" - pag.36
(2) A.P.R. – cart. n. 8.
(3) Tipografia Briantea, “Lezioni di Enologia” – Merate 1877.
(4) Carlo Merli, "Sette giorni a Merate" (1896 - pag. 40 - 41)

Maria Fresoli

Questo testo è tratto dal libro "Robbiate tra fede e umane vicende", scritto da Maria Fresoli ed edito dalla parrocchia di Robbiate nel 2003. Altri due brani tratti dallo stesso libro sono stati pubblicati su questo blog, il 23/3 e il 20/5 del 2010.



venerdì 16 luglio 2010

MONTEROBBIO IN DUE FOTOGRAFIE DI MAURIZIO BESANA

MONTEROBBIO, A SINISTRA DIETRO LA STRADA ILLUMINATA, IN UNA RIPRESA
 NOTTURNA DA CASCINA DURAGA

IL MONTEROBBIO FRA GLI ITINERARI SENTIMENTALI DI ALEX VISCONTI (1931 - 1932) di Marco Bartesaghi

Il libro "BRIANZA Itinerari sentimentali di Alex Visconti; impressioni pittoriche di Giannino Grossi",  edito come "Strenna a beneficio del Pio Istituto dei Rachitici di Milano 1931 - 1932",  dedica qualche riga  al Monte Robbio e al suo vino. Il testo contiene anche una riduzione della poesia di Carlo Porta -senza però l'indicazione dell'autore -che Maria Fresoli  ha presentato nell'articolo precedente a questo.



Questo il testo di Alex Visconti:

".. ecco a oriente verso l'Adda una fila di poggeti tra cui domina monte Robbio celebre per i suoi vigneti"

(a questo  punto è inserita la riduzione della poesia del Porta che tralascio di trascrivere)

" il vino lombardo  "passant e salaa, mostos e suttir" aveva avuto poeti che lo cantarono e capaci stomachi che lo digerirono: e pare che i Galli cisalpini non scherzassero, se Strabone geografo e viaggiatore, lasciò scritto di aver veduto nel milanese botti grosse come case. O le case eran piccole, e le botti ... basta, salute!

 IL MONTE ROBBIOE' LA COLLINA SULLA DESTRA DELLA 
FOROGRAFIA SCATTATA NEGLI ANNI QUARANTA DEL SECOLO
SCORSO LAL TERRAZZO DI VILLA GNECCHI DI VERDERIO SUP.
AUTORE DELLA FOTO, PROBABILMENTE, FRANCO GREPPI.

... Ma Monte Robbio (forse Monte Orobio, dai primi abitatori, gli Orobii) ebbe dalla sua parte il gaio esercito dei poeti e ci fu perfino un Basilio Bertucci che ci regalò un Bacco in Brianza. Dovrei dire che il dio del vino dovette aver perduta quasi tutta la sua virtù in Toscana quando ebbe per méntore Messer Francesco Redi: perché l'ottimo Bertucci, per quanto si sforzi a galvanizzarlo non riesce a fargli fare che una ben mediocre figura. Ecco la sua etimologia di Monte Bobbio:

Ha di Brianza il monte
Colle eminente aprico,
In cui già per occulta
Istoria, e a pochi nota,
Visse in la prisca etade,
Gente bibace, al Dio del vin devota;
Che a lui per poter fare
Sacrifizi divini
Innalzaro un altare
E vi posero in fronte "Ara Deo Vini"
Onde al luogo si feo
Prima il nome "Ara Deo"
Che in corrotto vocabolo appellato
Poi fur "Arodio" or "Arobio" è chiamato.


Sciocchina questa  etimologia, no?"

Marco Bartesaghi

L'UVA DEI FRATELLI GNECCHI RUSCONE ALL'ESPOSIZIONE DI MERATE DEL 1876

Allo scopo di aiutare i viticoltori della Brianza nella scelta dei vitigni più adatti ai terreni e al clima del territorio, e avendo come obiettivo quello di “porre la Brianza fra le migliori zone vinifere”, nel 1876 il Consorzio Agrario Brianteo organizzò un’esposizione di uva da vino.


All’iniziativa, che si svolse il 2 e 3 ottobre presso il Collegio Alessandro Manzoni di Merate parteciparono trenta viticoltori del meratese, compresi i fratelli Gnecchi Ruscone (1) che presentarono 14 qualità di uva, coltivate in loro terreni di Verderio Superiore e Montevecchia.

TABELLA 1: le qualità di uva presentate dai fratelli Gnecchi Ruscone



Fra tutte le qualità di uve esposte, 227, la commissione incaricata di organizzare l’esposizione ne riconobbe 52 come “varietà speciali”. Nove delle quattordici presentate dagli Gnecchi, rientravano in questa categoria: Chassellas rossa, Pinot nera, Rosa rossa coltivate a Verderio Superiore; Bressana nera, Botascera (o Marcellana), Inzaga nera, Piona rossa, Barbasina bianca, Trebbiana bianca coltivate a Montevecchia.

Dopo le analisi chimiche per determinare i quantitativi di glucosio e di acidi, la Chassellas rossa e la Pinot nera dei fratelli Gnecchi risultarono essere le miglior fra le uve esposte dello stesso tipo.

TABELLA 2: le caratteristiche delle due uve degli Gnecchi risultate le migliori fra quelle della presentate della loro qualità.




Al termine dell’esposizione, che aveva avuto un buon risultato come numero di partecipanti, la commissione espresse un severo giudizio sullo stato della viticoltura nella porzione di Brianza considerata. Essa riteneva infatti che il commercio del vino languisse “non per difetto delle condizioni inerenti la natura del luogo, ma per mancanza della buona materia prima” e giudicava di “cattivissima qualità” i vitigni che erano maggiomente usati: Inzaga, Guarnazza, Vernaccia, Casca, Cagna, Piona.





La relazione redatta dalla Commissione fu pubblicata nel 1877 nel libro “Lezioni d’Enologia tenute dal dott. Antonio Lolli in Merate nell’autunno del 1876 e stampate per cura del Consorzio Agraraio Bianteo” (2)



NOTA

(1) Carlo (1816 - 1886) e Giuseppe(1817 - 1893) Gnecchi Ruscone.
(2) L’ opera , già citata in questo blog da Maria Fresoli, nell’articolo intitolato “Il vino del Monterobbio”, fu pubblicata a Merate nel 1877 dalla Topografia Biantea. Recentemente, 2005, è stata ristampata dalla Libreia Zappa, anch’essa di Merate.

venerdì 2 luglio 2010

CASCINA BERGAMINA, VICENDE STORICHE di Guido Roveda

Questo testo è tratto da "Le terre delle cascine a Milano e in Lombardia" edizioni Celip - MIlano. E' stato scritto dal signor Guido Roveda, attuale proprietario della cascina, che ringrazio per avermi permesso di pubblicarlo sul blog.
Le fotografie sono di Denise Motta.


IL VIALE DI INGRESSO DI CASCINA BERGAMINA, CON
LE SIEPI DI CARPINO E GLI SPLENDIDI PLATANI.

La Cascina Bergamina si trova a Verderio Inferiore, già provincia di Como, oggi provincia di Lecco.
La singolarità di questa cascina è data soprattutto dal fatto che ha mantenuto nei secoli un rapporto diretto e non contaminato col fondo agricolo che la circonda.
La sua storia affonda le radici nel basso Medioevo e si sviluppa nei secoli successivi con un continuo riferimento all'attività agricola.
Attualmente, pur conservando intatta la sua antica struttura, si è trasformata in dimora residenziale, ma continua a rimanere al centro di un'azienda agricola moderna.
Essa si presenta con la caratteristica forma a corte, ma con dimensioni ridotte rispetto alle strutture della Bassa.
L'impianto attuale risale a data anteriore al primo Settecento, perché ne abbiamo più riproduzioni grafiche tratte  dal "Catasto Teresiano" e dai relativi atti preparatori e una dettagliata descrizione letteraria risalente al 1727.
Vi si accede da una strada di campagna  che, uscendo dal paese di Verderio Inferiore, si perde tra i campi verso Cornate d'Adda e che, nel rettilineo prospiciente l'ingresso, è accompagnata da una bassa siepe di carpini.
L'ingresso, eccentrico rispetto all'asse stradale che la fronteggia longitudinalmente, sottopassa una torre molto caratteristica, ma relativamente diffusa sul territorio, la cosiddetta "colombera", di cui non si può escludere una diversa funzione originaria.
L'IMMAGINE SACRA NELL'ANDRONE DI ENTRATADI 
CASCINA BERGAMINA
 
 
Il lato longitudinale era in origine occupato dalle stalle, mentre le due ali laterali erano adibite ad abitazione dei salariati e del massaro.
La cascina settecentesca era aperta verso i prati poiché il fienile porticato è stato costruito intorno alla metà dell'Ottocento. Come spesso si riscontra nell'esame architettonico delle cascine chiuse (cioè con possibilità di vita autonoma, era presente sul lato est una cappella di cui è ancora memoria tra la gente.

Pur conservando l'impianto sicuramente settecentesco, oggi la casina ha subito radicali modifiche nella destinazione degli spazi.
Alla metà dell'Ottocento, come detto, è stato eretto il fienile verso i prati.
All'inizio del Novecento, l'ala sinistra, già occupata dalle abitazioni dei salariati, dalla "casera" e dalla cappella, è stata trasformata in dimora residenziale con largo uso della "boiserie" e con pitture decorative di gusto medievale, rimosse dopo il 1933.
Sempre attorno all'inizio del secolo scorso, al pianterreno dell'ala destra, già abitazione dei salariati è stata installata una scuderia monumentale proveniente dalla Cavalchina, un palazzo milanese lungo la via Manin.
 
 

Al di là di quest'ala sorgeva un edificio a destinazione agricola che, in anni recentissimi, è  stato trasformato in casa d'abitazione.
A metà del secolo scorso sono stati fatti altri radicali interventi che hanno originato l'elegante serie di "boxes" verso la strada e la riorganizzazione del fienile verso i prati. 
 
 
Per l'allevamento dei cavalli sono stati costruiti i boxes e allestiti tondini sia all'interno della corte che verso i prati.
A ridosso della cascina vi sono altri fabbricati minori destinati a legnaia, ricovero animali ed usi vari.
Appena fuori dal circuito della cascina gli attuali proprietari hanno costruito un edificio rurale di vaste dimensioni adibito a fienile, ricovero macchine e officina.

Queste continue trasformazioni, mentre hanno modificato l'originaria destinazione, da agricola a residenziale, hanno però consentito la conservazione dell'attività produttiva.
La prima traccia storica della cascina risale al 1476 ed è l'atto 27 aprile di quell'anno, rogato dal notaio Giorgio Rusca di Milano, col quale certi Lancillotto e Bartolomeo Vimercati, sedicenti proprietari del lago di Sartirana, concedevano a Donato Gioccario, allora proprietario della "Cascina Bergamina", la derivazione di quelle acque per l'irrigazione dei prati.
Al Gioccario veniva posto a carico anche l'onere, assai gravoso, di costruire il cavo ed ogni struttura connessa per il trasporto delle acque lungo un percorso di circa 10 chilometri.
Il toponimo "Cascina Bergamina di Verderio Inferiore" è chiaro e inequivocabilmente riferibile alla attuale Casnina Bergamina per almeno due motivi.

Innanzitutto perché, ancora nel primo Settecento, attorno al paese di Verderio Inferiore esistevano due sole cascine, la Bergamina appunto e la Brugarola, tuttora esistente.
Secondariamente perché le carte d'archivio documentano, durante i secoli, le vicende che hanno continuamente coinvolto la Bergamina con i proprietari delle acque del lago di Sartirana.
Questo laghetto di origine morenica, senza immissario, alimentato da acque risorgive e piovane, rilascia le acque nella valle della Rusachetta e da lì nell'Adda ed è posto poco sopra Merate. Le sue acque sono state utilizzate per la pesca e l'irrigazione dei terreni a valle. In particolare il collegamento tra il lago e la Bergamina  avveniva attraverso una roggia ancora oggi chiamata Roggia Annoni dal nome dei proprietari, la famiglia Annoni o Annone, che hanno posseduto la Bergamina dal 1727 (anno di acquisto) al 1933 (anno di vendita) ma che, in origine, era semplicemente chiamata Roggia Verderio, in quanto destinata principalmente ad irrigare i terreni della Bergamina di Verderio.
Tornando all'atto del 1476 si possono, da questo, ricavare alcune riflessioni.
Innanzitutto siamo in epoca sforzesca, periodo al quale vanno ascritte vaste opere di bonifica e di trasformazione del territorio. Mentre queste stesse trasformazioni erano già in atto da secoli  nella parte a sud della linea dei fontanili, soprattutto a seguito della realizzazione dei navigli (l'inizio della costruzione del Naviglio Grande risale al XII secolo), a nord questo avveniva più tardi e in forma diversa in funzione della natura collinare del territorio che impediva la formazione di fondi, cioè di terreni di vasta dimensione accorpabili a una cascina.
LO SPLENDIDO ESEMPLARE DI PTEROCARIA FRAXUNIFOLIA, 
O NOCE DEL CAUCASO, DI CASCINA BERGAMINA
 
Certamente l'uso dell'acqua derivata dal lago di Sartirana ha consentito il sorgere di strutture agricole più complesse e la formazione di fondi di una certa dimensione.
Così la Bergamina si presenta, nella cartografia del Settecento, come l'unica cascina verso Cornate (ad eccezione della Brugarola) con ampi terreni tutt'intorno. In particolare risalta il vasto prato irriguo (oggi prato stabile) che mantiene per trecento anni la stessa conformazione, lo stesso mappale, essendo chiuso su tre lati da roggia con intermedia strada di campagna.
Secondariamente il toponimo Cascina Bergamina è inequivocabile prova della preesistenza di una struttura rurale di cui non è possibile, allo stato delle cose, immaginare la forma. È certo, peraltro, che durante i lavori di sistemazione della corte, sono emerse alcune cortine murarie in cotto che fanno pensare ad una precedente costruzione poi sostituita sa quella che chiamiamo settecentesca, Quando ciò sia avvenuto ed  in quale occasione è difficile dire.
Tornando alle colture, prato irriguo e prato stabile, questa deve essere stata l'originaria utilizzazione del territorio (in epoca precedente occupato in gran parte da boschi e, in particolare da castagneti e querceti), perché questo tipo di coltura risulta essere il più diffuso alle origini dell'agricoltura nell'alto Milanese.
Il prato consentiva di attivare un ciclo produttivo importante. Con l'erba e col fieno si alimentava il bestiame, raccolto in stalla, e col letame di stalla si concimavano i campi e se ne aumentava la produttività.
Durante la stagione invernale veniva curato il mantenimento delle pendenze del terreno per garantire l'irrigazione.
Questo ciclo imponeva una organizzazione d'impresa, perché non soltanto la cascina doveva essere dotata di un buon numero di salariati, ma occorreva anche la presenza di maestranze addette al bestiame. Ecco qui profilarsi la figura dei bergamini, uomini della montagna ma, per derivazione, uomini dei pascoli e delle stalle. Questi bergamini lasciavano la pianura verso la fine di marzo e portavano le bestie al pascolo da cui discendevano a settembre per trascorrere in stalla il lungo periodo ottobre-marzo, durante il quale l'alimentazione del bestiame era assicurata dall'ultima erba del prato e dalla riserva di fieno raccolto in covoni nei campi e poi stivato in fienile.

Va osservato a proposito del toponimo Cascina Bergamina, che questo non è affatto un "unicum", essendosene rilevati, nella cartografia militare e per la zona del milanese almeno altri sei o sette (prossimo a Verderio quello di Oreno, ma altri se ne trovano a Bollate, a Pero, a Oggiono e con sfumature nella denominazione a Cabiate, a San Pietro all'Olmo).
Se le vicende della cascina sono oscure dalle origini (incerte) fino alle mappe teresiane, resta invece possibile ricostruire le colture che vi si sono susseguite nel tempo.
Così grano, cereali minori e prato inizialmente, quindi a partire dalla metà del Seicento granoturco (melega) hanno contrassegnato l'utilizzo dei fondi della Bergamina ma,tra il seicento e l'Ottocento, c'è traccia della coltivazione della vite (oggi quasi del tutto scomparsa dalla zona, fatta eccezione per le pendici del Monte Brianza) e del gelso (le cui foglie erano alimentazione di base per i bachi da seta).
Attualmente le colture di base continuano ad essere il prato, il grano e il granoturco, ma il loro raccolto, non più affidato alle braccia dei salariati è reso possibile dall'uso diffuso delle macchine agricole e da''utilizzo dei cosiddetti "terzisti" cioè persone estranee all'azienda, ma vincolate da particolari rapporti di lavoro.
Oggi i prati maggiori sono preti stabili e l'irrigazione è naturale: se ne fanno tre sfalci, il maggenco a maggio, l'agostano a luglio/agosto e il terzuolo a settembre. All'epoca dei bergamini l'ultimo raccolto, il quarto, era a loro disposizione per il pascolo. I prati hanno subito un radicale riordino e i molti fossi distributori e collettori che li attraversavano a doppio pettine sono sttai canalizzati e indotti in unica roggia. La Roggia Annoni con il suo lungo percorso esiste tuttora, ma povera d'acqua e senza più rilevanza dal punto di vista irriguo (la concessione è stata infatti rinunciata dall'ultimo utente, Gianfranco Gnecchi Ruscone, nel 1953).
Gli attuali 65 ettari di pertinenza della Cascina Bergamina hanno conservata intatta la loro destinazione agricola e formano una sorta di difesa contro le progressive, ostinate trasformazioni del territorio.
C'è da chiedersi come ciò sia stato possibile.
La risposta è da ricercare  nelle vicende che hanno accompagnato la proprietà di questo possedimento.
È probabile, stando alle certezze degli ultimi tre secoli e alle ipotesi, fondate, che si possono fare per i precedenti due secolo, che i proprietari succedutisi a partire dal 1476 siano stati solo cinque.
Del primo, certo Gioccario (ma altrove chiamato Ciociario) si ha notizia appunto nel citato atto del 1476, ma la continua presenza delle sua discendenze su questa proprietà la si ricava dall'atto 30 ottobre 1727, col quale i fratelli Antonio e Carlo Majnoni vendevano al Conte Giacomo Antonio Annoni la Bergamina, con tutte le sue terre adiacenti.
In queto ultimo atto i Majnoni cedevano all'Annoni anche la derivazione d'acqua del lago di Sartirana che spettava un tempo a detti signori Gioccario, padroni della Bergamina, ma che gli stessi Majnoni affermavano di esercitare da tempo immemorabile.
Questa affermazione potrebbe lasciare il tempo che trova, posto che la si ritrova spesso in dichiarazioni di proprietà non altrimenti dimostrabili, ma l'atto 4 giugno 1729 del notaio Onofrio Cotta di Milano, recante ratifica del precedente atto 30 ottobre 1727, menziona il federcommesso istituito dal fu don Antonio Majnone con testamento20 agosto a678, rogato dal notaio di Milano Giovanni Mario Arrigoni, di cui si chiede dispensa al Senato di Milano, testamento che prova, al di là di ogni dubbio, la lunga appartenenza di questa proprietà alla famiglia Majnoni.
Se poi questi ultimi Giccario o Ciociario fossero i diretti discendenti di quelli che compaiono nell'atto del 1476 la continuità della proprietà è assicurata dalle famiglie Majnoni e Annoni.
Quest' ultima, divenuta proprietaria nel 1727 /ma già sul territorio di Verderio Inferiore da tempo), lo rimarrà fino alla vendita della Bergamina fatta dall'ultimo discendente, Federico Annoni, a Gianfranco Gnecchi Ruscone.
Mentre l'attuale struttura di cascina, frutto degli interventi di inizio novecento da parte della famiglia Annoni, dalla metà del secolo da parte della famiglia Gnecchi Ruscone e dei più recenti da parte dell'attuale proprietà, ci è chiaramente nota, quella della cascina anteriormente al 1727 ci è nota solo attraverso l'atto di vendita di podere e cascina dai Majnoni agli Annoni.
La "cassina Bergamina" vi figura descritta come costituita da "dodici cassi (cioè campate di portico) per fieno e loro stalle sotto, casera (locale per la lavorazione, stagionatura e conservazione del burro e dei formaggi) e case dalla parte orientale ed altre case dalla parte occidentale, con diversi altri comodi, corte grande e con ogni altro edificio in essa cassina esistente il tutto sino al tetto inclusivamente".
 In particolare vi si descrive un "laghetto novo" verso sud che resta in proprietà ai venditori e che altrove è indicato come "peschiera".
 Di questo laghetto o peschiera è traccia evidente nelle mappe catastali.

Attualmente il laghetto è scomparso, ma esiste ancora un pozzo per presa s'acqua, profondo 60 metri, asciutto.
Nell'ala di levante sono descritti "quattro cassi con loro stalle" e all'ingresso della corte è descritta "una porta con camera sopra", l'attuale torre o colombera.
 
 
 
La porta che all'inizio del secolo scorso era ancora in legno con semiluna in alto, a due battenti sotto, è ora sostituita da un elegante portone in ferro opera dell'architetto Francesco Gnecchi Ruscone.
Qui termina la ricostruzione della proprietà della Bergamina.

Pur restando, come più volte detto al centro di un'attività agricola, la Bergamina ha, via via, assunto la veste di una residenza civile, accompagnata dalla crescita e dallo svilippo di una vegetazione da giardino che ne arricchisce il decoro.
Il massimo splendore i giardini della Bergamina lo raggiungono a maggio, il mese delle rose, quando i muri, le siepi e le staccionate si ricoprono di mille colori che le varietà di rose presenti da decenni, ma continuamente rinnovate, producono.
Tra gli alberi più significativi, oltre agli splendidi platani posti all'ingresso e ai cedri ai margini del prato stabile, spicca per la maestosità e la grandiosità un esemplare monumentale di Pterocaria fraxinifolia o noce del Caucaso, degno di essere annoverato tra i monumenti della natura.

Guido Riveda


CARTOLINE - 7 - CASCINA BERGAMINA

 QUESTA CARTOLINA E' PUBBLICATA IN : Rino Tinelli, Un saluto da Trezzo e dintorni, un viaggio
in cartolina tra Adda e Martesana 
E' STATA SPEDITA IL 15 LUGLIO 1917 PER MODENA

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 IL LATO RESIDENZIALE, RIVOLTO A EST, DI CASCINA BERGAMINA IN UNA 
CARTOLINA SPEDITA IL 28 GIUGNO 1940






 L'ENTRATA DI CASCINA BERGAMINA RIPRESA DALL'INTERNO.
CARTOLINA SPEDITA IL 13 DICEMBRE 1959




 ANCORA UN'IMMAGINE DEL LATO RESIDENZIALE DELLA BERGAMINA, IN UNA
CARTOLINA CHE NON HA VIAGGIATO.


Ricordo a tutti che colleziono cartoline di Verderio: Le ricevo volentieri in omaggio, ma sono anche disposto ad acquistarle. Mi interessano anche le loro riproduzioni digitali, meglio se fronte e retro. Garzie, Marco Bartesaghi.